Page 4 - Opinione del 5-10-2012

II
SOCIETÀ
II
Quell’antico patto garantito dalle società segrete
di
RUGGIERO CAPONE
uanti patti stato-mafia sono
stati siglati dall’Unità d’Italia
ad oggi? Soprattutto, siamo certi
che il Tricolore sarebbe durato
senza la forte mediazione d’una
certa “nobiltà agraria”: un discor-
so che vale per l’intero Mezzogior-
no. E perché dalla Sicilia alla Ca-
labria, e dalla Basilica alla Puglia
ed alla Campania, affermare la
presenza del nuovo stato risultava
assai difficile. Erroneamente i libri
di storia hanno per 150 anni so-
vrapposto la Carboneria risorgi-
mentale alle società segrete: ed al-
lora perché nessuno sa spiegare
tutte le finalità delle oltre tremila
società segrete che continuarono
ad operare nell’intero Sud Italia
anche dopo l’unificazione? È più
che nutrita la bibliografia sulle so-
cietà segrete siciliane, ed è certo
che i loro affiliati hanno gestito
nell’Isola la fase di transizione dal
regno borbonico a quello sabau-
do. Non si sbaglia ad asserire che
nell’intero Mezzogiorno gli affi-
liati alle società segrete erano per
numero ben maggiori di carabi-
nieri, garibaldini, bersaglieri, pre-
fetti e regi magistrati militari.
Al punto che, fino ai primi del
‘900,
la gente comune che riceve-
va torti si rivolgeva ancora al ba-
rone, e per fatti più piccoli al mas-
saro del nobile o al compaesano
autorevole. I carabinieri del Regno
ed i tribunali militari non offriva-
no fiducia al popolo. E come dare
loro torto? Gli esempi di vita quo-
tidiana offerti dalle truppe d’oc-
cupazione non erano tutti edifi-
canti, e le voci di angherie o
ingiuste carcerazioni si diffonde-
vano rapidamente. Quando nel
1866
a Palermo scoppiarono i fo-
colai di ribellione anti-piemontese,
subito ribattezzati “rivolta del set-
te e mezzo”, era già di dominio
pubblico la novella d’un umile
giovinetto di campagna caduto
sotto i colpi dei militari che gio-
cavano a tiro al bersaglio. È un
fatto che la “rivolta del sette e
mezzo”, fortemente appoggiata
dalle società segrete, venne placata
da accordi che lo stato piemontese
dovette raggiungere con i notabili
delle campagne palermitane.
Oggi si parla tanto di patto
stato-cosa nostra, stato-stidda, sta-
to-’ndrangheta, stato-’ndrine, sta-
to-camorra, stato-sacra corona,
stato-criminalità in genere. La
stessa Unità d’Italia è stata un
grande patto, un accordo anche
con potenze straniere. In Calabria
si narra che, nell’areale della Sila
piccola, sia avvenuto nel 1862 un
episodio d’ineguagliabile effera-
tezza: il padre ed il fratello d’una
ragazza violentata dalla truppe
d’occupazione chiesero ad un aiu-
tante di campo di poter conferire
col colonnello Fumel, da poco in
Calabria per arginare il brigantag-
gio (quello militare, finanziato dal-
l’ufficiale borbonico spagnolo José
Borjes). Inaspettata la reazione del
colonnello Pietro Fumel: ordinò
l’arresto di padre e figlio, che poi
vennero impiccati insieme ad altri
contadini sospettati di brigantag-
gio. La risposta della popolazione
fu di diverso tipo: tanti migrarono
da un territorio ormai inospitale,
ma altri (in contatto anche con or-
ganizzazioni segrete) decisero d’in-
Q
lo... Ma proprio dalle quelle zone
partiva una massiccia migrazione
alla volta degli Usa. Infatti nel
1880
la famiglia Colosimo lascerà
i monti della Sila piccola per tra-
sferirsi a Chicago: il giovane Gia-
como Colosimo raggiungerà i suoi
parenti nel 1894, e qualche anno
dopo assurgerà a primo boss uf-
ficialmente riconosciuto della
Chicago Outfit”. Intanto lo stato
italiano già annoverava nel Parla-
mento del Regno non pochi nota-
bili calabresi, e tutto sembrava es-
sere rientrato: anzi garantivano
agli increduli piemontesi che il bri-
gantaggio stava finendo.
Ma molti parlamentari del Re-
gno ribattevano che fino ad un
anno prima i briganti venivano se-
gnalati persino alle porte di Na-
poli: 25 lire era la ricompensa per
chi catturava un brigante. Bettino
Ricasoli succedeva a Camillo Ben-
so di Cavour e, all’atto d’insediar-
si, rendeva noto che «il nostro go-
verno in queste province è
debolissimo». Nell’agosto del
1862
Re Vittorio Emanuele II de-
cretava lo stato d’assedio del Sud:
a giudicare la Reggio Calabria di
oggi sembra che quel proclama
non sia mai stato revocato. Infatti
nel dicembre 1862 nasceva la
«
Commissione Parlamentare d’In-
chiesta per studiare il fenomeno
del brigantaggio nelle province
meridionali e le sue cause politiche
e sociali»: l’ormai nota “commis-
sione anti-brigantaggio”. Nel
maggio 1863 la Commissione
d’Inchiesta pubblicava una lunga
relazione, e di brigantaggio s’è
parlato fino al 1963, quando la
Repubblica italiana istituiva la
commissione anti-mafia. Ma sul
patto-stato mafia qualche refolo
era già trapelato, almeno oltre
Atlantico. Antefatto: i sindaci delle
città lungo la traiettoria Chicago-
New York avevano stretto tra il
1908
ed il 1910 accordi col piano
alto della criminalità organizzata,
nello specifico con i boss “five
points gang”. L’obiettivo era stato
matematicamente calcolato, cor-
rispondeva al non far elevare oltre
una certa percentuale statistica
omicidi, rapine e visibilità a feno-
meni come prostituzione ed estor-
sioni. Ed in una delle prime “in-
tercettazioni ambientali” della
storia (siamo prima del 1920) un
luogotenente di Johnny Torrio
ammette senza mezzi termini “qui
lo stato si deve sempre mettere
d’accordo con noi, in Italia è pure
così”. Nasceva il “sindacato del
crimine”, e sarà lo stesso Torrio
ad indicare Luky Luciano come
suo erede. Lo scenografico Lucia-
no che, grazie al Dipartimento di
Stato, rammenterà all’Italia del
dopo guerra l’importanza di tene-
re fede al patto.
Nel 1963 la Repubblica
italiana istituiva
la commissione
contro la criminalità
organizzata.
Ma sul patto-stato mafia
qualche refolo era già
trapelato, almeno
oltre Atlantico.
Antefatto:
i sindaci delle città lungo
la traiettoria
Chicago-NewYork
avevano stretto
tra il 1908 ed il 1910
accordi col piano alto
di cosa nostra,
nello specifico con i boss
five points gang”.
L’obiettivo era non far
elevare oltre una certa
percentuale statistica
omicidi, rapine
e visibilità a fenomeni
come prostituzione
ed estorsioni
tralciare l’opera del colonnello
piemontese.
«
Io sottoscritto, avendo avuto
la missione di distruggere il bri-
gantaggio - scriveva nel suo pro-
clama il colonnello Fumel - pro-
metto una ricompensa di cento
lire per ogni brigante, vivo o mor-
to, che mi sarà portato. Questa ri-
compensa sarà data ad ogni bri-
gante che ucciderà un suo
camerata; gli sarà inoltre rispar-
miata la vita. Coloro che in onta
degli ordini, dessero rifugio o qua-
lunque altro mezzo di sussistenza
o di aiuto ai briganti, o vedendoli
o conoscendo il luogo ove si tro-
vano nascosti, non ne informas-
sero le truppe e la civile e militare
autorità, verranno immediatamen-
te fucilati. Tutte le capanne di
campagna che non sono abitate
dovranno essere, nello spazio di
tre giorni, scoperchiate e i loro in-
gressi murati. È proibito di tra-
sportare pane o altra specie di
provvigione oltre le abitazioni dei
Comuni, e chiunque disubbidirà
a questo ordine sarà considerato
come complice dei briganti». Le
parole e le azioni (fucilazioni) di
Fumel fecero il giro del mondo, e
le filantropiche Stati Uniti e Gran
Bretagna offrirono ospitalità ai
Meridionali in fuga dai militari
sabaudi.
Il colonnello decimò le bande
calabresi di Palma, Schipani, Fer-
rigno, Morrone, Franzese, Rosa-
cozza, Molinari, Bellusci, Pinno-
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 5 OTTOBRE 2012
4