Pagina 3 - Opinione del 2-8-2012

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impressione è quella dello
spettatore sinistroide seduto
di fronte al computer. Apre internet
e inizia a dire: “Vi prego, dite qual-
cosa di sinistra”. Cambiano i tem-
pi e i mezzi di comunicazione di
massa, ma il monito di Nanni Mo-
retti, che rimproverava a D’Alema
di farsi mettere sotto da Berlusconi
da Vespa un secolo politico fa,
sembra ancora attuale. Propagan-
dismo e polemiche, Di Pietro sta
andando alla “deriva” secondo Ni-
chi. Chi invece rimane saldo, se-
condo il leader di Sel, è il Pd: «Sel
è disponibile a lavorare con il Pd
per costruire la coalizione della
speranza». A parte il nome come
sempre a metà tra l’onirico ed il
“narrativo”, per rimanere in tema
con il governatore pugliese, le co-
ordinate di questa alleanza con i
democrats restano fumose. C’è la
voglia di aprire in direzioni mol-
teplici: il centrosinistra deve diven-
tare il polo coalizionale centrale
nel sistema, un polo stabile che
«non deve avere paura di portare
con sé chi intende arricchire la coa-
lizione». Vendola apre ai moderati,
Casini incluso, silurando Di Pietro.
E pensare che neanche tre mesi fa
la situazione era opposta: a fine
maggio infatti i due leader alter-
nativi al Pd cercavano di rilanciare
una “Vasto 2”, ma soltanto un me-
se dopo la questione si incrinava,
con Di Pietro che iniziava la sua
L’
lamentazione funebre nei confronti
delle primarie solo pochi giorni do-
po la conferenza stampa che li ave-
va visti uno accanto all’altro, pro-
prio per difendersi dal pericolo
Casini. E proprio lo scontro tra i
due galletti nel pollaio ha creato
la nuova svolta annunciata ieri da
Vendola. I due continuano a pe-
starsi i piedi giorno dopo giorno:
improbabile trovare una via di
mezzo, impossibile riuscire a far
coesistere due personalità così forti
e con così tanta voglia di primeg-
giare tirando per la giacchetta Pier
Luigi Bersan. Il calmo Bersani fa
il suo solito gioco del silenzio. Sta
lì, attende, fa spennare i due galli,
assiste al combattimento senza
scommettere su alcuno dei due.
Probabilmente spera nell’elimina-
zione di uno dei due per facilitarsi
il lavoro e capire con chi dovrà fa-
re qualche nuova foto insieme.
Certo è che, al momento, il trian-
golo più probabile sembra quello
Bersani-Vendola-Casini, con Di
Pietro che non si capisce che fine
farà. La sua eventuale esclusione
sarebbe sinonimo di una periferia
politica non recuperabile, la fine
di un’Idv ormai schiacciata dal si-
stema partitico – sempre che Ber-
lusconi non si ripresenti in pompa
magna, andando così a favorire la
creazione di un’asse tra dipietristi
e grillini. La perplessità più grande
rimane però a sinistra ed al nostro
spettatore morettiano: l’ibrido Ca-
sini-Vendola fa storcere il naso,
crea problemi morali agli elettori
di sinistra. In molti dovrebbero tu-
rarsi il naso, e non solo, almeno
tre volte prima di votare un mo-
stro del genere. Pensare ad un ta-
volo dove siedano insieme Casini
e Vendola è possibile forse solo il
giorno di Natale, per altro seduti
pure lontano, uno col panettone,
uno col pandoro. Il Polo della spe-
ranza diventa sempre più centro e
sempre meno sinistra. Con buona
pace per le speranze degli elettori
di sinistra.
ENRICO STRINA
II
POLITICA
II
Gli“intenti”di Bersani e il gran ritorno del Pds
di
FEDERICO PUNZI
leggere con attenzione la
“Carta d’intenti” del Pd, pre-
sentata martedì scorso da Pierluigi
Bersani, viene da augurarsi che non
si trasformi in una realtà di “stenti”
per gli italiani. Di concreto s’intra-
vede solo la patrimoniale («non si
esce dalla crisi se chi ha di più non
è chiamato a dare di più»), quindi
più tasse, sullo sfondo della solita
paccottiglia ideologica di paroloni
“de sinistra” (uguaglianza, diritti,
cittadinanza, partecipazione, pace,
cooperazione, accoglienza).
Bisogna riconoscere però che il
segretario del Pd si sta muovendo
bene sul piano delle alleanze, pre-
parando il suo partito a giocare in
una posizione di perno centrale in
una coalizione di sinistra-centro.
Al netto dei balletti – Vendola
scarica Di Pietro, ma anche no;
apre all’Udc, ma anche no – la fo-
to di Vasto si conferma l’alleanza
elettorale a cui punta il Pd. Ber-
sani ha incassato l’ok di Vendola
alla sua carta d’intenti, quello a
Di Pietro sembra un ultimo avver-
timento (cambi i suoi toni o è fuo-
ri) e il veto di Nichi a guardare al
centro sembra caduto. No alle po-
litiche liberiste, difesa dell’articolo
18 e riconoscimento delle coppie
gay le condizioni poste per un’in-
tesa con Casini. Vendola auspica
un “Polo della speranza”. Speran-
za per chi non è chiaro, se per gli
italiani, o se la loro di andare a
Palazzo Chigi, ma di certo come
acronimo è indicativo: Pds.
A
In particolare alcuni capitoli del
“manifesto” sono emblematici
dell’arretratezza ideologica a cui la
linea Bersani condanna il Pd. La
stessa lettura della crisi, colpa di
un populismo «alimentato da un
liberismo finanziario che ha lascia-
to i ceti meno abbienti in balia di
un mercato senza regole», rende
bene l’idea di quale sia il distacco
dalla realtà degli autori. Si enun-
ciano generici “intenti”, come il la-
voro «parametro di tutte le politi-
che», la «dignità del lavoratore da
rimettere al centro», il «tasso di oc-
cupazione femminile e giovanile il
misuratore primo dell’efficacia di
tutte le nostre strategie». Per poi
passare al concreto: si propone di
«alleggerire» il peso fiscale sul la-
voro e sull’impresa. Giustissimo,
ma le risorse necessarie non si ot-
tengono tagliando la spesa pubbli-
ca, riducendo il perimetro dello sta-
to e delle sue articolazioni
territoriali, il Pd vuole attingerle
«alla rendita dei grandi patrimoni
finanziari e immobiliari». Viene
teorizzato un nuovo conflitto so-
ciale: tra produttori e rendita finan-
ziaria. Si troverebbero tutti dalla
stessa parte, tra i produttori, «il la-
voratore precario e l’operaio sin-
dacalizzato, il piccolo imprenditore
e l’impiegato pubblico, il giovane
professionista e l’insegnante». Ma
di tutta evidenza difficilmente que-
ste categorie di lavoratori potreb-
bero sentirsi tutelate da una stessa,
univoca politica economica. Con-
trastare la precarietà è uno degli
obiettivi, da centrare «rovesciando
le scelte della destra nell’ultimo de-
cennio». In concreto, quindi, mag-
giore rigidità del mercato del lavo-
ro, senza superare il dualismo tra
outsider e iperprotetti, secondo lo
schema Ichino.
Il problema delle diseguaglianze,
che pure esistono nella nostra so-
cietà, va risolto secondo il Pd nel-
l’ottica di una mera «redistribuzio-
ne» della ricchezza. Si conferma,
dunque, in antitesi con quella che
è ormai la visione delle sinistre eu-
ropee più moderne e liberali, un
concetto di uguaglianza sorpassato,
ma duro a morire nella sinistra ita-
liana, secondo cui la vera ugua-
glianza è quella delle posizioni di
arrivo, non di partenza: risuona
forte la condanna, morale e politi-
ca, per «ricchezze e proprietà smo-
date che si sottraggono a qualun-
que vincolo di solidarietà». Così
come si coltiva ancora l’illusione
che si possa «redistribuire» ancor
prima di aver creato ricchezza: «La
giustizia sociale non è pensabile co-
me derivata della crescita econo-
mica, ma ne fonda il presupposto».
Si scrive «sviluppo sostenibile»
ma si legge dirigismo. Anche qui
non mancano enunciati piuttosto
generici, laddove si auspica «un’Ita-
lia che sappia fare l’Italia». Ma la
proposta è «una politica industriale
“integralmente ecologica”».
Poco più avanti ecco spiegato
cosa si intende per «politica indu-
striale»: è il governo che individua
«grandi aree d’investimento, di ri-
cerca, di innovazione verso le quali
orientare il sistema delle imprese».
Resta da capire come sia concilia-
bile, dal punto di vista logico prima
che politico, ritenere che l’econo-
mia abbia bisogno di essere “orien-
tata” e allo stesso tempo che oc-
corre puntare su qualità
spiccatamente italiane come «il gu-
sto, la duttilità, la tecnica e la crea-
tività», che hanno invece bisogno
del massimo della libertà per espri-
mersi.
Il capitolo sui cosiddetti «beni
comuni» non lascia dubbi: nel Pd
il mercato viene ancora vissuto co-
me un intruso molesto. Sanità,
istruzione, sicurezza e ambiente so-
no «beni indisponibili alla pura lo-
gica del mercato e dei profitti». In
questi ambiti, pare di capire, non
c’è spazio per operatori privati.
Maggiore tolleranza per l’iniziativa
imprenditoriale in altri settori, ma
sempre sotto il rigido e occhiuto
controllo statale: «L’energia, l’ac-
qua, il patrimonio culturale e del
paesaggio, le infrastrutture dello
sviluppo sostenibile, la rete dei ser-
vizi di welfare e formazione, sono
beni che devono vivere in un qua-
dro di programmazione, regolazio-
ne e controllo». E non manca, ov-
viamente, il richiamo ai
«referendum della primavera del
2011» (nucleare e acqua).
Per il resto, si parla generica-
mente di «agganciare la crescita in
un quadro di equità», si proclama
che «il nostro posto è in Europa».
Ma nessun impegno sull’“agenda
Monti”, che viene brevemente ci-
tato per aver avuto «l’autorevolez-
za di riportarci in Europa». L’au-
sterità e l’“equilibrio” dei conti
pubblici non siano un «dogma»,
c’è bisogno piuttosto di investimen-
ti, di accelerare l’integrazione po-
litica, economica e fiscale dell’Ue,
e a questo scopo si evocano non
meglio precisate «nuove istituzioni
comuni, dotate di una legittimazio-
ne popolare e diretta», «un patto
costituzionale con le principali fa-
miglie politiche europee», che è «la
ragione che ci spinge a cercare un
accordo di legislatura con le forze
del centro moderato» (l’Udc).
Nel capitolo “Democrazia” si
promette «l’applicazione corretta
e integrale di quella Costituzione
che rimane tra le più belle e avan-
zate del mondo» e per quanto ri-
guarda l’assetto istituzionale si evo-
ca «un sistema parlamentare
semplificato e rafforzato, con un
ruolo incisivo del governo e la tu-
tela della funzione di equilibrio del
presidente della Repubblica». Un
po’ di tutto, insomma. Sembra che
per il Pd l’amministrazione della
giustizia vada bene così com’è. Ba-
sta lasciar lavorare in pace i magi-
strati, l’importante è una «difesa
intransigente del principio di lega-
lità», «una lotta decisa all’evasione
fiscale», una guerra aperta alla cor-
ruzione e ai reati contro l’ambiente,
«sostegno più concreto agli organi
inquirenti e agli amministratori im-
pegnati contro le mafie». La rifor-
ma della politica? La politica sia
«sobria», per il resto attuazione
dell’articolo 49 della Costituzione
sui partiti e «riduzione» del finan-
ziamento pubblico.
Vendola s’innamora del Pd
E invita Casini alle sue nozze
I sindacati europei:
unità e inutilità
K
VENDOLA e BERSANI
li unici veramente uniti in que-
sta Europa in crisi sono i sin-
dacati. Al momento sono di fatto
le uniche forze che legittimano e
danno un senso a questo carrozzo-
ne burocratico. Potremmo dire che
oggi la vera Unione sono loro. Be-
ne, almeno qualcuno c’è. Anzi male.
Quale oscuro destino potrebbe mai
attenderci. Così, mentre nelle sede
istituzionali si discute di tutto e del
suo contrario, tra spread, scudi e
austerity, i grandi leader rimbalzano
da una posizione all’altra senza che
si possa aspirare a un compromes-
so convincente. Monti, Hollande,
Rajoy, Merkel e quella Finlandia
che dei problemi del sud non inte-
ressa nulla. Si continua a giocare
un match tra sordi, al diavolo il
gioco di squadra e, se andrà avanti
così, addio euro. In questo caos po-
litico-finanziario, i vertici sindacali
italiani e spagnoli annunciano in
una nota che le misure di austerità
applicate dai governi sono inade-
guate. Camusso, Bonanni, Angeletti
insieme ai loro colleghi iberici, Fer-
nandez Toxo e Candido Mendez,
si mobilitano in vista del vertice ita-
lo-spagnolo del due agosto e fanno
sapere che riforme e tagli imposti
da Bruxelles sono dannosi volti a
perseguire obiettivi prettamente
contabili, ignorando le conseguenze
sociali che questi produrranno. Sen-
za impegnarsi troppo a tracciare
una via d’uscita alternativa alla crisi
G
– se mai ce ne fosse una – condan-
nano la stretta economica e denun-
ciano il fallimento continentale. Al
centro della loro riflessione, lo spre-
ad che resiste a livelli preoccupanti.
A riguardo, le organizzazioni sin-
dacali richiedono «l’adozione im-
mediata di misure necessarie a ga-
rantire che i titoli spagnoli e italiani
possano essere emessi a tassi d’in-
teresse ridotti, per garantire ai no-
stri stati la liquidità necessaria at-
tuale e la solvibilità futura». In altre
parole, ripetono esattamente cosa
predicano da mesi praticamente
tutti: l’acquisto da parte della Bce
del debito nei mercati, senza l’im-
posizione di condizioni che com-
portino tagli di bilancio e sociali
che implicherebbero ulteriori de-
pressioni economiche. Propongono
di «modificare lo statuto della Bce
per assegnarle poteri da prestatori
di ultima istanza». Camusso e com-
pagni vorrebbero, inoltre, far intro-
durre una tassa sulle transazioni fi-
nanziarie il cui gettito sarebbe
destinato all’attuazione di program-
mi per la crescita e l’occupazione.
Poi lotta ai paradisi fiscali, all’eva-
sione e «procedere alla conversione
di una parte del debito degli Stati
dell’Ue in debito europeo». Mr Eu-
robond, signori e signore. Niente
di nuovo, ecco tutto. Errata corrige:
senza di loro l’Unione Europea sa-
rebbe la stessa.
MICHELE DI LOLLO
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 2 AGOSTO 2012
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