Page 5 - Opinione del 6-10-2012

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ESTERI
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Usa, l’occupazione aumenta
Obama esulta.Ma sarà vero?
di
STEFANO MAGNI
neppure un giorno dalla vit-
toria di Mitt Romney al primo
dibattito televisivo, il presidente Ba-
rack Obama può vantare un suc-
cesso insperato. Vera manna dal
cielo, per lui, la sua amministrazio-
ne e (in questo caso) l’America tut-
ta: il numero degli occupati sale di
114
mila unità nel mese di settem-
bre, al di sopra di ogni previsione.
La statistica è stata pubblicata ieri
dal Dipartimento del Lavoro. Il tas-
so di disoccupazione, in questo mo-
do, va al di sotto della fatidica so-
glia dell’8%, attestandosi al 7,8%,
il dato più basso dal 2009. Sembre-
rebbe, dunque, che il mercato del
lavoro americano stia tornando alla
situazione pre-crisi.
Questa è la notizia da prima pa-
gina, che avrà certamente un im-
patto positivo sulla campagna di
Obama. Fino a ieri, gli spot televi-
sivi repubblicani (promossi dal su-
per-comitato American Crossroads)
puntavano soprattutto sugli impe-
gni mancati del presidente sull’oc-
cupazione. Ad oggi la promessa ri-
sulta ancora disattesa: il 7,8% non
è il 5,6% previsto dalla Casa Bian-
ca al momento del lancio dello sti-
molo economico. Ma almeno l’am-
ministrazione democratica può
vantare un trend positivo. E invi-
tare gli elettori a rinnovare la fidu-
cia nel comandante in capo, per
A
uscire definitivamente dall’incubo.
Il problema, semmai, è un altro:
questa notizia è vera? La statistica
del Dipartimento del Lavoro è una
fotografia fedele del mercato del
lavoro? Il dato del 7,8% di disoc-
cupazione non tiene conto della
sotto-occupazione, che è ancora
ferma al 15%. Dunque: «Non
sembra una vera ripresa», ha spie-
gato Mitt Romney. Il quale, inoltre,
sostiene che: «Il tasso vero di di-
soccupazione è vicino all’11%».
Secondo Romney, infatti, il dato
del Dipartimento sarebbe infatti
stato falsato: «da chi ha smesso di
cercare lavoro lasciando la popo-
lazione attiva», su cui vengono cal-
colate le statistiche.
C’è chi, invece, mette in dubbio
i dati in sé. Jack Welch, ex numero
uno della General Electric, parla
esplicitamente di manipolazione:
«
Numeri sul lavoro incredibili –
scriveva, a botta calda, su Twitter
Questi ragazzi di Chicago (l’am-
ministrazione Obama, ndr) fareb-
bero di tutto… non si possono di-
scutere dei numeri che cambiano
così tanto». Ron Florance, della
Wells Fargo Private Bank dichiara
alle agenzie: «È un po’ strano, ad
essere onesto. Il numero dei lavori
creati non è così alto, ma il tasso di
disoccupazione è calato e quello di
impiego è cresciuto un po’. Sì, è uno
scenario confuso».
Ne vedremo delle belle: ci sarà
sicuramente chi parlerà di complot-
to della statistica a fini elettorali e
chi difenderà i risultati dell’ammi-
nistrazione. Spetta ai Repubblicani,
ora, passare all’attacco. Farebbero
un autogol se parlassero in termini
cospirativi. Farebbero meglio a con-
statare, piuttosto, che il 7,8% di di-
soccupazione è ancora un dato
molto allarmante. Che il 15% di
sotto-occupazione lo è ancora di
più. E che, da Ronald Reagan in
poi, nessun presidente ha mai vinto
con più del 6% di americani senza
lavoro. E a far sentire a tutti quel
che il vicepresidente, Joe Biden, ha
dichiarato ieri in Iowa: ha confer-
mato che intende far pagare “ai ric-
chi” 1000 miliardi di tasse in più.
Non proprio un toccasana per
un’economia che ancora stenta a
riprendersi.
Cuba: arrestata la dissidente Yoani Sanchez
K
La blogger cubana Yoani Sanchez è stata arrestata. Voleva
assistere al processo ad Angel Carromero (del Pp spagnolo) coin-
volto nell’incidente in cui morì il dissidente Oswaldo Paya
Turchia pacifista
anche sotto attacco
La disoccupazione cala
al 7,8%, il più basso
dal 2009. Contro ogni
previsione.Ma Romney
è scettico. Gli americani
realmente senza lavoro
possono essere
anche oltre l’11%
Come le sanzioni europee
piegano l’economia iraniana
due giorni dal bombardamen-
to siriano di Akcakale, in Tur-
chia, che ha provocato la morte di
due donne e tre bambine (civili,
inermi, uccise a casa loro) turche,
tutto il Paese, da Istanbul a Mersin,
è attraversato da grandi manifesta-
zioni. Ed è naturale, verrebbe da
dire: ti uccidono cinque concittadini
e stai pure zitto? E invece no, fermi
tutti! Le manifestazioni sono contro
la guerra. E sono iniziate da quan-
do il parlamento di Ankara ha vo-
tato, a maggioranza assoluta, l’au-
torizzazione all’uso della forza.
Quindi, riassumendo: bombardano
il tuo Paese, ti uccidono cinque con-
nazionali, il tuo parlamento auto-
rizza il tuo governo a reagire… e
tu manifesti per la pace? La Tur-
chia, almeno su questo, è piena-
mente inserita nell’Unione Europea.
Anche nei nostri Paesi l’unico in-
tervento armato consentito dall’opi-
nione pubblica è quello che provo-
ca 0 vittime, sia fra i tuoi che fra i
nemici. Ma almeno abbiamo una
giustificazione: tutti i conflitti com-
battuti dalle democrazie europee,
dalla Seconda Guerra Mondiale in
poi, sono interventi “fuori area”,
spedizioni all’estero, lontani dalle
nostre case, che non riguardano la
sicurezza del nostro territorio. La
Turchia, invece, ci sta superando in
fatto di pacifismo: le proteste scop-
piano dopo un attacco subito sulla
propria terra. Istanbul, Smirne,
A
Mersin, Eskisehir: migliaia di ma-
nifestanti lanciano slogan contro il
governo Erdogan, accusandolo di
essere “al soldo degli americani”. I
sondaggi pubblicati ieri, rilevano
che il 55% dei cittadini sia contra-
rio ad un conflitto con la Siria.
Qualcosa di analogo lo si vede-
va anche in Francia. Nel 1940. Fu
un caso storico celebre in cui l’op-
posizione e l’attivismo contro la
guerra non cessarono, né calarono
neppure nel momento in cui il Pae-
se veniva invaso dalle armate tede-
sche. La Francia, allora, era lacerata
fra un’estrema sinistra rampante (e
alleata degli invasori, grazie al patto
Ribbentrop-Molotov fra Urss e
Germania nazista) e un’estrema de-
stra latente e diffusa, che tutto som-
mato vedeva gli invasori di buon
occhio. La Turchia di oggi è invece
dominata da un’opinione pubblica
sempre maggiormente filo-islamica
e comunque anti-occidentale. In
questo caso specifico, il filo-islami-
smo non c’entra: Assad è nemico
dei fondamentalisti sunniti e il mo-
tivo del sostegno che il governo Er-
dogan sta dando all’opposizione è
un aiuto implicito ai Fratelli Mu-
sulmani. I manifestanti per la pace
vanno oltre (o ignorano del tutto)
queste logiche machiavelliche. A lo-
ro interessa dare addosso agli Usa.
Anche a costo di farsi bombardare
da Assad.
GIORGIO BASTIANI
l rial crolla (-17% in un solo
giorno), l’inflazione galoppa a
ritmo incessante (oltre il 20%), la
disoccupazione si attesta intorno
al 15% (2011), il Pil continua a
contrarsi e numerose imprese sono
ridotte allo stremo. Questi sono
alcuni degli effetti provocati dalle
sanzioni occidentali applicate ai
danni della Repubblica Islamica.
Una crisi del sistema economico
iraniano culminata lo scorso 3 ot-
tobre con la “rivolta dei bazaar”.
Nell’ultimo anno, i prezzi dei ge-
neri di prima necessità sono au-
mentati del 50% (latte e carne),
mentre il prezzo della benzina è
cresciuto a ritmi vertiginosi, sfio-
rando i 160 dollari al barile. Le
sanzioni economiche varate ulti-
mamente dall’Unione Europea
sembrano aver funzionato. Tutta-
via, è necessario valutare la loro
portata partendo da tre interroga-
tivi: freneranno il programma nu-
cleare? In che misura? E quali gli
effetti a lungo termine? I divieti
dell’Ue sono entrati in vigore il 1
luglio. Nessuna nave europea ha
più avuto l’autorizzazione a tra-
sportare il greggio iraniano, men-
tre il governo centrale di Teheran
non ha più avuto la possibilità di
farsi pagare in dollari o euro. Se
da un lato si voleva colpire la cor-
sa ai finanziamenti al programma
nucleare, dall’altro, gli effetti di
tali divieti sono ricaduti sulla po-
I
polazione. I prezzi esorbitanti nei
bazaar di Teheran, Isfahan e Ma-
shad registrati negli ultimi mesi ri-
flettono appieno la crisi interna.
A partire dall’aumento del prezzo
del pollo. Uno dei piatti principali
della cucina persiana ha subito un
aumento del 300%. Ancor più che
nei bazaar, è nelle stazioni di ser-
vizio che la “crisi” si fa sentire
maggiormente. Grazie alle sovven-
zioni, in Iran la benzina è sempre
costata poco. Tuttavia, da dicem-
bre a oggi, il prezzo è salito da
1000
rial (0,10 dollari) a 4000 rial
per sessanta litri di benzina acqui-
stati mensilmente. In alcune pom-
pe di benzina, il prezzo è arrivato
a sfiorare i 7000 rial (0,70 dollari).
Sappiamo bene che l’economia
iraniana dipende in gran parte dal
greggio. L’export di petrolio rap-
presenta oltre la metà delle entrate
governative e l’80% delle espor-
tazioni complessive. Le misure re-
strittive scattate il primo luglio
hanno frenato numerosi Paesi
dall’acquistare “oro nero” da Te-
heran. Le vendite di greggio sono
crollate letteralmente, registrando
un solo milione di barili al giorno
(-55%).
Meno export di greggio
(
scambiato in dollari) si traduce
in meno valuta preziosa che entra
in Iran. E ciò si ripercuote sulla
valuta locale, il rial. Certo, a pe-
sare sulla svalutazione della mo-
neta locale anche le faide interne
al regime. È evidente come il peso
delle sanzioni stia mettendo a dura
prova la tenuta del sistema, ma
questo non significa l’avvio di un
processo irreversibile. L’Iran, a di-
spetto di quanto possa sembrare,
è uno dei Paesi meno indebitati
del mondo e ha dimostrato di te-
nere duro anche all’indomani della
crisi finanziaria del 2008. Il crollo
delle esportazioni ovviamente pe-
serà non poco sulla sua tenuta, e
soprattutto il diffuso malcontento
rischia di innescare rivolte popo-
lari. Questo spiega l’imponente di-
spiegamento di forze paramilitari
per le strade della capitale. Intanto
nelle strade di Teheran iniziano a
vedersi i primi graffiti di contesta-
zione: “che prezzo avrà l’energia
nucleare?”.
PAMELA SCHIRRU
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 6 OTTOBRE 2012
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