Page 4 - Opinione del 03-11-2012

II
POLITICA
II
Il segreto di stato sullamafia
Sapremo di Giuliano nel 2016
di
RUGGIERO CAPONE
ell’Isola, e da più di mezzo se-
colo, qualcuno lavorava alla
trasformazione di Salvatore Giu-
liano nell’Highlander siciliano,
nell’immortale patriota. Dopo anni
di riunioni segrete, “esoteriche”,
nelle campagne del catanese una
setta (per certi un “noto servizio”)
l’avrebbe spuntata. Riuscendo ad
avvolgere le spoglie mortali di Giu-
liano in un brodo misterioso, lo
stesso che aveva già inviluppato nei
secoli passati Federico II di Svevia
(
il suo feretro palermitano conte-
neva due scheletri di donna ed al-
cuni amuleti) e Giuseppe Balsamo
(
il palermitano Conte Cagliostro,
il cui corpo scomparve nel nulla
dopo la reclusione nei bastioni
marchigiani di San Leo).
Dietro le dicerie del tipo “Giu-
liano non è mai morto” o le affer-
mazioni “non diciamo corbellerie,
le sue spoglie sono state riconosciu-
te e l’autopsia ha valore scientifico
e legale” si sarebbero annidati sem-
pre gli stessi pupari. Quel “noto
servizio”, da certi appellato “Anel-
lo”, che secondo i beninformati
avrebbe funto fino alla fine della
Prima Repubblica come collega-
mento tra servizi segreti italiani e
Cosa Nostra. In pratica il “noto
servizio” è una struttura segreta
con un piede nello Stato e l’altro
nella mafia. Un’organizzazione se-
greta sia parallela che convergente
nelle istituzioni, composta da per-
sonale civile e militare, soprattutto
fondata verso la fine della Seconda
Guerra Mondiale proprio in Sicilia.
La struttura permetteva alla mafia
d’intrattenere rapporti buoni, saldi,
non solo con i servizi italiani ma
anche con gli equivalenti spagnoli
e sudamericani. A costituire il “no-
to servizio” e su esplicita richiesta
dell’Oss americano (Office of Stra-
tegic Services, oggi Cia) fu nel 1945
il generale Mario Roatta. Licio Gel-
li dichiarava in un’intervista rila-
sciata il 15 febbraio 2011 al setti-
manale Oggi che a capo di questa
struttura ci sarebbe stato Giulio
Andreotti: «io avevo la P2 - diceva
Gelli - Cossiga la Gladio e Andre-
otti l’Anello».
Ma veniamo alle origini del pat-
to servizi-mafia. Il 5 febbraio 1943
Roatta era in Sicilia, dove incon-
trava persone che avrebbero segna-
to il nuovo corso politico dell’Isola.
Con l’insediamento del governo
Badoglio, Roatta conservava la ca-
N
Luciano e l’Oss. Roatta raggiunge-
va prima il Vaticano e poi, con la
moglie, si dirigeva in Spagna, dove
il governo di Francisco Franco ave-
va giurato protezione ai vertici
dell’Oss. Giuseppe Saragat (social-
democratico poi Presidente della
Repubblica italiana) scrisse di Ro-
atta «il suo silenzio era d’oro per
molte persone». Alludendo a ex ge-
rarchi fascisti, ad agenti segreti pas-
sati dall’Ovra al Sim e poi ai servizi
della Repubblica Italiana, ma anche
ai siciliani che avevano giurato alla
presenza di Luciano, come a quelli
dell’Anello (il “noto servizio”) che
sapevano del rinnovato “patto Sta-
to-mafia”.
Un capitolo a mezzo tra crona-
ca, letteratura e storia patria? Cer-
tamente gli eredi dei Beati Paoli po-
trebbero brindare, perché in certe
procure hanno anche rotto la mo-
notonia isolana, e riesumando Sal-
vatore Giuliano. Una pista che
avrebbe potuto narrare agli inqui-
renti palermitani il “patto Stato-
mafia” già due anni prima dell’in-
chiesta
sulla
trattativa
Stato-mafia”.
Ad essere sinceri, sulla morte di
Giuliano esistono almeno cinque
differenti versioni, e poi in molti si
chiedono da anni perché sussista il
segreto di Stato fino al 2016: un
segreto figlio del “patto stato-ma-
fia”? Alcuni addirittura sostengo-
no che il Giuliano morto in Sicilia
fosse in realtà un suo fratello na-
turale, e che il vero Salvatore di-
venne latitante e, forse, ucciso al-
cuni anni più tardi in un bar di
Napoli (un caffè avvelenato dagli
stessi che avevano ucciso Pisciot-
ta?). Secondo un’ipotesi nata nei
primi anni ‘50, al posto del bandito
venne ucciso (forse intenzionalmen-
te) un sosia, poi tumulato al suo
posto. Due storici siciliani (Giusep-
pe Casarrubea e Mario J. Cereghi-
no) ci hanno ricamato sopra. E ben
sappiamo come certe storie, sup-
portate anche da tanti “forse” e “si
dice”, riescano a far breccia nei
cuori dei magistrati più di tante ve-
rità oggettive. Tanto è stato. Dalla
Procura di Palermo hanno chiesto
di riaprire la bara di Salvatore Giu-
liano, tumulata nella cappella della
famiglia Giuliano a Montelepre
(
Palermo), e per accertarne l’iden-
tità. Così giovedì 28 ottobre 2010
si consumava la riesumazione...
pardon: resurrezione. Cosa sapesse
Giuliano del “patto Stato-mafia”
dovrebbe rivelarcelo in seduta spi-
ritica. Dove forse sarebbe possibile
un confronto, un incidente proba-
torio esoterico, con tanto di spiriti
di Luciano e Roatta, Calogero Viz-
zini e altri ancora.
Ma oggi, dopo tanti anni, non
ha granché senso sapere se il 5 lu-
glio del 1950 a Castelvetrano fosse
per davvero morto Salvatore Giu-
liano o un suo sosia. Avrebbe più
senso rammentare che i baroni e
gli agrari, nonché le antiche con-
venticole reazionarie, erano turbate
dalle vicende politico-sindacali che
si stavano avvicendando nell’Italia
del dopoguerra. Al punto che i ba-
roni, in nome di quel patto siglato
cinque anni prima, preferirono in-
terporre tra loro e certi referenti
romani un antico e robusto inter-
mediario siciliano, la mafia. Così
l’aristocrazia palermitana e cata-
nese, forte d’aver affrancato la ma-
fia dal limbo in cui l’aveva rinchiu-
sa il ventennio fascista, iniziava
un’azione d’infiltrazione nella vita
pubblica. Così i latifondisti isolani
operavano su due fronti, finanzian-
do da un lato i separatisti e d’altro
le intrusioni mafiose nel salotto po-
litico romano e governativo.
Gli assalti nel 1945 alle caserme
dei Carabinieri nel palermitano era-
no messaggi che la banda Giuliano
mandava al nuovo governo per
conto del “patto Stato-mafia”. L’as-
salto alla caserma dei Carabinieri
di Bellolampo, alle porte di Paler-
mo, fu un chiaro segnale ad un po-
tere costituito che intendeva strac-
ciare gli accordi stretti in Sicilia.
Messaggi ad una giovane Italia de-
mocratica in cui vivevano politici
ignari del “patto Stato-mafia” o si-
curi che non potesse incidere su
Roma. Per farla breve, erano state
fatte delle promesse alla fine del Fa-
scismo, ma il nuovo regime demo-
cratico appariva tiepido sul man-
tenerle. Da qui la sfida affidata
dall’antica baronia isolana a Sal-
vatore Giuliano, trasformando il
latitante nel colonnello artefice del-
le imprese militari dei separatisti
del Mis (Movimento indipenden-
tista siciliano). Qui forse s’innesta
un probabile supporto anticomu-
nista della Cia che, secondo il pro-
fessor Nicola Tranfaglia, avrebbe
finanziato l’Evis (Esercito Volonta-
rio per l’Indipendenza Siciliana).
Ma nell’immediato dopoguerra
l’esercito italiano combatteva in Si-
cilia contro la banda Giuliano o
contro un esercito indipendentista
anticomunista finanziato dagli Usa?
Le carte ufficiali dicono che ci fu-
rono scontri tra briganti e Carabi-
nieri, le fonti di Tranfaglia e com-
pagni affermano che l’esercito
fronteggiava gruppi paramilitari
armati dalla Cia.
E se la riesumazione della salma
nella cappella di Montelepre si fos-
se basata sulle intuizioni di Tran-
faglia? L’emerito professore di sto-
ria si rese già autore nel 1970
d’una pubblicazione fantasmago-
rica che, per la delizia dei complot-
tisti di sinistra, tracciava i collega-
menti siculi del Principe Nero (al
secolo Junio Valerio Borghese). Se-
condo Tranfaglia nella Sicilia post
bellica gli uomini del principe Ne-
ro, i famosi reduci della Decima
Mas, avrebbero addestrato la ban-
da Giuliano. Poi lo stesso Borghese,
tramite i suoi addentellati con Cia
ed internazionale nera, avrebbe ga-
rantito un salvacondotto per Giu-
liano. Lo stesso tipo di salvacon-
dotto ha certamente salvato la vita
al generale Roatta. Nessun magi-
strato credette alla fantasiosa rico-
struzione, tra l’altro nota negli am-
bienti giornalistici e giudiziari già
prima della notte di Tora Tora (il
golpe Borghese del ‘70). Anche lo
scomparso Mauro De Mauro ebbe
a raccontare come il golpe fosse
stato finanziato da Cia e mafia: so-
prattutto, entrambe le organizza-
zioni contavano sul tesoro della
banca Rasini, istituto nato in nome
del patto stato-mafia, per ripagare
la Sicilia di non essere assurta a
51
esima stella, di non aver potuto
stampare dollari.
(6-
continua)
Il bandito
indipendentista siciliano
è ancora un mito.Tanto
è vero che si dice non sia
mai morto. Giuliano
era probabilmente
a conoscenza di una serie
di trame oscure
che sarebbero all’origine
del patto stato-mafia.
Cementato
da una misteriosa
organizzazione civile
e militare conosciuta
come“Anello”.
O“noto servizio”.
Dobbiamo attendere
ancora quattro anni,
però, prima
di saperne qualcosa
in più, quando verranno
aperti gli archivi
rica di capo di stato maggiore del-
l’esercito: infatti, durante il difficile
periodo dei 45 giorni, represse tutte
le manifestazioni politiche. La “cir-
colare Roatta” dava ordine a forze
armate e forze dell’ordine di inter-
venire con la forza nella repressione
di ogni manifestazione. Il 16 no-
vembre 1944 Roatta veniva arre-
stato, e a seguito delle indagini del-
la “Commissione d’inchiesta per la
mancata difesa di Roma”, poi nel
1945
veniva chiamato in giudizio
dall’“Alto commissariato per la pu-
nizione dei delitti fascisti” per
l’omicidio dei fratelli Rosselli.
Ma il 4 marzo del 1945, alla vi-
gilia delle conclusioni della com-
missione d’inchiesta, Roatta eva-
deva dall’ospedale militare
provvisorio presso il romano Liceo
Virgilio. Evasione organizzata da
Oss e servizio segreto britannico.
Roatta sapeva troppo ed era anco-
ra utile: soprattutto aveva visto che
accordi erano stati stretti tra Lucky
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 3 NOVEMBRE 2012
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