Page 5 - Opinione del 4-10-2012

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ESTERI
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Bengasi,Obama sapeva
dell’attaccoma non reagì
di
STEFANO MAGNI
attacco al consolato statuni-
tense di Bengasi è stato un at-
to di terrorismo. L’amministrazione
Obama lo sapeva, ha sottovalutato
i segnali di allarmi e a cose fatte (e
ambasciatore ucciso) ha deciso di
scaricare tutte le colpe su un video
amatoriale “blasfemo”. Questa è la
ricostruzione dei tragici eventi
dell’11 settembre scorso, in base alle
testimonianze raccolte dalla Com-
missione della Camera per la Super-
visione del Governo e da membri
della Commissione di Intelligence,
sempre della Camera. Il loro è un
punto di vista “di parte”, dato che
la Camera (e le sue commissioni) so-
no a guida repubblicana. Ma l’im-
pianto accusatorio è solido e la ri-
costruzione assolutamente plausibile,
soprattutto considerando la piega
che gli eventi hanno preso nei giorni
successivi, caratterizzati da una so-
stanziale non-reazione americana.
Nei giorni precedenti l’attacco
era già abbastanza chiaro che qual-
cosa stesse bollendo in pentola. Il 4
era arrivato un avvertimento dal-
l’Egitto ed anche in Libia c’erano
già tutti i sintomi di un possibile at-
tacco. La data (11 settembre) è, già
di per sé, una ricorrenza molto pe-
ricolosa nei Paesi in cui il fondamen-
talismo islamico è molto presente,
armato e organizzato. Funzionari
del consolato, intervistati dalla
L’
Commissione, hanno rivelato di
aver mandato aWashington rappor-
ti allarmanti, chiedendo rinforzi per
la sicurezza della sede diplomatica.
L’assalto dell’11 settembre non è ar-
rivato dal nulla, ma è stato solo l’ul-
timo di una lunga serie di attacchi
subiti da funzionari e diplomatici
occidentali. Secondo i deputati re-
pubblicani Darrell Issa e Jason
Chaffetz, i funzionari erano così in-
furiati con l’amministrazione da vo-
ler parlare a tutti i costi con i mem-
bri della Commissione. In parole
povere: i loro allarmi sono stati
ignorati.
Arrivati al giorno dell’attacco,
l’11 settembre scorso, la Casa Bian-
ca è stata prontamente informata di
quanto stava avvenendo a Bengasi.
Secondo quanto riporta Bret Ste-
phens, sul Wall Street Journal, la de-
cisione di non intervenire è stata una
scelta deliberata: nessuna azione ar-
mata (a protezione del personale di-
plomatico statunitense), senza l’espli-
cita autorizzazione della Libia. Il
Dipartimento di Stato si è limitato
a chiedere alla Libia di provvedere
alla sicurezza del consolato di Ben-
gasi. Ed anche quando la situazione
è degenerata, un intervento diretto
non è stato preso in considerazio-
ne.
Nei giorni successivi all’attacco,
la Casa Bianca ha ricevuto una serie
di rapporti di intelligence su chi vi
fosse dietro l’organizzazione della
sommossa: gruppi terroristici orga-
nizzati, quali Ansar al Sharia e Al
Qaeda nel Maghreb Islamico. Ep-
pure, fino a venerdì scorso, la tesi
ufficiale era quella di una “sommos-
sa spontanea”, scoppiata a causa di
un film“blasfemo”, neppure uscito
al cinema. Solo dalla fine della set-
timana scorsa, James Clapper, diret-
tore dell’Intelligence Nazionale, am-
mette che le informazioni raccolte
si siano “evolute”, permettendo di
scorgere un disegno terrorista dietro
all’omicidio dell’ambasciatore Chri-
stopher Stevens e di tre membri del
suo staff. Ma tanto, ormai, la Libia
non è più nelle prime pagine, gli
americani sono troppo preoccupati
dai problemi economici per pensare
alla politica estera e… Obama non
deve essere ulteriormente disturbato
a un mese dalle elezioni.
Denver, chi si siederà su quella “sedia vuota”
K
Il primo dibattito presidenziale, a Denver, si è svolto ieri
sera. È decisivo per capire chi si siederà sulla “sedia vuota” (ci-
tando liberamente Clint Eastwood) della Casa Bianca
Allarmi ignorati prima
dell’assalto al consolato,
decisione di non reagire
mentre l’ambasciatore
veniva ucciso, rapporti
sul terrorismo taciuti
dopo gli eventi.
Una scomoda verità
In viaggio: ilMarocco come non l’avetemai visto
arocco,secondo viaggio,un
anno dopo.1 0 settembre,
notte,a Casablanca. La radio del
taxi trasmette un concitato dibat-
tito,dai toni esasperati e polemici.
Chiedo spiegazioni.
Si tratta di calcio, dice l’auti-
sta. La nazionale marocchina ha
fatto una magra figura col Mo-
zambico. Gli ascoltatori telefona-
no. Inveiscono contro l’allenatore
francese che,in un paese povero
come il Marocco, prende uno sti-
pendio esagerato. E fa pure fia-
sco. E il nodo non è il “fiasco”,
ma il rapporto stipendio-paese.
Chi ha detto che anche qui non
t’insegnino qualcosa. Per due
giorni di fila non si parla che di
questo. Senza il mio computer, e
senza giornali europei, introvabili
lungo il mio itinerario, di tutto
quel che succede nel mondo, so
solo del “lutto”calcistico locale.
Finché una persona amica mi
chiede che ne penso delle som-
mosse nel mondo islamico per il
film americano, nonché blasfemo,
su Maometto. Quale film? Non
ne so nulla. Qui vedo tutti indi-
gnati per il calcio, dico, e mi ren-
do poi conto della mia involon-
taria ironia, nonché sferzante, se
percepita come voluta.
Infatti il sorrisetto amaro della
mia informatrice tradisce l’effetto.
Mi spiega e mi racconta del film.
E sul televisore di casa cerca i ca-
nali satellitari di informazione
continua, che non trasmettono al-
tro che putiferi e botte in mezzo
mondo, causa film blasfemo. Col-
M
pito dalla coralità della risposta,
e dalle immagini sottotitolate, so-
no ovviamente preoccupato per
quel vedo. Un po’ meno per quel
che vivo, in quel Paese.
Passo per Casablanca, Mek-
nes, Khouribga, Mohammedia:
non vedo manifestazioni. Sfuggo
di notte ad una rissa di una deci-
na di persone che circonda il taxi
su cui sono appena salito e su cui
si è rifugia anche una ragazza in-
seguita da alcuni e protetta da al-
tri. Prima che mi prendano per
un partigiano nella contesa, e po-
co ci manca, sono su un altro ta-
xi. E via. Ma a parte questo e al-
tri aspetti di malcostume locale,
di stampo quasi mafioso, con cui
mi devo confrontare, non vedo
né manifestazioni, né manifesti.
Grandi titoli sui giornali arabi,
esplicitati da foto a tutta pagina,
che la gente guarda e raramente
compra. Dove sono gli indignati?
Eppure avanza l’integralismo, an-
che qui: sempre più numerose le
donne col viso coperto. Sento pe-
rò anche il malcontento di alcuni
contro gli sceicchi sauditi e del
Golfo Persico, pieni di soldi, che
vengono qui a reclutare ragazze
e ragazzine, incentivando la pro-
stituzione. C’è chi te lo dice, an-
che qui: diffida dalle apparenze.
Il paese, da un anno all’altro,
mostra segni esteriori di cambia-
mento. Un diffuso sviluppo edi-
lizio privato, cui concorrono an-
che le rimesse degli emigranti.
Aumento percentuale di auto
nuove, sulle vecchie o vecchissime
circolanti. Apertura di un gran
numero di bar, dotati di plurimi
mega-schermi TV. Mercati e mer-
catini d’ogni genere, dappertutto.
Linee ferroviarie, presumibilmen-
te ad alta velocità, visto il trac-
ciato, in costruzione. Ampliamen-
to di strade. L’impressione
generale di un “boom economi-
co”, caotico e vivace, fra perdu-
ranti aree di degrado sociale e di
miseria. Mi ricorda la rinascita
italiana (ero ragazzo), dalle ma-
cerie del secondo conflitto mon-
diale. Chi può s’arrangia, specula,
investe, guadagna. Spuntano co-
me funghi lussuose cliniche pri-
vate e anche scuole private. Il che
è anche un segno, e ne ho confer-
ma, che i servizi sanitari e scola-
stici pubblici funzionano male.
La burocrazie è asfissiante e fonte
di corruzione: mance agli impie-
gati per avere certificati, licenze,
autorizzazioni ecc., sono la rego-
la. Ma tutto appare meno son-
nacchioso, anzi in gran movimen-
to. “Poche tasse e scarsi controlli.
Puoi far soldi, se ci sai fare”, mi
dicono. Appaiono assai evidenti
i segni della “Nuova Costituzio-
ne” da poco emanata e che pare
piaccia solo a pochi. Accanto alle
scritte in arabo e in caratteri ro-
mani, appaiono ora anche i segni
indecifrabili della scrittura Ama-
sigh, concessione costituzionale
al riconoscimento del berbero (ta-
masight) come lingua nazionale
accanto all’arabo.
E non è poco: l’arabo, la lin-
gua sacra della rivelazione, la
bella lingua” del Profeta, quella
per cui la gente qui ama definirsi
araba, anche quando è solo e più
propriamente “arabizzata”, cede
ora spazi ad un altro idioma, ad
un’altra scrittura, alla pari. E non
è poco, per la mentalità islamica.
La sera,davanti ai mega-scher-
mi dei bar, una folla di soli uomi-
ni assiste alle partite di calcio, so-
prattutto quelle del Real Madrid
e del Barcellona. Perché di fronte
al football tutti “i marocchini so-
no spagnoli”.
Nello scontro serale fra il Real
e il Chelsea, l’urlo dei tifosi che
si leva all’unisono da centinaia di
bar quasi copre le roche grida dei
muezzin, amplificate da grandi
altoparlanti in cima ai minareti.
Nelle sere si susseguono partite e
urla. Bar contro moschee. Segni
di “dissonanze”, non so quanto
percepite. Sulle farmacie, però la
mezzaluna” sempre più spesso
sostituisce la “croce”, ancora pre-
sente nelle insegne. A Casablanca,
l’immensa moschea fatta costrui-
re dal Re sulla riva dell’oceano,
è un segno, ed un segnale, inequi-
vocabile. Ma il rigido rispetto dei
canoni formali e decorativi del
tempio, che lo fa del tutto simile
a tutte le altre moschee, è anche
un segno dell’incapacità di inno-
vare ed innovarsi di una cultura,
in cui la tradizione, più che la ba-
se, appare come un opprimente
limite.
Vedo le baraccopoli delle pe-
riferie urbane. Basse catapecchie
di pietre sovrapposte, in cui forse
si entra solo curvi. La superficie
interna, per quanto valutabile ad
occhio, sembra inferiore a quello
di un box-auto da noi. Su quasi
tutte, e in certe baraccopoli, pro-
prio su tutte le catapecchie, c’è la
parabola dell’antenna-Tv satelli-
tare.
Tante, ordinatissime parabole,
tutte orientate nello stesso senso,
con inclinazione perfettamente
uguale. Con lo stesso identico
contraddittorio aspetto, di para-
bole piantate sulla miseria. A che
cosa mai avranno rinunciato, per
averla.
Sotto, nella catapecchia, evi-
dentemente c’è un apparecchio
Tv. Forse orientato verso la Mec-
ca, per ragioni di spazio. Ma sin-
tonizzato sul calcio spagnolo.
VITTORIO ZEDDA
Nessuna sommossa per
il film suMaometto.
Si litiga solo per il calcio
e gli stipendi d’oro
Nuove infrastrutture
spuntano come funghi,
come nell’Italia
del dopoguerra
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 4 OTTOBRE 2012
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