II
POLITICA
II
Come sconfiggere
la noia da lavoro
ualche tempo fa il nostro
presidente tecnico del
Consiglio, professor Mario
Monti, parlando dei problemi
dell’occupazione giovanile, ave-
va sconsigliato i giovani dal
cercare il posto fisso, afferman-
do che «il posto fisso è mono-
tono e noioso».
Evidentemente il premier fa-
ceva ricorso alla propria espe-
rienza di vita.
Professore universitario,
Commissario alla Unione euro-
pea, consulente di varie impor-
tanti società e banche interna-
zionali, presidente del Consiglio,
domani forse presidente della
Repubblica: Monti nella sua car-
riera non ha certo avuto occa-
sione di annoiarsi.
Qualche tempo fa gli ha fatto
eco il ministro del Lavoro, Elsa
Fornero, che, sempre trattando
il tema della preoccupante disoc-
cupazione giovanile, ha esortato
i giovani a non essere troppo
choosy”
(
una parola inglese fa
sempre più impressione che non
la volgare espressione italiana
schizzinosi”) e ad accettare il
lavoro che si presenta, in attesa
di trovare qualcosa di più con-
sono alle proprie esigenze ed
aspirazioni.
Dato che il governo di cui go-
diamo attualmente l’attività è
orientato al rigore ed alla più se-
Q
vera tosatura dei cittadini, è sta-
to recentemente adottato un
marchingegno che serve a sco-
raggiare ogni velleità di seguire
i consigli di cotanto senno. E
che, soprattutto, è utilissimo per
punire chi in passato, senza nep-
pure sospettarlo, tali consigli ha
seguito.
Infatti tutti coloro che duran-
te la propria vita lavorativa han-
no, per scelta o per necessità,
cambiato vari posti di lavoro (in
tal modo evitando di morire di
noia) ed in tali “vagabondaggi”
si sono trovati a dover contribui-
re ad enti di previdenza diversi,
al momento di andare in pensio-
ne, se vogliono usufruire di una
pensione che tenga conto di tutti
i periodi lavorati, dovranno ope-
rare il cosiddetto “ricongiungi-
mento”, ossia riunire presso un
solo ente – normalmente l’Inps
tutti i periodi contributivi.
Per ottenere questo “ricon-
giungimento” saranno costretti
a versare ingenti somme, fino a
varie centinaia di migliaia di eu-
ro, per ottenere il riconoscimento
del proprio sacrosanto diritto.
Forse ciò non è del tutto in
consonanza con le idee espresse
dal Monti e dalla Fornero, ma
come mezzo per spremere ulte-
riormente i cittadini e far cassa
è certamente geniale...
AUGUSTO FEI
ontinua, indefesso e inesora-
bile, il balletto sulla legge
elettorale. Con l’incombere di un
election day che potrebbe cadere
tra febbraio e marzo, la finestra
per arrivare ad una modifica del
Porcellum si restringe di giorno
in giorno. La settimana scorsa
Roberto Calderoli aveva presen-
tato un’ipotesi di mediazione. Che
prevedeva premi di maggioranza
variabili a seconda della percen-
tuale raggiunta dalla coalizione
di maggioranza relativa. Sopra il
40%
avrebbe attribuito al cartello
elettorale vincente il 54% dei seg-
gi. Sotto tale soglia, dal 25% fino
al 39%, sarebbe stato previsto un
ventaglio di premi (in seggi sul
totale), ma questa volta solo alla
lista, in una misura variabile dal
5%
all’11,17%.
Gli scaglioni di Calderoli han-
no intercettato l’interesse del Par-
tito democratico. Che per bocca
del capogruppo a Palazzo Mada-
ma, Anna Finocchiaro, ha pro-
posto qualche lieve correzione,
recependo complessivamente
l’impostazione dell’ex ministro
leghista. Al Senato, dove è incar-
dinata la discussione sulla legge
elettorale, all’orizzonte si sarebbe
così prospettata un’inedita mag-
gioranza composta da Democra-
tici e Lega, e che avrebbe destato
l’interesse dell’Udc di Pier Ferdi-
nando Casini.
C
Spiazzando così il Pdl, che non
vede di buon occhio la prospetti-
va di un premio di maggioranza
che consenta alla coalizione di
Pier Luigi Bersani e Nichi Vendo-
la, che parte con i favori del pro-
nostico, di consolidare una vitto-
ria annunciata.
Enzo Bianco e Lucio Malan, i
senatori incaricati dai due prin-
cipali partiti quali relatori del te-
sto, negli scorsi giorni hanno in-
tanto trovato un’intesa su alcuni
dettagli tecnici tutt’altro che mar-
ginali. L’obbligo per chi si presen-
ta di consegnare anche lo statuto
del proprio movimento politico,
e la concessione ai gruppi parla-
mentari anche di neo-costituzione
di non raccogliere le firme per
presentare le liste. La prima va a
colpire il Movimento 5 stelle, che
ad oggi è privo di statuto. Il se-
condo favorirebbe le eventuali li-
ste complementari. Sia quelle che
Silvio Berlusconi penserebbe di
affiancare al Pdl al quale non ri-
conosce più capacità attrattiva,
sia l’ipotetica lista di Bruno Ta-
bacci che coprirebbe le spalle dei
Democratici sul versante centri-
sta.
Ma il Cavaliere, che non ha
sciolto la riserva sul proprio fu-
turo politico, avrebbe chiesto ai
suoi senatori di tirare il freno, e
di cercare di rimandare una pos-
sibile intesa. Rimandando l’ap-
prodo del provvedimento in Aula
previsto per oggi. Così Gaetano
Quagliariello, che insieme a Ma-
lan gestisce la vicenda per conto
degli azzurri, ha presentato una
nuova proposta di mediazione.
La nuova bozza del vicepresidente
dei senatori pidiellini prevede che
ci sia una soglia del 40% per le
coalizioni per accedere al premio
di maggioranza. Sotto quella so-
glia scatterebbe un premietto fisso
unicamente per il primo partito.
Che dovrebbe comunque ottenere
almeno il 30% dei voti. Un bonus
di 50 seggi che equivarrebbero
circa all’8.2%.
Netta la contrarietà del Pd.
Che con Finocchiaro attacca: «Il
Pdl vuole la rottura, siamo nelle
sabbie mobili». Si continua a trat-
tare, ma un’intesa si allontana.
Legge elettorale, il Pdl rilancia
Si allontana la possibile intesa
L’azzurro Quagliariello
propone un premio solo
per chi supera il 40%.
Netta la contrarietà
del Pd. Finocchiaro
attacca: «Vogliono
la rottura, così si va
verso le sabbie mobili»
l 3 dicembre 2012 tutti i telegior-
nali rendono noto (quasi a reti
unificate) che in Piemonte e Liguria
sono state sgominate due potenti
famiglie della ’ndrangheta. Che «so-
no stati sequestrati ai clan palazzi,
terreni, auto, conti correnti... tesori
accumulati in 30 anni d’attività cri-
minale nel Nord Italia», precisano
i tiggì. E poi salta fuori che tra gli
indagati per ‘ndragheta vi sarebbero
anche amministratori locali, gente
che da più di 30 anni ricopre ruoli
d’assessore e sindaco, ieri con la Dc
ed oggi con il variegato mondo del
centro. Allora perché solo oggi
emerge che questa gente è organica
ad organizzazioni malavitose? È evi-
dente che ci troviamo a cospetto del
piano basso (anche se tanto ricco)
del patto stato-mafia. Piano basso
perché si tratta comunque di gente
che ha brigato con appalti nelle mu-
nicipalizzate, e certo non ha scalato
gruppi bancari o società quotate in
borsa. Ma queste presenze ultra de-
cennali s’insediano nei comuni del
I
Nord dopo il 1960, e con tanto di
benedizione dell’allora Scudo cro-
ciato. E questo dimostra che, forse,
i mammasantissima della Diccì
(
tanto rimpianti dall’attuale centro)
sapevano e volevano certe presenze
nelle amministrazioni locali. Oggi
l’Udc è un partitino, forse non su-
pera il 4%, però annovera adden-
tellati nelle amministrazioni di Si-
cilia, Calabria, Puglia e Campania:
dove localmente si rinnovano abi-
tudini oggi emerse in Piemonte e Li-
guria. Sgombriamo ogni dubbio:
sono le stesse politiche che Peppino
Impastato condannava come «po-
litica mafiosa». E certo fa effetto
vedere sindaci che prima parlano
di legalità in compagnia dei locali
prefetti e poi finiscono in manette
insieme a ‘ndranghetisti e camorri-
sti. Dove la verità? Sorge il dubbio
che il patto stato-mafia sia la vera
linea maestra della nostra Italia uni-
ta e repubblicana, e che questi scan-
dali non siano altro che una febbre
dettata dalle incompatibilità tra po-
tere legislativo e potere giudiziario.
Soprattutto è forte il sospetto che
non ci sia leader politico che, in
gran segreto, pianga per l’arresto
del proprio referente locale.
Oggi il Pd dice, almeno a parole,
d’aver introiettato la lezione di Im-
pastato: al punto da farne parte del
proprio programma. Al riconfer-
mato Bersani non toccherà nemme-
no spiegare all’elettorato di sinistra
(
e non solo) che, l’Udc non è erede
di quella Dc che avrebbe consigliato
alla mafia d’uccidere Impastato (il
giovane attivista infastidiva con un
programma radiofonico i grandi
elettori palermitani, impegnati nelle
speculazioni edilizie e nello sfrutta-
mento bracciantile). Bersani oggi
sta con Vendola, quindi non dovrà
dividersi con Casini il sostegno di
certi “grandi elettori” ormai sparsi
su tutto lo Stivale, ed anche all’este-
ro: non facciamo mistero del fatto
che italiani nel mondo, siciliani nel
mondo, calabresi nel mondo... tifino
in gran parte per il vecchio Scudo
crociato. Che bella società, pardon,
che onorata società quella che prega
per un centro equidistante.
Ma nemmeno in casa Pd posso-
no indossare panni tanto candidi.
A polemiche ancora calde sulla
trattativa stato-mafia”, è giusto
rammentare al lettore che nel 2000
i rapporti tra cooperative rosse
(
emiliane) e mafia portarono ben
quindici ordini di custodia cautela-
re, su iniziativa della procura della
Repubblica di Palermo. Lungi dal
voler sostenere che le difficoltà delle
politiche 2013 richiedano l’inter-
Quando il“patto stato-mafia”si tingeva di rosso
vento corroborante di “Cosa no-
stra”, non possiamo dimenticare
che, nei giorni successivi all’aprile
1982
e all’uccisione di Pio La Torre,
l’allora procuratore capo di Paler-
mo (Vincenzo Pajno) puntava il di-
to verso la pista interna al Pci. Paj-
no confezionava un’apposita
conferenza stampa in cui parlava
delle spartizioni tra coop rosse e
mafia. All’epoca si ventilava circa
pressioni romane perché la pista
aperta da Pajno venisse abbando-
nata: anzi venne bollata come “un
depistaggio”. Che il vecchio Pci
avesse in Sicilia rapporti consolidati
con grandi imprenditori e impor-
tanti mafiosi è storia risaputa. Qual-
che notabile ne parlava in giro con
la massima disinvoltura, e per am-
mantare di filo-governativo il par-
tito dei lavoratori. Napoleone Co-
lajanni aveva addirittura raccontato
con orgoglio d’aver preso i soldi «di
persona, ma per il partito quando
ero segretario della federazione di
Palermo». Ma anche altri prende-
vano soldi dalle stesse persone: so-
prattutto la Diccì aveva organizzato
con la mafia che anche il Pci capisse
l’importanza di mangiare dallo stes-
so piatto. I comunisti sostenevano
fosse giusto e utile prendere quei
quattrini per rafforzare il partito
del proletariato. La Diccì era con-
tenta, perché aveva fatto assaporare
un po’ di Occidente ai discepoli di
Mosca. «I soldi venivano consegnati
interamente al partito e questo è
moralmente ineccepibile», ripeteva
Colajanni ai suoi compagni. Ma
questa è una verità farisaica, degna
di chi ha servito il Pci e non l’Italia,
la Diccì e non l’Italia. L’elettorato
si starà chiedendo se nel patto sta-
to-mafia non fossero coinvolti an-
che i comunisti, pardon i coopera-
tori rossi. Il cinismo del momento
impone che il Pd sventoli il nome
di Impastato, e che si dia a bere al-
l’elettorato che Bersani incarni oggi
la lotta alla mafia. E mica il Pci sta-
va in Sicilia a pettinare le bambole
o a tirare palline di pane ai colombi:
quel Pci prendeva le tangenti dai
mafiosi per edificare i nobili ideali
del comunismo. Nell’ottobre del
2000,
il Tribunale della Libertà
s’esprimeva così a proposito degli
indagati di Palermo: «Le coopera-
tive rosse hanno stipulato accordi
con i più alti vertici dell’associazio-
ne mafiosa per la gestione degli ap-
palti pubblici». Sappiamo benissimo
che le responsabilità penali sono
personali, ma il Tribunale aveva
usato il termine “cooperative rosse”
alla stessa stregua di mafia o ‘ndran-
gheta. Non venivano chiamati in
causa i singoli, bensì un sistema as-
sociativo contemplato nella Costi-
tuzione (le cooperative). Decollava
ai più alti livelli istituzionali un tam-
tam per mettere una pezza a questa
vicenda. Quasi che indagare sulle
coop rosse fosse una sorta di lesa
maestà. Nel febbraio 2001 veniva-
no addirittura sequestrati beni e pa-
trimoni delle coop. Un imprenditore
del Pci venne considerato «anello
di congiunzione tra mafia e Ds» e
accusato di «concorso in associa-
zione mafiosa».
RUGGIERO CAPONE
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 5 DICEMBRE 2012
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