II
POLITICA
II
La frammentazione politica
alla prova (incerta) delle urne
di
GIUSEPPE MELE
ancano pochi giorni allo stop
per i sondaggi elettorali. Il
rincorrersi di statistiche, cifre e trend
di preferenza per questo o quel te-
ma, questo o quel leader finirà di
spumeggiare e riflettersi su un elet-
torato sufficientemente instabile. I
sondaggisti hanno sostituito gli opi-
nionisti. Gli elettori stanchi e sfidu-
ciati poco convinti dell’utilità stessa
del voto, inconcludente per concre-
tizzare le loro speranze, non si orien-
tano seguendo diagrammi e opinioni
ma affiancandosi ai gruppi più nu-
merosi. La denuncia ufficiale sul da-
to sistemico della corruzione mostra
all’elettore un ceto dirigente tutto,
nessuno escluso, colluso. La sinistra
non vede l’ora che i sondaggisti tac-
ciano, conscia che la campagna elet-
torale le sia nociva in sé.
Swg per Agorà dà il 33, 6% alla
coalizione del bene comune di Pd e
sinistre annesse , Lorien Consulting
il 35,2%, Emg per La7 il 35,9%,
Datamonitor per Class il 34,5%, Ipr
Marketing per Tg3 il 34,7%. De-
mos per Repubblica il 36,4%, Ipsos
per Ballarò 37,6%.
Ben 4 i punti di differenza tra
massima e minima previsione, che
concordano solo su un lento ma
continuo trend negativo che proba-
bilmente continuerà fino al momen-
to di voto effettivo. Ingroia e Grillo
erodono voti. Il centrosinistra ha
esploso tutti i suoi effimeri positivi
fuochi artificiali con le primarie in-
torno la fine dell’anno; da allora ha
evidenziato uno stanco volto com-
promissorio basato sulla coesistenza
di apparato e neoliberismo renziano,
voglia di sociale ma necessità di au-
sterità, sbiadito antiberlusconismo
e soprattutto la tipica arroganza del-
l’autosantificazione sottolineata dai
titoli “Italia giusta” e “bene comu-
ne”. Ridicolmente il peggior scan-
dalo da Lehman Brothers senese è
scoppiato proprio tra i giusti che per
far meglio hanno peggiorato le cose,
scaricando le colpe su uno dei vecchi
gioielli di famiglia: il potere locale
delle regioni rosse. Su queste diffi-
coltà, in un clima poco maggiorita-
rio, si sono impiantati i rosicchiatori
radicali, Grillo e Ingroia, il quale ap-
parso all’ultimo istante sottrae più
voti al centrosinistra di quanto non
facesse Di Pietro.
Se Bersani si allontana dal cen-
trismo tassatore di Monti, perde
consensi negli apparati, se gli si av-
vicina, li perde nel mondo delle dif-
M
ficoltà sociali, senza che Vendola del
Sel (in continua discesa), chiuso nel
recinto della coalizione possa far re-
cuperare. A destra, perso il senso del
bipolarismo netto, resta una sostan-
ziale diaspora inconclusa. Il Pdl ha
recuperato passivamente qualche
punto per “l’effetto Mps”, ha ripre-
so un punto con l’idea di restituire
ai tassati gli importi dell’Imu 2012
ma soprattutto è risalito di due pun-
ti con l’’effetto Balotelli”, centomila
voti lombardi, “due gol segnati alla
Germania”. Per tradizione il partito
di Berlusconi aggredisce poco gli al-
tri ma si alimenta di proposte e so-
prattutto di sogni positivi. Non
guarda ai suoi voti quanto al distac-
co dal Pd che per Tecnè è di meno
5,
per Demos di 11. Malgrado i di-
versi orientamenti, è sotto gli occhi
di tutti il recupero miracoloso del
Pdl sotto di 20 punti ancora pochi
mesi fa.
L’idea di autoriformare il centro-
destra è per ora fallita. Chi lo voleva
più notabilare, liberale storico, ri-
spettabile ed oligarchico è finito nel
piccolo centro, summa dei poteri
della manomorta ecclesiale e del pu-
gno di ferro del contabile, del buro-
crate e del banchiere.
A dicembre tanti volevano un
Pdl montiano, un Ppe italiano: Ale-
manno, Frattini, Augello, Lupi, For-
migoni, Urso, Ronchi e Quagliariel-
lo, seguiti per forza di cose da
Cicchitto. Ora Frattini, sfilato, sarà
il nome ufficiale dell’Italia alla Se-
greteria Nato. Urso e Ronchi sono
fuori, Formigoni ha ingoiato il rospo
della candidatura leghista alla Lom-
bardia, Augello è stato protetto dal
garante Alemanno. Salvi Quaglia-
riello e Lupi, l’ex falco Stracquada-
nio è fuori, ridotto a coordinatore
di Albertini in Lombardia.
Il centro montiano, sostenuto in
ogni modo dai migliori media è pas-
sato dall’obiettivo del 20% al ter-
rore di finire a metà della metà. L’al-
ternativa antimontiana nel Pdl, nata
a dicembre, in versione giovanile
con il duo Meloni-Crosetto e nazio-
nalista con La Russa, non è matu-
rata. L’involuzione finiana ha alla
lunga trascinato al cupio dissolvi
tutta l’ex nomenclatura An senza
idee proprie da sostenere. Il giova-
nilismo dei cattivissimi è troppo ca-
ratterizzato da un sottile giustizia-
lismo, simile al dipietrismo o alle
idee confuse di una Polverini, infe-
licemente ripresentata.
I Fratelli d’Italia avrebbero pra-
terie davanti a sé sui temi delle con-
traddizioni del dualismo Authority-
Ministeri, della produzione digitale,
del declino manifattuerio, delle
best
practises
da applicare, dello sposta-
mento dei poteri dalle regioni alle
grandi città metropolitane. Dovreb-
bero costruire una forte proposta
politica ma forti sopratutto sull’or-
ganizzazione, cedono alla tentazione
di ripetere leitmotiv propri della si-
nistra.
A latere ci sarebbero le proposte
utili del Fare gianniniano, come del
Tea Party, che non si decide mai a
presentarsi al voto. Proposte irrag-
giungibili soprattutto per il rifiuto
di Fare o Tea Party di mettersi in
gioco chiaramente nel loro luogo
naturale del centrodestra. Così con
intelligenza il buco lo riempe Storace
la cui proposta di unire sanità di
Roma e del Lazio, dando effettiva-
mente i poteri regionali a Roma Ca-
pitale è di una concretezza terribile,
una delle poche idee della campagna
elettorale capace di cambiare le cose.
Fratelli e Destra, dati poco sopra
l’1% saranno la sorpresa, il plus uti-
le al balzo del centrodestra. In as-
senza di leader forti, il Cavaliere ha
ripreso le fila del labirinto correnti-
zio Pdl nel quale corrono disperati
i finiani, tirabdo giù con loro anche
ex amici come Aracri e Cursi. Par-
tenze e ridimensionamenti, a parte
Meloni e Crosetto, paradossalmente
fanno bene al Pdl, momentanea-
mente perché nessun nodo è sciolto:
un populismo destro, capace di ri-
conoscere il nuovo elettore, oltre le
divisioni di sigle partitiche scompar-
se, non è ancora vincente e pochi ri-
conoscono che il centrodestra lom-
bardo ad esempio è culturalmente
tutto leghista.
Come nel 2006, nel 2008 le in-
credibili capacità di Berlusconi, in
versione aggressiva Brunetta, met-
tono una pezza. Il nuovo Parlamen-
to, pieno di giustizialisti e di grillini,
in equilibrio sulla punta di spillo
dell’entente Pd-Monti, si giocherà
attorno ad un centrosinistra al
30%,
soglia già toccata dal Pd da
solo; e da un centrodx poco sotto.
Poi si tornerà a votare in attesa del-
la maturazione, per ora evitata, del
centrodestra.
Forse la prossima volta gli au-
toesclusi rinnovatori si metteran-
no in gioco, ma allora l’ostacolo
sara il ritorno degli sconfitti di
questa tornata. Perché nella par-
titica italiana il brutto – ed il bello
è che nessuno si dà mai per vin-
to, nemmeno di fronte alla più
brutale realtà.
A poche settimane
dal voto, il rincorrersi
di statistiche, cifre
e trend di preferenza
per questo o quel tema,
questo o quel leader
finirà di spumeggiare
e riflettersi
su un elettorato
sufficientemente
instabile. I sondaggisti
hanno sostituito
gli opinionisti.
Gli elettori stanchi
e sfiduciati poco convinti
dell’utilità stessa
del voto, inconcludente
per concretizzare
le loro speranze,
non si orientano
seguendo diagrammi
e opinioni
ma affiancandosi
ai gruppi più numerosi.
La sinistra non vede
l’ora che i sondaggisti
tacciano, conscia
che la campagna
elettorale
le sia nociva in sé
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 7 FEBBRAIO 2013
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