Page 3 - Opinione del 4-10-2012

di
PIETRO SALVATORI
n Italia ci sono poche certezze di questi
tempi. Una di queste è che nello Stivale
vive uno dei guru mondiali di sistemi elet-
torali. Perché non ne sfruttiamo le compe-
tenze, dirà il lettore più distratto. La verità
è che il sistema politico ne saccheggia a pie-
ne mani le geniali intuizioni. E da anni. Era
il lontano 2006 quando il Nostro appose
in calce la firma ad un disegno di legge ri-
voluzionario: far ritornare con fanfare e
grancasse il paese ad un sistema proporzio-
nale, conferire al vincitore un premio che
gli rendesse granitica la prospettiva di go-
vernare per un’intera legislatura, facendogli
scegliere uno per uno i membri, di provata
e integerrima fedeltà, da portarsi in Parla-
mento. Un’architettura talmente grandiosa
che fu celebrata in tutto il mondo come un
illuminante esempio di eccellente strumento
per far funzionare al meglio le istituzioni.
Sommerso dai lusinghieri commenti, il pro-
de si schernì, derubricando modestamente
il proprio artefatto come una cosa umile,
neanche fosse una misera ghianda da dare
in pasto ad un allevamento di maiali. A sei
anni di distanza, in un momento di estrema
confusione, i partiti, non sapendo bene che
pesci pigliare, si non nuovamente rivolti al
Nostro per trovare una quadra e sbloccare
la situazione d’impasse sulla legge elettorale.
Roberto Calderoli, pur avversando con tut-
te le sue forze il governo e la maggioranza
che lo sostiene, ha chinato il capo, e le sue
fervide meningi si sono messe al servizio
del bene comune, e dopo il Porcellum ha
partorito un altro piccolo Porcellinum. È
I
sua infatti la bozza che oggi verrà discussa
in Commissione al Senato, dalla quale si
dovrebbe sviluppare l’intero dibattito par-
lamentare sulla riforma elettorale.
Certo, una gran paura l’hanno insufflata
tutti quei commentatori che ieri pontifica-
vano: «Domani (oggi per chi legge) è la
giornata decisiva per la legge elettorale».
Di momenti cruciali sul tema ne sono stati
profetizzati talmente tanti che, sommati,
superano l’aspettativa di vita media in un
qualsiasi paese in via di sviluppo. Al punto
tale che parlare di “giornata decisiva” fa
scattare automaticamente gesti apotropaici
in chi crede per davvero che una riforma
dovrebbe essere fatta. Fortuna che Calderoli
c’è, allora. Il suo tocco magico dovrebbe
comporre automaticamente il puzzle che
fino a ieri sembrava inestricabile. Il demiur-
go ha tenuto fede alla massima secondo la
quale la soluzione più semplice è probabil-
mente anche quella più efficace. Per cui ecco
qua: attribuzione dei seggi a livello circo-
scrizionale con metodo del quoziente (Hare)
sulla base di 232 collegi plurinominali. Re-
cupero dei resti su base nazionale, conferma
delle attuali norme di salvaguardia per le
minoranza linguistiche. Sbarramento na-
zionale al 5% in un insieme di circoscrizioni
equivalenti a 1/5 della popolazione. Liste
plurinominali e misure di garanzia per pro-
muovere l’equilibrio di genere nella rappre-
sentanza. Attribuzione di un premio alla li-
sta o alla coalizione di liste che ottiene
almeno il 40% dei seggi: il premio assicura
il 52% dei seggi; in mancanza del requisito,
premio alla lista o coalizione prevalente,
pari al 5% del totale dei seggi. Chiaro no?
II
POLITICA
II
Il papà del Porcellum,
demiurgo a sua insaputa
Election day per l’Italia
Lazio: spunta Zingaretti
Il Divo non parla più agli statisti,ma ai cittadini
remonti, Giulio I, II, III, in at-
tesa del IV sull’“Hummington
Post” anche Tremonti ha annun-
ciato un manifesto politico (ed un
partito). Non è il primo. Nel 2009
un Capuzzo eccitato salutava un
team d’eccezione, mix destro-sini-
stro, professori e parenti eccellenti,
impegnati nel “Manifesto del dirit-
to futuro” da presentare al G8. Nel
gruppo Letta jr. ed i figli di Napo-
litano e Visentini; Guido Rossi e
l’attuale ministro Grilli; tanti giu-
risti e quell’ambasciatore Baldocci
che si prendeva un’onorificenza
francese mentre Sarkò rideva in
faccia al Cavaliere. Il primo mani-
festo Tremonti snocciolava la nor-
ma mondiale di un codice cosmo-
polita kantiano, il
global legal
standard
in contrapposizione al
fi-
scal kompact
,
caccia spietata alle
banche fonti di moneta cattiva, ai
paradisi fiscali ed ai nuovi Templari
quali Goldman Sachs & affini ed
infine
detax
indirizzato senza me-
diazioni ai poveri del mondo. Al-
l’epoca Tremonti era guida finan-
ziaria di un paese senza crisi,
membro di un esecutivo forte,
trait
d’union
tra Lega e Pdl, esponente
in Europa della maggioranza na-
zionale del partito di maggioranza
generale. I convenuti, inclusa l’Oc-
se, accorrevano ed erano felici d’es-
sere ospiti dei seminari di don Ver-
zè al San Raffaele. I capi Ue
ascoltavano Tremonti tacendo
mentre risuonavano tra una erre
sibilante e l’altra, le teorie sui ri-
sparmi pubblici&privati, i proget-
tati eurobond ed i rimbrotti sulle
T
norme sui cetrioli. Il Tremonti di
oggi non è più dimesso, semmai
più libero. In un completo sdop-
piamentico di personalità, condan-
na tutta una serie di azioni ascrivi-
bili al suo operato da ministro, dai
vincoli del patto per la stabilità per
gli Enti locali, all’introduzione dei
costi di riscatto pensionistico o alla
messa a punto dell’agguerrita mac-
china fiscale antievasori. Mai lo
stato ha incassato più danaro che
sotto di lui, i suoi eredi impallidi-
scono oggi che l’aumentata pres-
sione fiscale porta all’erario introiti
minori. Per questo motivo Giulio
è odiato da gran parte della sua
parte politica che ha trovato sem-
pre poca soddisfazione sul raggiun-
gimento del bilancio attivo delle
partite statali correnti. Le sinistre
gli sono contrarie non accettando
l’eccessivo nordismo, la sua idea
particolare di Europa, i conferi-
menti dati a Cassa depositi e pre-
stiti ed il rifiuto di patrimoniali. In
tempi diversi è stato avversato dai
Casini e dai Fini, che volevano po-
ter spendere, per famiglie e forze
dell’ordine. Contraddittoriamente
anche la parte più liberale Pdl, la
stessa che oggi fa buon viso al
Monti corrente, si era sollevata, in
nome dell’eccessiva tassazione, con-
tro il Prina del Cavaliere. Una sol-
levazione, condivisa dai Martino e
Galan con i Cicchitto e Brunetta,
a difesa dell’
impasse
dell’estate
2011,
quando il bivio per Berlu-
sconi era tra proseguire la politica
di contrasto al
fiscal kompact
fran-
co-tedesco o salvare il governo. La
resa all’impostazione europea di
Draghi avrebbe condotto, con altri
fattori, comunque alla caduta del
governo. Oggi la rabbia antitre-
montiana di tanti liberali di base
tra l’ingenuo ed il fazioso, prose-
gue, nello slancio di quell’epoca, in
nome di un ipotetico statalismo,
quando lo stesso Giannino si ap-
pella a interventi pubblici sui gran-
di mercati. Tre volte Berlusconi in
difficoltà ha sacrificato Giulio, per
con il senno di poi, ritrovarsi più
d’accordo con lui che con i consi-
glieri più vicini. Per le radici Pdl di
rivolta alla stagione del Britannia
di Draghi e Prodi ed al sacco d’Ita-
lia dei primi ’90, è assurdo finire
chine sotto il colonialismo fiscale
europeo, mascherato da liberalismo
globale. Il colmo è poi raggiunto
dai finiani che condannano l’ecces-
sivo liberalismo tremontiano, quel-
lo della “crescita non si fa per de-
creto”. Il nuovo manifesto,
Lavoro e libertà, avanti ma insie-
me” non si rivolge più ai capi di
stato ma agli elettori che dovreb-
bero sostenere il suo nuovo partito
assieme alla teoria dell’“uscita di
sicurezza”. Giulio non è però ta-
gliato per elezioni cittadine, regio-
nali o nazionali. I suoi manifesti e
libri, aspirano a troni più grandi,
almeno europei. Se Monti compila
un’impostazione istituzionale eu-
ropea già data ed immodificabile,
il sondriese pone implicitamente il
problema della necessità, per una
vera democrazia europea, di veri
partiti continentali. Tremonti vor-
rebbe portare in giro per l’Italia,
cominciando il 7 ottobre da Ric-
cione, il vecchio manifesto, quello
nuovo, le idee sviluppate in un de-
cennio. Sulla scia dei politici da
camper, treno e bus, i Rutelli, i Pro-
di, i Veltroni, i Renzi. Idee semplici
ed alate: combattere «eclissi giuri-
dica e globalizzazione selvaggia;
erigere una Bretton Woods europea
con percorso contrario di quella
Usa ’44. Al contrario del dominio
mondiale del dollaro, l’euro deve
chiudersi in una fortezza, porre
l’eurofinanza sotto stretto control-
lo, in un contesto di protezionismo
e di intervento pubblico continen-
tali. È l’idea di applicare in Europa
il dirigismo economico cinese e dei
Brics. Ha solo il difetto di spezzare
in due l’Occidente, ponendo gli eu-
ropei in rotta di collissione con gli
Usa ed il loro liberismo globale.
Spartitura anche chiara, che non
ha chi possa suonarla. Non certo
l’Europa fondamentalmente divisa,
ancora dipendente dal resto del
mondo sia per la difesa, che per
l’energia, sia per Internet che per i
flussi finanziari virtualmateriali.
Senza contare che il cinismo di un
nuovo dirigismo cozza con federa-
lismo e con l’idea che l’economia
abbia bisogno di coesione sociale,
cioè di democrazia. Accanto a sé
Giulio avrà Critica sociale di Finetti
-
Carluccio ed il gruppo socialista
di Formica e Delbene, il che signi-
fica unire spezzoni non amalgama-
bili di antichi socialisti, leghisti bos-
siani, destri e corte dell’ex ministro
delle finanze barese. L’algidità del-
l’uomo, lo scarso appeal popolare,
i piccoli numeri di partenza cozza-
no con le idee manifeste, elevate
tanto quanto è grande l’autostima
del tre volte ministro delle finanze
del centrodestra. Il suo difetto - far
passare da sprovveduti tutti gli al-
tri, Amato, Ciampi, Prodi, Visco,
Padoa Schioppa, Monti incluso De-
lors, tedeschi ed americani - lo farà
tornare assieme al Cavaliere. I li-
beral applaudiranno riaccettandolo
tra loro in un mix di sussidiarietà
e territorio, diritto vs. mercato, di
lotta al fascismo bianco ed al lati-
fondo finanziario. Confusione suf-
ficiente per la prossima defenestra-
zione. Fatto è che alla coppia
Quirinale-Chigi di Prodi-Renzi e
di Monti-Passera, cosa può con-
trapporre il centrodestra se non
Berlusconi-Tremonti?
GIUSEPPE MELE
Tremonti lancia
dalle colonne
dell’Huffington Post
il suo manifesto politico
Ha perso l’appeal
di un tempo, ma in tanti
si rifanno oggi
alle sue linee guida
er l’intera classe politica italiana non ci
sarebbe giorno più infausto dell’election
day 2013. Come scongiurare un cataclisma
capace di cestinare gran parte della classe
dirigente? Soprattutto come convincere
l’elettorato che i politici di professione e di
lungo corso sono migliori di tutti i giovani
rottamatori di sinistra come di destra? A
tutti non rimarrebbe che la soluzione Mon-
ti: trasformare il super Mario in una super
chioccia, e farsi tutti suoi pulcini.
E per Massimo Cacciari sarebbero due
gli scenari cagionati da un eventuale “Mon-
ti bis” (sia politico che tecnico). «Il primo
-
afferma il docente veneziano - è che Monti
capeggi una coalizione e si candidi a pre-
sidente del Consiglio». Ma, prosegue il fi-
losofo e politologo, «una lista civica nazio-
nale con Monti capolista potrebbe
squinternare tutto il quadro politico, po-
trebbe raccogliere più voti del Pd o del
Pdl». Una domanda agli elettori tutti o
un’affermazione? Secondo Cacciari «questo
non succederà perché il presidente Napo-
litano, che è lo sponsor di Monti, non per-
metterà che squassi i partiti, senza calcolare
che Monti stesso non ha intenzione di rifare
il presidente del Consiglio». L’altra ipotesi,
secondo il docente veneziano, è che «dopo
le elezioni si determini una situazione di
stallo e il presidente della Repubblica lo in-
carichi di nuovo: se arriviamo a questo -
conclude Cacciari - vuol dire che la si-
tuazione è ancora più grave di adesso». Si-
tuazione che era già stata prevista prima
dell’estate 2012, quando in certi salotti di
potere s’ipotizzava l’eventuale congelamen-
to delle Camere, paragonando l’attuale ca-
P
taclisma finanziario ad un evento bellico
(
la stessa Carta costituzionale sarebbe ve-
nuta incontro ai golpisti tecnici).
A conti fatti alla partitocrazia conver-
rebbe mantenere il governo nazionale in
mano ad un tecnico, e poi giocare la bat-
taglia politica solo tra regioni e comuni. Ed
ha subito trovato una spiegazione la corsa
della ministra dell’Interno a mandare i la-
ziali alle urne: alla fine è spuntato il nome
di Nicola Zingaretti come candidato per il
centrosinistra alla presidenza della Regione
Lazio. Questa la sorpresa a cui ha lavorato
la Direzione regionale del partito di Bersani,
ieri pomeriggio riunita a conclave. L’idea è
quella di mettere subito in campo il candi-
dato più forte, visto che si voterà prima per
la Regione e poi per il Campidoglio. Il Pd
dunque non vuole rischiare, e Zingaretti
potrebbe fare da traino per le elezioni co-
munali. L’attuale presidente della Provin-
cia insomma potrebbe lasciare la corsa
per il Campidoglio contro Alemanno, per-
ché l’emergenza, almeno al momento, è
quella di vincere in Regione. A questo
punto a Roma la partita, secondo quanto
si apprende, potrebbe giocarsi tra il mi-
nistro Andrea Riccardi e il segretario del
Pd Lazio Enrico Gasbarra: entrambi sa-
rebbero graditi all’Udc. E questa manovra
farebbe nuovamente giocare ad Alemanno
(
uomo comunque del Pdl) il ruolo di
do-
minus
della situazione di destra. «Aleman-
no ora può correre ovunque - mormorano
nel Pdl - è l’unico che vuole e può rischia-
re, tutti gli altri dicono al sindaco di an-
dare avanti, e lo seguiranno».
RUGGIERO CAPONE
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 4 OTTOBRE 2012
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