Page 5 - Opinione del 2-10-2012

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ESTERI
II
La grande sfida inGeorgia
Elezione cruciale nell’exUrss
di
STEFANO MAGNI
a Georgia va al voto nel giorno
di San Bidzina. Il leader dell’op-
posizione parlamentare ha festeg-
giato il suo onomastico. Si chiama,
infatti, Bidzina Ivanishvili, doppia
cittadinanza francese e georgiana.
Imprenditore nel settore immobilia-
re, proprietario di alberghi ed em-
pori, la sua villa dall’architettura
fantascientifica domina la capitale
Tbilisi. Dalle sue immense vetrate,
Ivanishvili può guardare dall’alto
proprio il palazzo presidenziale, il
cui inquilino, da otto anni, è Mikheil
Saakashvili. In queste elezioni, i cui
risultati saranno pubblicati oggi, non
si decide ancora chi sarà il presiden-
te. Si decide, però, chi costituirà la
maggioranza nel Parlamento, che
elegge a sua volta il governo. Ivani-
shvili ha grandi aspettative, come
ha spiegato ieri alla televisione ge-
orgiana: «Oggi, per la prima volta
nella storia della Georgia, il governo
sarà cambiato tramite elezioni». La
maggioranza, da 8 anni, è stata sem-
pre conquistata dal Movimento Na-
zionale Unito, di ispirazione demo-
cratica ed europeista, guidato da
Saakashvili. Ad esso Ivanishvili op-
pone la nuova coalizione Sogno Ge-
orgiano. Il nome ricorda vagamente
Forza Italia. E nelle sue file milita
anche il calciatore Kakha Kaladze,
ex dipendente di Berlusconi: nel Mi-
lan. Sogno Georgiano ha organiz-
L
zato già ieri, dalla sua sede in pieno
centro storico (la ex sede della so-
vietica “Casa del Giornalista”), la
festa della vittoria elettorale. «Rice-
veremo almeno due terzi dei seggi
in Parlamento – dichiarava già ieri
mattina Ivanishvili - se tutto va in
modo ideale, ma non ho speranze
in tal senso, c’è una forte probabilità
che il Movimento Nazionale Unito
non entri neppure in Parlamento.
Nessuno vuole più sentire parlare
di questa gente». I numeri dei son-
daggi (sempre che siano attendibili)
non gli danno ragione. Si attende
che Sogno Georgiano conquisti, al
massimo, il 30% dei voti. Saaka-
shvili può aver perso punti dopo lo
scandalo provocato dal video delle
torture nelle carceri di Tbilisi. Ma è
lecito pensare che abbia perso la
maggioranza in meno di un mese?
Le dichiarazioni di Ivanishvili, piut-
tosto, sono un avvertimento: ogni
risultato sarà contestato. I precedenti
per montare una protesta ci sono
tutti. Prima di tutto è stata conte-
stata la cittadinanza georgiana di
Bidzina Ivanishvili: è francese, non
georgiano. Ciò non gli ha impedito
di formare la sua coalizione politica,
ma lui stesso, per legge, non ha nem-
meno potuto votare. La lite sulla cit-
tadinanza, per ora, è sotto-traccia,
ma pronta a riemergere con prepo-
tenza in caso di contestazioni sui ri-
sultati. Secondo: sia Ivanishvili che
Kakha Kaladze sono stati condan-
nati dalla magistratura georgiana a
pagare molte salatissime, per finan-
ziamento illecito del partito. La que-
stione è già finita all’attenzione della
Corte Europea dei Diritti. Terzo: la
durata stessa dei governi del Movi-
mento Nazionale Unito (e della pre-
sidenza di Saakashvili) ha fatto sì
che media, forze dell’ordine e appa-
rato burocratico fossero dominati
dalla maggioranza. Sogno Georgia-
no si presenta all’elettorato come
forza perseguitata da un “regime”.
Che in realtà, finora, regime non è:
le elezioni in Georgia sono tuttora
considerate le più libere e regolari
in tutta l’area ex sovietica. Sempre
che queste ultime non costituiscano
un’eccezione. La Russia, a quattro
anni dall’invasione della Georgia,
non starà a guardare. Specie se scop-
pieranno disordini...
Somalia: Al Qaeda ha perso il porto di Kismayo
K
Domenica un’altra chiesa è stata colpita dal terrorismo, a
Nairobi. Le truppe dell’Ua hanno occupato Kismayo, Somalia, finora
tenuto dagli Shebaab e principale punto di approdo di Al Qaeda
Obama e Romney,
sfida sull’economia
Nel giorno di San
Bidzina, il miliardario
Bidzina Ivanishvili sfida
il partito del presidente
Saakashvili. E si prepara
a contestare ogni
risultato che non sia
la piena vittoria
Pechino verso il Congresso
Tutte le incognite del Partito
tati Uniti: siamo alla vigilia dei
dibattiti televisivi fra i due sfi-
danti. Che cosa si attendono gli
americani? Cosa vorrebbero sentir
dire da Barack Obama e Mitt
Romney? Un solo argomento e po-
co altro: l’economia. L’ultimo son-
daggio di Rasmussen rivela che è
questo il pensiero dominante per
almeno l’80% dei cittadini statu-
nitensi. Tutto il resto passa in se-
condo piano. Gli esteri sono esplosi,
proprio in queste settimane, con
l’ondata di violenze anti-Usa. Ma
agli americani interessa soprattutto
sapere come e quando uscire dalle
difficoltà quotidiane in casa. Ecco
perché Obama può anche chiedere
al Congresso aiuti urgenti ai Fratelli
Musulmani in Egitto: 450 milioni
di dollari da regalare al governo del
Cairo, a sole due settimane dall’as-
salto all’ambasciata statunitense.
Ma pochi si scandalizzano.
Se l’importante è l’economia (e
solo l’economia), come è la perce-
zione americana in merito? L’8%
degli americani è disoccupato, più
del doppio (il 16,6%) è sottoccu-
pato. I conti pubblici non vanno
meglio: il debito è aumentato di
6
mila miliardi nei quattro anni di
Obama. A livello di umore, i son-
daggi dell’agenzia Gallup segnala-
no, comunque, un cauto ottimismo.
Il 52% degli americani dichiara che
la propria vita sta “fiorendo”, il
44%
sente di “lottare” (contro le
S
difficoltà) e solo un 4% percepisce
la propria vita come una “sofferen-
za”. A giudicare dalla serie storica
di questo indice del benessere, i dati
sono meglio oggi di tre anni fa: nel-
la primavera del 2009, più del 50%
di americani ritenevano di lottare
contro le difficoltà, contro meno
del 45% che giudicava la propria
vita in piena fioritura. Tuttavia l’an-
sia è in crescita: oggi come oggi, il
42%
ritiene di vivere una vita felice
senza troppi momenti di stress e
angoscia, contro il 12% di stressati,
ma non è un dato positivo. La per-
centuale di felici è sempre o quasi
al di sopra del 50%, quella degli
stressati al di sotto del 10%. Anche
i consumi si sono molto abbassati:
gli americani spendono, in media,
73
dollari al giorno, contro gli oltre
100
spesi su base quotidiana prima
della crisi del 2008.
Per i Repubblicani è molto facile
constatare che, per un americano
di oggi, le prospettive sono molto
più oscure rispetto ad un america-
no di 4 anni fa, prima dell’ammi-
nistrazione Obama. Per i Democra-
tici è altrettanto facile constatare
che, senza la crisi del 2008 (scop-
piata sotto Bush) oggi vivrebbero
tutti meglio e Obama ha già fatto
miracoli per non cadere nel baratro.
Ma perché 4 anni di politiche di
stimolo economico non hanno da-
to… alcuno stimolo?
(
ste. ma.)
n limbo di cinque settimane.
Dopo lunghe attese e molte
speculazioni, finalmente il Partito
comunista cinese ha reso nota la
data in cui si terrà il Congresso
d’autunno. Un evento che quest’an-
no assume caratteristiche epocali,
dovendo nominare la classe diri-
gente che governerà il Paese fino al
2023.
E intanto a Pechino la poli-
tica rallenta fino quasi a fermarsi.
Per il presidente Hu Jintao, il Pre-
mier Wen Jabao e tutti i membri
dell’esecutivo, comincia un lunga
traversata del deserto. Perché se è
vero che fino a marzo manterranno
i propri incarichi di governo (l’8
novembre si rinnovano le cariche
di partito, i nuovi eletti dovranno
aspettare la primavera per sedere
ai vertici dello stato), tuttavia si tro-
vano già svuotati dei propri poteri.
Come custodi in scadenza di pol-
trone destinate ad altri.
E intanto il mondo si interroga
su chi sono e che cosa faranno i
nuovi dirigenti cinesi. Personaggi
di cui da tempo si conoscono le ge-
neralità anagrafiche ma che politi-
camente restano delle incognite. Sa-
ranno in grado di traghettare la
seconda economia mondiale fuori
dalle paludi in cui sta lentamente
scivolando?
Le statistiche dell’ultimo anno
danno agli economisti più di un
motivo di preoccupazione. In Cina,
gli investimenti diretti esteri sono
U
calati per nove degli ultimi dieci
mesi, e c’è chi sospetta che i tassi
di crescita diffusi da Pechino - il
7,6%
per il 2011 - siano in realtà
gonfiati. Lo proverebbe il confron-
to con altri indicatori, come la pro-
duzione di energia elettrica, che è
cresciuta molto più lentamente. Per
non parlare della produzione in-
dustriale, sì aumentata, ma per fi-
nire in enormi magazzini portuali:
lì giacciono in attesa di un futuro
e non garantito smaltimento enor-
mi quantitativi di giocattoli e car-
bone.
Il gioco preferito dagli osserva-
tori di tutto il mondo per capire
che tipo di futuro avrà un Paese –
la Cina – che gioca un ruolo di pri-
mo piano nell’economia mondiale
(
politicamente si sta affermando
come potenza regionale), diventa
dunque quello di scavare nel pas-
sato delle nuove leve. E in partico-
lare di Xi Jinping - futuro leader
del Pcc nonché presidente della Re-
pubblica - in cerca di indicazioni
su quello che vorrà fare in futuro.
A far ben sperare in un approc-
cio riformista ai problemi del Paese
è una decisione presa dal giovane
Xi nel lontano 1982, quando lasciò
il proprio posto di consigliere mi-
litare a Pechino per ritirarsi nello
Zhengding, un paese nelle campa-
gne sottosviluppate dello Hebei.
Qui Xi ebbe vari successi, tra cui
svetta l’essere riuscito a tagliare di
un quarto la quota di frumento che
i contadini dello Zhengding dove-
vano produrre per il granaio cen-
trale, permettendo loro di intra-
prendere nuove attività economiche
(
come l’itticoltura) e preparando
la strada per la futura crescita eco-
nomica dell’area. Contemporanea-
mente però Xi si distinse anche per
una implementazione rigidissima
della politica del figlio unico. Ri-
formatore? Conservatore? Da al-
lora Xi Jingping ha sempre man-
tenuto un profilo molto basso e del
suo operato si sa pochissimo. Certo
è che la Cina di oggi è completa-
mente diversa da quella degli anni
Ottanta. E per sostenere la propria
crescita ha un disperato bisogno di
liberalizzazioni.
ELISA BORGHI
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 2 OTTOBRE 2012
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