Pagina 3 - Opinione del 04-9-2012

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di
FEDERICO PUNZI
a crisi non è finita. Ce lo ricordano i dati
Istat sull’occupazione, ancora in calo,
quelli sul mercato dell’auto e le stime di Con-
fcommercio sui consumi, nel 2012 calo del
3,3% con possibile chiusura di 150 mila at-
tività commerciali. A settembre, dunque, si
torna a fare sul serio ed è l’ora delle decisioni.
I mercati sono in attesa di verificare i mec-
canismi di stabilità finanziaria che l’Europa
si è impegnata a mettere in campo. Per quan-
to riguarda l’Italia, il governo è chiamato a
fissare l’agenda per mettere a frutto i suoi ul-
timi mesi e a decidere sulla richiesta di aiuti
Ue, mentre in vista delle elezioni del 2013 il
mondo politico deve cominciare a dare ri-
sposte credibili per il dopo-Monti. In parti-
colare, chi è interessato a evitare un governo
Bersani-Fassina-Vendola deve darsi una mos-
sa, per offrire al paese un’alternativa credibile.
La situazione appare molto simile a quella
del ‘93-’94: c’è una gioiosa macchina da guer-
ra che non vede l’ora di mettere le mani sul-
l’intero bottino; gli italiani provano nausea
per i vecchi partiti e non si fidano di Bersani,
l’Occhetto dei nostri giorni; il 40% circa
dell’elettorato si dichiara indeciso e una gros-
sa fetta è in attesa di un’offerta politica nuo-
va. Solo che non si profila all’orizzonte un
leader con una sufficiente capacità d’aggre-
gazione, come fu Berlusconi nel ‘94. Il Pdl
non è riuscito a rilanciarsi e il tempo sta sca-
dendo. Qualche timido passo l’ha mosso nelle
settimane scorse, ma troppo poco. È immo-
bile e continuamente risucchiato nell’eterno
tramonto del suo leader, caratterizzato dal-
l’indecisionismo su tutto: candidatura, soste-
L
gno a un Monti-bis, legge elettorale, linea
economica, politica europea. Casini ha già
avuto dimostrazione alle amministrative che
i voti in uscita dal Pdl difficilmente prendono
la strada dell’Udc. Il suo piano di sostituirsi
a Berlusconi come federatore di una rinno-
vata area moderata e di centro non sembra
avere molte chance. Rischia di restare appeso
ad un 6-7%, non sufficiente per determinare
rivoluzioni nel campo moderato. Poi ci sono
i “nuovi” – Grillo, Italia Futura e i liberisti
di “Fermare il declino” – che giustamente ri-
fiutano di accompagnarsi ai “vecchi” e pun-
tano non all’ennesimo partitino, ma a rap-
presentare un’offerta politica maggioritaria,
almeno nel loro campo. Tradotto in voti: al-
meno un 20%. Sono tutti in corsa per lo stes-
so settore dell’elettorato: quello deluso dal
centrodestra berlusconiano ma che rifiuta di
“buttarsi” tra le braccia della sinistra-sinistra
di Bersani. Tutti rischiano di fallire: i primi
due perché percepiti come “vecchi”, i “nuovi”
perché potrebbero apparire movimenti dagli
ottimi propositi ma troppo elitari, intellettuali.
Da una parte è comprensibile, e positivo, che
ciascuno voglia giocare la sua partita; dal-
l’altra il rischio è che nessuna di queste offerte
ottenga il consenso necessario a imporsi come
forza egemone. Il liquefarsi, o l’eccessiva
frammentazione dell’offerta politica nel cam-
po del centrodestra rischia di spianare la stra-
da all’esito che davvero in pochi nel paese si
augurano – praticamente il solo Bersani, che
si crede l’Hollande italiano. Uniti o divisi
questi soggetti dovranno saper mobilitare il
blocco elettorale dell’ex centrodestra, per de-
terminare almeno le condizioni per un Mon-
ti-bis che ci salvi da una deriva greca.
II
POLITICA
II
Lo scenario politico
sembra quello del 1994
La“crescita”di Monti
che farà fallire l’Italia
italiano Monti incontra la cancelliera
tedesca per l’ennesima volta, a pochi
giorni dalla massima divulgazione in Italia
del dettagliato “programma per la crescita”.
Alcuni quotidiani economici pubblicano “la
crescita” con tutti i suoi articolati, dall’edi-
lizia alle imprese familiari passando dal-
l’agricoltura alla meccanica e poi alla me-
talmeccanica: sembra siano stati coperti tutti
gli spazi produttivi del Belpaese. Qualcosa
non convince. Infatti nell’incontro Monti-
Merkel sarebbero state definite le “forche
caudine” per la piccola e media impresa ita-
liana, nonché per la famiglia media che ha
privilegiato l’investimento immobiliare piut-
tosto che dare fiducia al mobiliare. Il nostro
primo ministro avrebbe confessato alla can-
celliera tedesca che, questa volta nessuna
piccola e media produzione italiana sfuggirà
alle mannaie delle varie direttive europee.
Ad appoggiare il disegno antitaliano c’è una
robusta maggioranza: quel partito istituzio-
nale che va dal Pdl al Pd, passando dal fi-
sarmonico Terzo-Polo, che appoggerebbe
anche una rediviva Rupe Tarpea in nome
del “dovere istituzionale”. Monti di fatto
ha raggiunto il suo scopo, ha impoverito
l’Italia. All’uopo le statistiche mentono,
usando l’alchimia della proiezione quinquen-
nale dei dati spalmano la disoccupazione
negli ultimi cinque anni. Omettendo che, in
scarsi nove mesi l’attuale esecutivo l’ha rad-
doppiata. Su questa tragedia s’ammanta
d’istituzionalità l’appoggio acritico del sa-
lotto buono dell’informazione e dei grandi
partiti. Di fatto Monti ha promesso alla Ger-
mania che la pressione fiscale rimarrà pe-
sante. Così da poter giustificare la svendita
L’
di Eni, Enel e Finmeccanica: è un vecchio
progetto, non dimentichiamo che la politica
di Monti venne già chiesta più di 60 anni
fa all’Italia, quando le nazioni vincitrici pre-
tesero il profilo basso dell’industria italiana.
Ed i vecchi ingredienti tornano proprio con
Monti: benzina a quota due euro al litro,
disoccupazione a livelli record, informazione
drogata, debito pubblico alla percentuale
record del 123% rispetto al Pil (un anno fa
era sotto il 120%), inflazione dal 2,1% al
3,6%, oltre il 35% di disoccupazione gio-
vanile. Ed il leader dell’Udc trova pure il co-
raggio per sostenere che «l’Italia grazie a
Monti è rinata, ha ritrovato la credibilità».
In tutto questo sfacelo generale casiniani e
bersaniani augurano all’Italia maggioranze
deboli, governi brevi. Insomma il meglio del-
la Prima repubblica: quando l’Italia andava
a rotoli ed i politici recitavano vestiti da
struzzi, e con la testa sotto la sabbia. La con-
giuntura vuole che stia giungendo a termine
il piano di smantellamento delle aree indu-
striali, progetto antico, iniziato negli anni
‘80 (quando i Verdi italiani già intascavano
quattrini dagli industriali stranieri per fiac-
care le produzioni dello Stivale): così con-
temporaneamente chiudono Italsider a Ta-
ranto, miniere di carbone in Sardegna ed
oltre 1000 medie aziende in tutta Italia. La
Merkel può dirsi soddisfatta, avrà certamen-
te un vigoroso appoggio da parte della Con-
findustria tedesca. Ma è giusto che gli italiani
si chiedano di cosa si dica soddisfatta la clas-
se politica del Belpaese, che per far dispetto
a Berlusconi è disposta anche a tagliarsi i
coglioni.
RUGGIERO CAPONE
Tagliare la spesa pubbica?
Bisogna partire dai comuni
di
CORRADO SFORZA FOGLIANI*
età della spesa pubblica, è
dovuta alle Autonomie lo-
cali e un governo “tecnico” - come
l’esperienza di questi giorni dimo-
stra - può farci poco. Ma un do-
verno “politico” non ci proverà
neppure, a fare qualcosa: di Re-
gioni, province e Comuni (e così
via) ce ne sono di destra e ce ne
sono di sinistra, e al momento
buono, come la storia di questi an-
ni insegna, le Autonomie locali
trovano regolarmente tutte le forze
politiche, nessuna esclusa, pronte
a difenderle, perché ciascuna di es-
se vuole difendere le proprie ri-
spettive riserve clientelari.
Per domare la spesa locale (che
supera - tanto per dare un’idea -
il 50 per cento del Pil) bisogna an-
zitutto por mano alla Costituzio-
ne. Meglio: bisogna mettere ordine
nel Titolo V della Costituzione,
che il centrosinistra ha nel 2001
affrettatamente riformato in modo
tanto pressapochista quanto ne-
gativo, completando un percorso
che fa sì che oggi non si sappia
neppur più chi governa, nel nostro
paese.
L’esecutivo, deve continuamen-
te confrontarsi - all’atto pratico -
con le Regioni più che con il Par-
lamento, e la Corte costituzionale
è ingolfata da ricorsi indotti dal-
l’incertezza di un testo seminato
M
di mine interpretative ad ogni piè
sospinto, a cominciare dalla “le-
gislazione concorrente” (dalla sua
definizione ai suoi contorni non-
ché alla individuazione dei prin-
cipii generali) per continuare con
la possibilità di stabilire tributi ed
entrate proprie.
L’appello del presidente della
Corte dei conti Giampaolino a ri-
vedere il sistema dei controlli (in-
troducendo, anche, poteri inibitori
di urgenza e controlli preventivi
di legittimità in capo ai giudici
contabili), va accolto: è l’unico che
può ottenere qualche risultato. In
nessun paese (europeo, perlome-
no) le Autonomie locali godono
di una situazione così privilegiata,
con una Corte dei conti che può
al massimo - al di là dei casi di re-
sponsabilità contabile - scrivere
agli amministratori una “letterina”
(chiamiamola con un nome che
renda l’idea) per far presenti le
proprie osservazioni di bilancio.
Proprio un presidente di questa
Corte, Francesco Staderini, ha fat-
to presente - essendo già in vigore
la richiamata riforma costituzio-
nale - che lo stato non può sot-
trarsi «al potere dovere di dettare
regole e prevedere controlli», sot-
tolineando che in tutti i paesi eu-
ropei - Italia esclusa - «si riscon-
trano restrizioni specifiche
all’autonomia contabile-finanzia-
ria» locale. «Vorrei ricordare - così
ha proseguito il presidente - che
in Francia (in cui, per di più, i ra-
gionieri/contabili degli enti locali
sono addirittura funzionari del mi-
nistero delle Finanze) le Camere
regionali dei conti approvano i bi-
lanci preventivi e consuntivi e han-
no il potere di prescrivere le mo-
difiche da apportare per realizzare
il pareggio effettivo; in Germania
controlli altrettanto incisivi sono
esercitati dalle Corti dei conti dei
länder per gli enti con una certa
popolazione e da organi decentrati
dagli stessi länder per quelli mi-
nori; infine in Inghilterra un orga-
no di controllo centrale (la
Audit
commission
) nomina i revisori dei
conti, detta loro le prescrizioni
operative e ne controlla l’attività».
Da noi, niente di tutto questo. Chi
allora può meravigliarsi dello spre-
co che caratterizza le Regioni e, in
ispecie, i Comuni medio-grandi?
*Presidente Confedilizia
Vendola e Renzi:
il juke-box liberista
enzi e Vendola, Vendola e
Renzi. Polemiche facili, quan-
do a scontrarsi sono due esteti
della politica odierna. Il sindaco
fiorentino oggi ce l’ha con la legi-
slazione sul lavoro: «Sull’art. 18,
io sto con Ichino», dice interve-
nendo su
Canale 5
alla trasmis-
sione di Maurizio Belpietro. Co-
munque, per Renzi, si tratta di
«una delle questioni ideologiche
più sopravvalutate nella storia del
nostro paese. Io credo» - prosegue
il sindaco di Firenze - «che vada
rivoluzionato il diritto del lavo-
ro», che conta su «2.000 articoli
di legge, non ci capisce niente nes-
suno. Io credo che l’unica soluzio-
ne, proposta da Ichino, è redigere
una legge, o meglio un corpus ge-
nerale di massimo 60 articoli,
chiari ed espliciti, in modo che si
diminuisca il contenzioso, e che
un imprenditore che vuole inve-
stire o semplicemente assumere
possa sapere come fare». Dici “ar-
ticolo 18” e Vendola si sveglia su-
bito, come il cacciatore che sente
l’odore della preda: «Imperversa
come un juke-box che ha come
repertorio canzonette che fanno
il verso al liberismo, al qualunqui-
smo. Mi pare molto dentro lo stile
della politica spettacolo, fatta di
battute e aneddoti suggestivi. Al
centro della sfida delle primarie
dovrebbero invece esserci il Sulcis,
l’Ilva di Taranto, il lavoro, inteso
R
non solo in senso economicistico.
Lavoro significa anche autonomia
e libertà delle donne e nuovi mo-
delli di sviluppo. L’innovazione di
cui ha bisogno l’Italia riguarda un
nuovo rapporto tra pubblico e
privato, la necessità di rimettere
in funzione gli ascensori della mo-
bilità sociale, l’investimento sulla
ricerca. Il cambiamento non è un
fatto meramente anagrafico» –
prosegue il leader di Sel – «Ci so-
no giovani che sono così vecchi e
noiosi… Quelli che sanno tutto e
stanno in cattedra a dare voti agli
altri, invecchiano rapidamente».
I due galli nel pollaio si sfidano
per l’ennesima volta sulle loro are-
ne preferite. E se Pupo Renzi batte
il martello sull’incudine della rot-
tamazione, Vendola si dimostra
politico da vecchia sinistra, quasi
conservatore nella sua difesa, an-
che lessicale, di una certa tradi-
zione post-comunista. I due galli
sono nello stesso pollaio eppure
sembrano tanto lontani da sem-
brare avulsi, due cose alternative,
non integrabili, non dialoganti.
Vedendoli così ci si può chiedere
cosa li spinga a dirsele addosso
settimanalmente. Il quesito po-
trebbe essere allargato all’intera
vicenda Pd-Sel e le risposte, per
chi guarda a sinistra, non sareb-
bero tanto positive. Alla faccia
delle grosse coalizioni.
(e.st.)
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 4 SETTEMBRE 2012
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