II
ECONOMIA
II
Le nostre auto vanno a tasse, non più a benzina
di
MARCO BASSANI
ochi giorni dopo le elezioni pre-
sidenziali americane, in viaggio
da Washington a Miami, vedevo il
prezzo della benzina scendere dra-
sticamente. Dai circa 3,5 dollari al
gallone (quasi 4 litri) degli Stati del
Nord, si arrivava ai 2,91 del Sud
Carolina. La cosa non mi metteva
di buon umore, anzi. Il prezzo del-
la benzina tornato ad essere accet-
tabile è stato, infatti, un segnale
chiaro del miglioramento dell’eco-
nomia e ha contribuito al nuovo
assegno in bianco che gli americani
hanno (malauguratamente) firmato
al presidente più di sinistra della
loro storia.
Quando racconto ai miei amici
americani, che non conoscono
l’Europa, che qui la benzina costa
10
dollari al gallone, non pochi ri-
mangono perplessi e si chiedono
come sia possibile una cosa del ge-
nere. La risposta è semplice. L’Eu-
ropa muore di tasse e non protesta
mai. Anzi, gli europei muoiono di
fisco proprio perché non protesta-
no mai.
Quando si sviluppa un simula-
cro di dibattito sul prezzo della
benzina questo diventa subito pa-
tentemente ridicolo, volto alla ri-
cerca di un colpevole che sia altro
dallo Stato. Ogni qualvolta si parla
di questi temi i giornalisti tendono
a interpellare commentatori e as-
sociazioni portatori di una cultura
nemica del mercato e avversa al-
l’universo delle imprese.
Chi è il colpevole dell’aumento
del prezzo dei combustibili (le cui
oscillazioni certo dipendono dalle
quotazioni del petrolio)? Chiede-
telo a chi volete e sentirete sempre
la stessa solfa: le compagnie petro-
lifere e, quindi, i “malvagi” capi-
talisti che mirano - dio ce ne liberi!
-
al profitto. Come durante la Ri-
voluzione francese i giacobini riu-
scivano a convincere il popolo che
il pane mancava a causa degli ac-
caparratori, così in Italia i corifei
dello Stato hanno pronti i nomi e
i cognomi dei colpevoli: i petrolie-
ri. È a loro che dobbiamo l’alleg-
gerimento oltre ogni ragionevole
misura del nostro portafoglio.
Eppure in America le società
petrolifere offrono la benzina a un
terzo che in Italia. E ancora: siamo
sicuri che abbiamo ragione i vari
populisti da strapazzo che ogni
giorno ci ripetono il miglior modo
per evitare il salasso che subiamo
al distributore della benzina con-
sista nell’avere interventi governa-
tivi che blocchino i prezzi e pena-
lizzino le imprese?
In realtà, la storia economica e
l’analisi teorica ci insegnano che
quanti vogliano avere prodotti a
buon mercato devono favorire lo
sviluppo di un mercato aperto e
concorrenziale, e non già un’eco-
nomia pianificata e diretta. Bisogna
che la libertà di concorrere induca
i vari soggetti a competere tra di
loro e questo al fine di servire nel
migliore dei modi i consumatori.
Ci sono ostacoli all’ingresso nel
mercato della distribuzione degli
idrocarburi? Li si elimini subito.
Ma ovviamente la questione fon-
damentale è un’altra, come tutti
sappiamo assai bene.
L’iniziativa più urgente consiste
infatti nell’abbassare l’imposizione
fiscale, al fine di favorire le famiglie
P
e le imprese. Difficilmente potremo
avere un futuro e potremo essere
competitivi se dobbiamo continua-
re a sostenere una fiscalità così ra-
pace, della quale il prezzo della
benzina è il simbolo più manifesto.
Quando facciamo il pieno ab-
biamo l’impressione di comprare
il carburante che ci serve per i no-
stri spostamenti. Non è davvero
così. In quel momento, stiamo pa-
gando imposte, dato che fra accise
e Iva, oltre il sessanta percento va
al Tesoro e serve a finanziare una
spesa pubblica fuori controllo e
devastante.
Purtroppo di questo dato non
si parla quasi mai, mentre ogni
giorno sul banco degli imputati
compaiono le compagnie petroli-
fere: senza tenere presente che an-
che la quota che non va all’erario
è quasi per la metà assorbita da
costi operativi (la manutenzione,
il trasporto, i profitti dei gestori
delle pompe di benzina, ecc.). Alla
fine, le tanto vituperate multina-
zionali del petrolio ricevono meno
di un quinto dei soldi che sborsia-
mo per fare un pieno. E perché al-
lora sono tanto criticate? Perché
sono imprese private la cui demo-
nizzazione serve a occultare quel
disastroso Stato che è la vera causa
del salasso che dobbiamo subire.
Dagli addosso al privato” è ormai
il passatempo preferito dai nostri
concittadini, ben incoraggiato dai
nostri governanti i quali a loro vol-
ta ottengono carta bianca per tas-
sare, regolamentare, vessare. E il
tutto proprio in nome dei consu-
matori/cittadini.
Nel prezzo astronomico della
benzina vi sono le 1,9 lire per la
guerra in Abissinia del 1935, le 10
lire per il disastro del Vajont, le al-
tre 10 per l’alluvione fiorentina del
1966,
le 99 lire destinate ai terre-
motati del Belice del 1968, ecc. ecc.
Quelle tragedie servirono ad alzare
le imposte che una volta introdotte
non sono state mai più eliminate.
È la memoria “liquida” del paese
delle tasse: ma come fossero tossi-
ne, la benzina non si depura mai
di una gabella, non perde un bal-
zello.
Insomma, per poter fare un pie-
no “all’americana” bisognerebbe
innanzitutto liberare la propria
mente dai troppi inganni della pro-
paganda statalista e iniziare una
battaglia volta ad eliminare tutte
le voci che alimentano una spesa
pubblica fuori controllo. Il costo
della nostra benzina all’amatricia-
na non è imputabile ad altri che a
noi stessi e alla nostra voglia di
quieto vivere. Molti ricordano la
frase di Thomas Jefferson, “il prez-
zo della libertà è l’eterna vigilan-
za”, ma spesso non riflettono sul
fatto che questo vale per le piccole
e grandi questioni.
Se non troveremo il coraggio di
tagliare le uscite e colpire le sacche
di parassitismo, non potremo mai
intervenire su queste imposte come
sulle altre. E a quel punto la nostra
società sarà sempre più simile a
un’automobile ferma, senza ben-
zina, in una strada vuota e deso-
lata di un Terzo Mondo indifferen-
ziato. Ma state pur certi che ce la
prenderemo sempre con i petrolie-
ri, gli speculatori e anche con gli
evasori fiscali (
se tutti pagassimo
le tasse, tutti ne pagheremmo me-
no
.
O no?).
Domandiamoci perché
negli Stati Uniti si paga
una frazione di quel
che dobbiamo sborsare
noi per fare un pieno.
Il prezzo del carburante
è gonfiato dalle tasse
e da accise ormai
ingiustificabili, legate
ancora ad emergenze
che emergenze non sono
più. Come la Guerra
inAbissinia o il
terremoto nel Belice.
Queste cose sono note
eppure la risposta
alla domanda“perché
i prezzi crescono”
è sempre contro
il presunto“liberismo
selvaggio”. L’opinione
pubblica è alla perenne
ricerca di capri espiatori,
dalle compagnie
petrolifere internazionali
agli evasori fiscali
nostrani.
Mentre lo Stato
e la sua classe politica
sono sempre assolti
e giustificati.
Ma se non troveremo
il coraggio
di tagliare le uscite
e colpire le sacche
di parassitismo,
non potremo mai
intervenire su queste
imposte come sulle altre.
E a quel punto la nostra
società sarà sempre
più simile
a un’automobile ferma,
senza benzina,
in una strada vuota
e desolata
di unTerzoMondo
indifferenziato
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 3 FEBBRAIO 2013
3