Page 3 - Opinione del 06-11-2012

di
PIETRO SALVATORI
arà una coincidenza (o forse no),
ma l’editrice Donzelli ha fatto
uscire in un momento particolaris-
simo della vita del Partito democra-
tico un volume dal titolo “A vita -
Come e perché nel Partito demo-
cratico i figli non riescono a ucci-
dere i padri”. Un titolo forte, che
pone di suo un interrogativo: per-
ché tra i Democratici si arriva a
porre una questione fisiologica in
toni così drammatici? «Essenzial-
mente per la stasi che largo del Na-
zareno sta affrontando nel porsi il
problema del ricambio del vertice»
spiega a L’Opinione l’autore. Gior-
nalista, intellettuale, dirigente del
gruppo del Pd al Senato, Antonio
Funiciello parte da un’osservazione:
«
In Gran Bretagna la leadership di
Tony Blair e Gordon Brown ha
cambiato il partito. Alla prima
sconfitta, la dirigenza è completa-
mente cambiata. In Italia, nello stes-
so arco di tempo, a fronte di una
serie di sconfitte l’unica cosa mutata
è stato il nome». I motivi sono da
ricercarsi lontano nel tempo. Addi-
rittura ai tempi di Enrico Berlin-
guer: «Quando l’allora segretario
del Pci scelse la linea del compro-
messo con la Dc, si trovò di fronte
quadri dirigenti che non ne appog-
giarono la scelta. Dovette così pun-
tare sui giovani più capaci tra quelli
che aveva a disposizione, per poter
S
sostenere quella linea politica». Se-
condo Funiciello «una nuova classe
dirigente si può formare solo a par-
tire da una linea politica innovati-
va». Di cui, dalla metà degli anni
Settanta, gli eredi del Partito comu-
nista sono privi: «C’è una continui-
tà culturale che lega Pier Luigi Ber-
sani non solo a Berlinguer, ma
anche a Palmiro Togliatti. Mutatis
mutandis, la sua professione di “in-
contro delle masse popolari” non è
distante dall’unione tra progressisti
e moderati che oggi persegue il se-
gretario». Un processo di conser-
vazione che non è stato scosso nem-
meno dalla fondazione del Pd:
«
Alla fine risulta la somma degli
eredi politici del Pci con una parte
di azionisti di minoranza composta
dai cattolici democratici. Questi ul-
timi hanno rinunciato ad una bat-
taglia sulle idee per la guida del par-
tito, acconciandosi a svolgere il
ruolo di minoranza interna». Il pri-
mo a sparigliare il campo è stato
Matteo Renzi: «Il partito ad oggi è
governato da un patto di sindacato
composto di principali azionisti di
Ds e Margherita. Una gestione si-
mile a quella di una medio-grande
azienda italiana, alla quale Renzi
prova a dare una scalata dall’ester-
no. È ovvio che la dirigenza che lo
guida abbia una reazione istintiva».
Il sindaco di Firenze è a sua volta
un cooptato, dice l’autore. «Ma nel
2009
decise di rompere la “sindro-
me del vicesindaco”: quella secondo
la quale con un ex-Ds alla guida di
un grande comune, l’ex-Margherita
doveva fare il vice o il presidente
della Provincia. La sua candidatura
alle primarie cittadine e la sua sor-
prendente vittoria ha scardinato
uno schema consolidato». Funiciel-
lo spalleggia anche uno degli aspetti
della campagna renziana che ha su-
scitato più polemiche: «Ha ragione
quando afferma che occorre parlare
a quei milioni di elettori delusi dal
centrodestra. Al centro c’è una pra-
teria elettorale. Invece Bersani si
chiude a sinistra, e preferisce fare
un accordo con Vendola…».
II
POLITICA
II
Funiciello: «Come funziona
il patto di sindacato del Pd»
Lo sbarco in Sicilia
del rottamatore.
K
Pier Luigi BERSANI
onsidera ottimo il risultato di
Grillo e ritiene che per ridurre
l’impatto, il peso e la forza del
M5S, e recuperare l’astensionismo,
la politica debba fare una cura di-
magrante. Invita a scegliere tra
l’idea “dell’usato sicuro” di Bersani
e quella del “cambiamento radicale
che implica azzardi”, come la sua.
Matteo Renzi, sindaco di Firenze
e candidato alle prossime primarie
del Pd ha concluso ieri a Palermo
il suo tour che lo ha portato a per-
correre con il suo camper tutta
l’Italia. Un mini giro della Sicilia
a sostegno della sua candidatura
alle primarie del 25 novembre
una grande opportunità demo-
cratica e spero che siano in tanti
ad andare a votare»), ad una set-
timana dal risultato del voto per
le regionali. Un risultato che, no-
nostante l’elezione di Crocetta, a
cui Renzi ha rivolto un augurio di
buon lavoro, non ha premiato Da-
vide Faraone, leader dei “rottama-
tori” in Sicilia, non riconfermato
all’Assemblea regionale siciliana.
Quello stesso Faraone che alle pri-
marie del Pd, lo scorso marzo, per
la corsa a sindaco di Palermo, si
classificò terzo dopo Rita Borsel-
lino e Fabrizio Ferrandelli. E di ele-
zioni aveva parlato, anzi twittato,
nei giorni scorsi, Giorgio Gori, l’ex
manager Mediaset e
spin doctor
di Renzi che, con un commento
senza possibilità di equivoci, aveva
C
attaccato il facile entusiasmo di
Bersani per la vittoria in Sicilia,
perché il Pd perdeva metà dei voti
e non si poteva fare festa se a vo-
tarli era stato solo il 7% degli
aventi diritto. Renzi è arrivato alla
Camera di Commercio di Palermo
in compagnia di Faraone, dopo
avere visitato a Cinisi la casa di
Peppino Impastato e reso omaggio
alla sua memoria percorrendo quei
cento passi” fino alla casa del
boss Tano Badalamenti. La “ricet-
ta” proposta dal sindaco di Firenze
ai siciliani non si distacca molto
da quella indicata nei teatri di tutto
il Paese. Per il “rottamatore” del
Pd sono tre le priorità per riavvi-
cinare la gente alla politica: elimi-
nare il finanziamento ai partiti, di-
mezzare
il
numero
dei
parlamentari superando il bicame-
ralismo perfetto, e non candidare
coloro che hanno precedenti pe-
nali. Ha ribadito con forza che «la
classe politica che ha governato in
questi venticinque anni non può
portarci fuori dalla crisi» ed ha ri-
sposto all’attacco di Beppe Grillo
sui bilanci del comune di Firenze,
invitando «a controllare i numeri
e i dati sulla rete che Grillo ama
tanto». E alla fine ha assicurato:
«
Se perdo collaborerò con chi vin-
ce, non farò un mio partito. Ma se
vinco cambia tutto». Una minaccia
o una promessa?
ROSAMARIA GUNNELLA
Insieme a Di Pietro
ma una curiosità...
tavolta mi sento di stare dalla
parte di Antonio Di Pietro, se
non altro perchè (tranne qualche
risibile esempio) sembrano avercela
tutti con lui. Inclusa quella Milena
Gabanelli che, con il suo Reporter,
ha dato un duro colpo a quel poco
che era rimasto della credibilità
all’ex pm di Mani Pulite.
Oramai il trattorista di Monte-
nero di Bisaccia è stato abbando-
nato praticamente da tutti: sia dal
centrosinistra, sia da parte di quel
partito-movimento-clanfamilisti-
co-associazione da lui stesso fon-
dato. Dalla sua parte c’è soltanto
-
oltre a Marco Travaglio - la pro-
posta di un comico (l’altro, non il
vicedirettore del Fatto Quotidiano)
che lo ho proposto come papabile
Capo dello Stato: se fossimo nei
panni dell’ex pm, ci sentiremmo
quanto meno presi in giro dall’idea.
S
Ecco, Di Pietro è solo e chi scri-
ve intende esprimergli la propria
(
forse un po’ “pelosa”) solidarietà
perchè è fin troppo facile sparare
contro chi sta affogando, magari
infliggendoli prima anche un colpo
di remo sulla zucca. No, apprezze-
rei di più che siano le urne a deci-
dere le giuste sorti dell’Idv e del suo
padre-padrone, e non un semplice
servizio tv che ha peraltro attinto
il grosso del proprio contenuto da
articoli e libri scritti da altri.
Ma in questa sede, un quesito
vogliamo porlo; è una curiosità
che ha chi (come lo scrivente) non
vuol sapere di soldi, Mercedes e
scatole di scarpe, nè di Lucibello
o Pacini Battaglia, nè, tanto meno,
di associazioni, contributi pubblici,
proprietà o finanziamento pubbli-
co al partito-associazione. No,
niente di tutto questo. Ma quando
Antonio Di Pietro, intervistato da
Carlo Tecce del Fatto Quaotidia-
no, ha dichiarato che l’Idv è vitti-
ma «di un killeraggio, di un siste-
ma politico e finanziario che non
ha più bisogno di noi», cosa vole-
va intendere? A chi si riferiva ed
intendeva inviare il subliminale
messaggio? Ma, soprattutto, chi
del sistema politico e finanziario,
ha avuto bisogno di Di Pietro? E,
di conseguenza, quest’ultimo di
chi è stato “strumento”? Così, tan-
to per curiosità...
GIANLUCA PERRICONE
alleanza Grillo-Di Pietro con
Antonio Ingroia premier alle
prossime elezioni se la sono cercata
sia il Pd di Bersani che Sel di Ven-
dola. Il Partito democratico cerca
in qualche modo d’oscurare la ca-
rente democrazia interna con il tea-
trino delle primarie, ma l’elettorato
italiano sa benissimo che sia il Pd
che il Pdl si sono chiusi, non accet-
tano più nuovi adepti. Ecco che il
voto di protesta premia chi è tenuto
fuori dai giochi d’una poco demo-
cratica alternanza. Forse l’alleanza
Grillo-Di Pietro non governerà mai
l’Italia, certamente non raggiungerà
il 51%, con molta probabilità rac-
coglierà oltre il 20% di consensi.
Ecco che nell’Idv come nel “5 Stel-
le” c’è chi inizia a chiedersi cosa si
possa fare con più di 150 deputati
ed una forte presenza in tutte le
amministrazioni locali. Domande
che alimentano il dibattito interno.
Parimenti c’è chi si chiede se la
puntata di
Report
contro Di Pietro
non sia stata gradita al Pd di Ber-
sani. Un killeraggio mediatico già
visto. Quasi una bomba ad orolo-
geria progettata dai “democratici”
per boicottare l’Idv.
Gli strascichi del dibattito inter-
no all’Italia dei Valori sono stati al
centro dell’assemblea emiliana degli
iscritti (s’è svolta domenica scorsa
a Bologna). Proprio dalla rossa
Emilia sarebbe partito l’ordine d’af-
fondare l’Idv. Ma l’ex pm s’è ben
L’
difeso: unico risultato sortito dal
Pd è l’accentuarsi delle due diverse
visioni politiche nel partito di Di
Pietro.
Liana Barbati (capogruppo Idv
in Regione Emilia) ha ammesso che
«
ci sono due visioni diverse, una è
quella del capogruppo alla Camera,
Massimo Donadi, più vicina al cen-
trosinistra e allo stare con il Pd; l’al-
tra, quella del presidente Di Pietro,
più movimentista, per un soggetto
politico nuovo nel quale oltre al-
l’Idv ci siano anche pezzi di società
civile, parti della Fiom...». Ma, per
gli strateghi del Pd, le mosse di Di
Pietro avvicinano ai palazzi istitu-
zionali lo spettro del Movimento 5
Stelle di Beppe Grillo. «Io - esclama
la Barbati - mi sento più vicina a
Di Pietro».
Non dimentichiamo che nuota
nel laboratorio politico emiliano
anche Franco Grillini (storico lea-
der dell’arcigay ed attuale consi-
gliere regionale Idv. «In generale, il
partito deve cambiare forma e forse
anche il nome - dice Grillini -
Aspettiamo l’esito dell’incontro del
gruppo parlamentare. Personalmen-
te, non sono molto interessato al
rapporto privilegiato con Grillo.
Lui vuole chiudere i partiti e io non
mi voglio far chiudere da lui, non
mi sento di far parte di una bad
company».
Ma le parole della Barbati sul-
l’attuale momento non lasciano
spazio ad equivoci: «Siamo sotto
attacco». «Siamo stati colpiti, ma
non affondati», sottolinea Maurizio
Zipponi, responsabile del diparti-
mento lavoro dell’Idv, commentan-
do il «killeraggio mediatico»...
«
Reagiamo non dicendo che è
un complotto - spiega la strategia
Zipponi - ma che è tutto falso, con
alla mano le sentenze pubblicate
con misure catastali e con la rela-
zione della Corte dei conti... L’Idv
non si scioglie, ma apre una fase
costituente per creare una nuova
realtà politica. E’ in corso una ri-
voluzione gentile nel sistema poli-
tico e noi vogliamo farne parte». E
l’alleanza con Grillo? «Di Pietro -
chiosa Zipponi - porterà l’Idv ad
essere una forza europea grazie ad
importanti accordi».
RUGGIERO CAPONE
L’alleanzadell’Idv conGrillo
brucia altri voti aiDemocratici
Non governeranno mai,
certamente non
raggiungeranno il 51%.
Ma c’è chi inizia
a chiedersi cosa
potranno realizzare
con più di 150 deputati
in Parlamento
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 6 NOVEMBRE 2012
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