l governo di Pyongyang ha reso
noto la volontà di testare un raz-
zo a lunga gittata tra il 10 ed il 20
di Dicembre del 2012. Il razzo, così
rivela la nota del governo nordco-
reano, verrà dislocato nella base di
lancio di Dongchang-ri, nella parte
nordoccidentale del Paese e verrà
lanciato proprio in concomitanza
con le elezioni presidenziali a Seul,
Corea del Sud.
Il governo della Corea del
Nord, presieduto dal terzogenito
Kim Jong-un, ha tenuto a precisare
la valenza scientifica di tale proget-
to pensato esclusivamente, nel pia-
no dei nuovi studi satellitari del
paese, “per l’osservazione terrestre”.
Le reazioni a questa notizia non
si sono fatte attendere: l’Ue ha par-
lato di un atto provocatorio chie-
dendo di astenersi dal lancio, men-
tre la Corea del Sud ha sottolineato
le sue preoccupazioni rivelando le
reali intenzioni di Pyongyang, cioè
dei test di lancio di missili a lungo
raggio potenzialmente capaci di
raggiungere anche le coste norda-
mericane, con tanto di testata nu-
cleare. Persino Mosca ha ammoni-
to il governo nordcoreano nel
recedere dalla volontà di effettuare
questi test.
L’avvento al governo dell’ultimo
figlio della dinastia dei Kim Jong
non ha cambiato molto la Corea
del Nord. Il Paese rimane ancora
uno degli ultimi baluardi ad im-
I
pronta socialista-dittatoriale, con
una economia pianificata e regola-
mentata dal controllo totale dello
Stato, su impronta della vecchia
Repubblica Popolare Cinese.
Da oltre trent’anni il Paese tiene
nascosti i propri dati statistici.
Le poche notizie pubbliche in-
dicano un reddito pro-capite di 100
dollari all’anno con una industria
di vecchio stampo stalinista, cioè
appoggiata all’industria pesante
(
militare) con la produzione agroa-
limentare basata su realtà di picco-
lissime imprese familiari.
L’industria pesante, carbone, ac-
ciaio e prodotti chimici, è l’unica
che riesce a dare un minimo di so-
stentamento al Paese, anche grazie
alle commesse cinesi. Tutti gli altri
settori sono pressoché pari a zero
ed analizzando i pochi dati in no-
stro possesso scopriamo come il Pil
si stia lentamente spostando verso
il settore agroalimentare (anch’esso
in forte crisi) a discapito dell’indu-
stria estrattiva e manifatturiera, sot-
tolineando la graduale deindustria-
lizzazione del Paese.
I continui e ripetuti test missili-
stici di questi anni, la sperimenta-
zione nucleare e la scellerata poli-
tica monetaria stanno spostando
sempre più la Corea del Nord ver-
so la catastrofe umanitaria.
La Corea del Nord in realtà an-
cora non si è ripresa dalla cessazio-
ne improvvisa degli aiuti sovietici,
avvenuta circa vent’anni fa. Per
questo motivo il governo di Pyon-
gyang, ormai nella black list mon-
diale e quindi estromesso dalla
Banca Mondiale e dall’FMI, ha
spinto l’acceleratore sui test nuclea-
ri e missilistici, unico mezzo per po-
ter di fatto ricattare l’Occidente,
anche grazie all’unico alleato, la Ci-
na, che ha sempre fatto buon viso
a cattivo gioco, più per interessi
economici che di reale interesse
umanitario.
Un vulcano assopito che ri-
schia di esplodere da un momento
all’altro.
CRISTOFORO ZERVOS
II
ESTERI
II
Pyongyang ricatta il mondo
con i suoi test missilistici
L’ufficiale saudita
che nonodia Israele
La nuova Primavera egiziana ignorata daObama
di
STEFANO MAGNI
ercoledì sera c’è stata una ve-
ra e propria battaglia attor-
no al palazzo presidenziale egizia-
no. Un sit-in di democratici è stato
attaccato dai Fratelli Musulmani e
disperso. Subito dopo, migliaia di
attivisti, soprattutto giovani, sono
tornati in campo. E allora sono vo-
late pietre e molotov. Il bilancio è
stato di 5 morti e più di 600 feriti.
Le insurrezioni sono dilagate anche
oltre la capitale egiziana: le sedi del
partito Libertà e Giustizia (espres-
sione dei Fratelli Musulmani) sono
state attaccate anche a Ismailia e
Suez. Per evitare ulteriori disordi-
ni, l’esercito è entrato in scena,
schierando una piccola forza do-
tata di carri armati e mezzi blin-
dati. La mattinata di ieri è stata
caratterizzata da appelli alla calma
e al dialogo, provenienti, prima di
tutto dall’Università di Al Azhar,
punto di riferimento dell’Islam
sunnita. Al Azhar ha anche chiesto
esplicitamente al presidente Mo-
hammed Morsi di sospendere il
suo decreto, con cui accentra nelle
sue mani praticamente tutti i po-
teri fino alla fine della fase costi-
tuente. All’opposizione, però, non
basta. Le condizioni per il dialogo
sono chiare: revocare il decreto
presidenziale e rimandare il refe-
rendum sulla nuova Costituzione,
previsto per il 15 dicembre.
Si tratta di una nuova Primave-
ra Egiziana? Sì, ma in questo caso
non è semplicemente una “scossa
di assestamento”, né una lite fra i
M
vincitori della rivoluzione contro
Mubarak per il controllo del pote-
re. Sono in gioco principi fonda-
mentali: sono i laici, i cristiani e
tutti coloro che hanno creduto in
una svolta democratica che si stan-
no sollevando contro il potere con-
quistato (con la piazza prima e alle
urne poi) i Fratelli Musulmani. La
protesta è iniziata subito dopo la
promulgazione del decreto presi-
denziale che dà pieni poteri al pre-
sidente Morsi, accusato dai demo-
cratici di essere “un nuovo
Mubarak”. Poi è sfociata nella stes-
sa Assemblea Costituente, dove i
parlamentari laici, cristiani e mu-
sulmani moderati hanno boicottato
il voto. Nonostante tutto, l’Assem-
blea e il presidente hanno fatto ap-
provato la nuova bozza costituzio-
nale, che renderebbe l’Egitto un
vero e proprio regime islamico, ba-
sato sui principi e sulle regole della
legge coranica, con meno tutele per
donne e minoranze e nessuna ga-
ranzia solida per la libertà di
espressione. Prima della sua defini-
tiva approvazione, si dovrà passare
attraverso il voto, con un referen-
dum previsto per il prossimo 15 di-
cembre. Quindi i tempi sono bre-
vissimi per una posta in gioco estre-
mamente alta. I Fratelli Musulmani
sono convinti di vincerla, questa
consultazione popolare. In appena
due settimane (ormai 10 giorni)
nessuna forza di opposizione, né
democratica, né cristiana, né mu-
sulmana moderata, né nostalgica
di Mubarak, è in grado di mobili-
tare l’opinione pubblica, renden-
dola consapevole dei rischi che cor-
re il Paese. Gli unici organizzati sul
territorio e in grado di condurre
una campagna propagandistica so-
no solo i Fratelli Musulmani, asse-
condati, in questo caso, anche dai
più radicali salafiti. Le moschee so-
no il loro principale veicolo ideo-
logico. La loro base è costituita da
una maggioranza di egiziani che
vede nelle organizzazioni islamiche
e nelle loro opere caritatevoli, le
uniche fonti di sopravvivenza. I
fondamentalisti si fanno forza an-
che dell’ignoranza: il 40% di egi-
ziani è analfabeta e tende a fidarsi
ciecamente del parere dei leader re-
ligiosi. Se è Dio a volere il loro po-
tere e la loro legge è quella del Co-
rano, non c’è dibattito che tenga.
Benché abbiano il controllo del
potere legislativo, i Fratelli Mu-
sulmani non si sono ancora messi
alla prova del governo. Anzi, nel
corso della lunga fase di transizio-
ne, erano i vertici militari a man-
tenere ancora le redini del Paese.
Quindi il partito salafita e Giusti-
zia e Libertà hanno avuto modo,
per più di un anno, di presentarsi
come la vera (praticamente l’uni-
ca) forza di opposizione, hanno
potuto ergersi in difesa dei “valori
della rivoluzione”. Quando la ma-
gistratura e l’esercito, la primavera
scorsa, hanno tentato di limitare
arbitrariamente i poteri del presi-
dente, Morsi stesso ha potuto ca-
larsi nei panni del perseguitato. Il
risultato è che, alla fine del 2012,
quasi due anni dopo la caduta di
Mubarak, Morsi è al potere, ma
può ancora vantare un curriculum
di “verginità politica”.
Con queste premesse, un refe-
rendum il 15 dicembre, darebbe
quasi certamente la vittoria ai Fra-
telli Musulmani e alla loro nuova
costituzione islamica.
Restano poche forze che si con-
trappongono a questo destino, ap-
parentemente ineluttabile. La ma-
gistratura è divisa. Benché sia stata
direttamente colpita dal decreto
presidenziale (che rende non impu-
gnabile, nemmeno da parte dei ma-
gistrati, ogni atto del potere esecu-
tivo), solo una parte dei giudici ha
annunciato il boicottaggio del pros-
simo referendum. I giornalisti sono
divisi, benché la nuova bozza della
legge suprema limiti la loro libertà.
Dall’inizio della nuova ondata di
disordini ad oggi, i media egiziani
non sono riusciti a coordinare una
protesta sistematica. L’esercito, pro-
teggendo il palazzo presidenziale,
dimostra di non avere alcuna in-
tenzione di fermare l’islamizzazione
dell’Egitto. Finora, all’orizzonte,
non c’è alcun “Ataturk” locale che
faccia da barriera contro una mag-
gioranza religiosa. L’esercito era
stato determinante per il rovescia-
mento della dittatura di Mubarak.
Ma allora, alle spalle dei militari,
c’era una precisa presa di posizione
dell’amministrazione Obama. Da
Washington era arrivato un avver-
timento chiaro e tondo: o scaricate
il dittatore, o tagliamo gli aiuti mi-
litari. E i generali non hanno avuto
dubbi su cosa scegliere. Adesso, al
contrario, la stessa amministrazione
Obama si distingue per il suo silen-
zio. Hillary Clinton, mercoledì, si
è limitata a invitare le parti al dia-
logo. La primavera scorsa, invece,
la stessa Clinton aveva duramente
protestato contro il mezzo golpe
bianco della magistratura e del-
l’esercito, ai danni del presidente
Morsi. Non si tratta solo di distra-
zione. A questo punto è una scelta
di campo. Vuoi perché li credono
pragmatici, vuoi perché li conside-
rano (nel bene o nel male) “inarre-
stabili”, i Democratici americani
hanno scelto di sostenere i Fratelli
Musulmani. I democratici egiziani,
i laici, le minoranze cristiane, i mu-
sulmani che credono sinceramente
nella libertà, possono anche prote-
stare e farsi uccidere. L’America,
terra della libertà, difficilmente sta-
rà dalla loro parte.
L’America non appoggia
i nuovi ribelli.
L’amministrazione
Obama sceglie Morsi
Adesso sono i laici,
i democratici e i cristiani
che si ribellano
a un futuro islamico
on è Israele il nemico dei
popoli arabi ma la man-
canza di democrazie nei loro re-
gimi». Quante volte abbiamo let-
to o sentito queste parole. Quasi
un’ovvietà. Però sulla bocca di
un alto dignitario saudita, in un
articolo sul giornale “Arab
News”, fanno un certo effetto.
L’autore è Abdulateef Al-Mulhim,
un ammiraglio a riposo della
Reale Marina Saudita.
Al-Mulhim fa riferimento alle
violenze attualmente in corso nel
mondo arabo e si chiede se non sa-
rebbe meglio che i paesi arabi pren-
dessero i soldi che spendono per
combattere Israele e li investissero
in istruzione, sanità, infrastrutture.
«
Qual è il costo reale di queste
guerre, per il mondo arabo e la sua
popolazione? - scrive Al-Mulhim -
qual è stato il costo reale del man-
cato riconoscimento di Israele nel
1948?».
Al-Mulhim afferma che la
condotta degli israeliani verso i pa-
lestinesi non è stata di certo peg-
giore della violenza che gli Stati ara-
bi hanno impiegato contro i loro
stessi popoli.
«
In passato – scrive - abbiamo
parlato tanto di come mai alcuni
soldati israeliani attacchino e mal-
trattino i palestinesi. E abbiamo vi-
sto aerei e carri israeliani attaccare
vari Paesi arabi. Ma sono mai pa-
ragonabili, quegli attacchi, alle atro-
cità che vengono commesse da al-
«
N
cuni Stati arabi contro la loro stessa
gente?».
«
I profughi palestinesi sono or-
mai in seconda fila rispetto ai mi-
lioni di profughi arabi costretti ad
abbandonare i loro Paesi sconvolti
dalla guerra – scrive impietosamen-
te l’ammiraglio saudita in pensione
-
l’Iraq patisce una continua fuga
di cervelli verso l’Occidente, il Sinai
è in preda a disordini e la tragedia
umana più triste del mondo si sta
scrivendo nello Yemen. Mentre
molti paesi arabi sono in questo
modo allo sbando». «Cosa invece
è accaduto intanto in Israele, il ne-
mico giurato degli arabi? Israele
oggi ha le più progredite strutture
di ricerca, università d’eccellenza,
infrastrutture avanzate. Molti arabi
non sanno che l’aspettativa di vita
dei palestinesi che vivono in Israele
è di gran lunga migliore di quella
di molti Paesi arabi, e che essi go-
dono di maggiore libertà politica e
sociale di molti loro fratelli arabi».
Parole sante si potrebbe dire.
Probabilmente anche i nuovi futuri
padroni della politica estera italia-
na, i vari Bersani che come prima
cosa da fare dopo la vittoria delle
primarie si recano in Libia ad assi-
curare l’attuale regime sul futuro
cambio delle relazioni con Israele
da parte del nostro Paese, farebbero
bene a farsi tradurre e a leggersi
l’articolo di “Arab news”.
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 7 DICEMBRE 2012
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