II
CULTURA
II
Tutti quanti voglion fare il jazz...Tranne l’Italia
di
BARBARA ALESSANDRINI
utti quanti, tutti quanti, tut-
ti quanti voglion fare il
jazz, perché resister non si può al
ritmo del jazz...» cantava Scat Cat,
il favoloso gattone grigio degli
Ari-
stogatti
.
In Italia, invece, di resisten-
ze il jazz ne incontra parecchie. Al
crescente consenso ed alla diffusio-
ne di questo genere musicale che ha
contrassegnato tutto il ventesimo
secolo e che ha acquisito un ampis-
simo bacino di pubblico oltre che
una notevole considerazione sul
piano internazionale, non corri-
sponde infatti sul piano istituzionale
un’adeguata attenzione e conformi
stanziamenti economici. Quello del
jazz è un settore che potrebbe di-
ventare economicamente strategico
per il Paese, un capitale culturale
dalle enormi potenzialità visto che
in questi anni ha acquisito un am-
pio bacino di pubblico e una rag-
guardevole reputazione internazio-
nale. Eppure un misto di obiettiva
cecità istituzionale e politica e di
snobismo prevalgono nei confronti
di una cultura musicale che, sebbe-
ne sia ormai entrata di diritto tra
le discipline insegnate in conserva-
tori ed accademie e abbia contami-
nato l’intero ventaglio delle forme
artistiche del secolo scorso e di
quello corrente, seguita a risentire
di un vecchio ma consolidato pre-
giudizio che ne fa un figlio di un
dio minore nel prestigioso pantheon
della musica classica. E che di fatto
ne misconosce il carattere univer-
sale, cosmopolita, multiraziale e la
incredibile vocazione a fondere in
un linguaggio comune la varietà de-
gli influssi di provenienza.
Un trend questo che potrebbe
essere invertito stando alle dichia-
razioni fatte da molte forze politi-
che di voler includere lo sviluppo
del settore cultura come settore
strategico tra i punti programmatici
di governo. Ma che un nutrito
gruppo di esperti del settore musi-
cale jazzistico ha inteso puntellare
con la petizione “Per il Jazz” che si
trova sul sito
ed
ha già raccolto 200 firmatari tra cui
figurano i migliori musicisti italia-
ni. Gli aderenti richiedono che ven-
gano adottati alcuni provvedimenti
in grado di favorire una migliore
conoscenza di questa musica sia in
Italia sia all’estero e migliori con-
dizioni per i musicisti e gli organiz-
zatori e le altre figure professionali
del settore. Da un diverso sistema
di finanziamento che superi i limiti
del Fus, con una maggiore atten-
zione per le strutture specializzate
nel jazz e nelle musiche d’oggi; che
i finanziamenti premino l’attività
dei musicisti giovani e impegnati
nella sperimentazione di nuove for-
me e nuovi linguaggi; l’adozione di
parametri di valutazione che favo-
riscano il lavoro dei musicisti libe-
ro-professionisti; l’istituzione di una
orchestra nazionale del jazz anche
giovanile e di un fondo, che per la
musica classica esiste, per il soste-
gno dell’attività all’estero, così come
accade per l’attività dei musicisti
jazz di altri paesi europei, da de-
cenni sostenuta dai rispettivi istituti
di cultura; un fondo per favorire le
strutture di musicisti associati e le
co-produzioni fra strutture orga-
nizzative e che punti sulla forma-
zione a partire dalle scuole di mu-
sica fino ai centri di alta
«
T
specializzazione. In fine una più
ampia presenza nelle commissioni
di valutazione di esperti di musica
jazz ed attuale.
Non si tratta di rispondere ad
un cahiers de doleance
che riguarda
il mondo del jazz e la sua gestione
nel nostro paese ma di una presa
d’atto obiettiva delle occasioni di
crescita perse anche a causa di un
approccio che finora è stat incapace
di fare della cultura l’ effettivo vo-
lano di sviluppo economico che sa-
rebbe ed in particolare all’incremen-
to delle potenzialità di questo
universo musicale. E che nell’am-
bito del jazz mostra le sue più evi-
denti lacune. Anche alla luce di co-
me questo settore viene, al
contrario, trattato nel resto d’Eu-
ropa: Il Norsk Jazzforum viene fi-
nanziato con 1.475.965 di euro
l’anno, mentre i 3 centri jazz regio-
nali percepiscono un totale di
1.103.349
euro. Altri centri nazio-
nali, la maggior parte dei quali non
hanno l’onere di organizzare con-
certi ma solo fini promozionali, co-
noscitivi e di sostegno all’attività
internazionale: Jazz Danmark,
976.740
euro; Jazz Services Ltd. (il
suo ambito è limitato all’Inghilterra
e non comprende il resto del Regno
Unito), 547.055 euro; Finnish Jazz
Federation, 434.658 euro; Swedish
Jazz Federation, 790.000 euro; Afij-
ma, 364.783 euro. L’unica struttura
federativa paragonabile in Italia è
l’associazione I-Jazz, che percepisce
dal Ministero 12.000 euro l’anno.
Sono dati significativi che non deb-
bono servire da grimaldello ad un
approccio interamente statalista:
l’eccesso di intervento statale, lungi
dal rappresentare l’unico tonico per
la cultura, spesso ne è la flebo se
non affiancato dagli investimenti
privati e dalla capacità dei singoli
di imporsi sul mercato. Ma l’eleva-
to potenziale di moltiplicazione di
ricchezza e di lavoro del genere jazz
non è più dato trascurabile dalle
istituzioni che dovrebbero occuparsi
di creare le condizioni perché que-
sto mercato si affermi e sviluppi.
Quello del jazz
è un settore
che potrebbe diventare
economicamente
strategico per il paese,
un capitale culturale
dalle enormi potenzialità
visto che in questi anni
ha acquisito un ampio
bacino di pubblico
e una ragguardevole
reputazione
internazionale.
Eppure un misto
di obiettiva cecità
istituzionale e politica
e di snobismo
prevalgono nei confronti
di una cultura musicale
che, sebbene
sia ormai entrata
di diritto tra le discipline
insegnate in conservatori
ed accademie e abbia
contaminato l’intero
ventaglio delle forme
artistiche del secolo
scorso e di quello
corrente, continua
a risentire di un vecchio
ma consolidato
pregiudizio che ne fa
un figlio di un dio
minore nel prestigioso
pantheon della musica
classica. Un trend
che la petizione
Per il Jazz”sul sito
intende invertire
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 6 FEBBRAIO 2013
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