Pagina 2 - Opinione del 09-9-2012

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La solita Sicilia di filosofi senza patriottismo
di
GIANNI PARDO
n siciliano che dicesse molto
bene della Sicilia sarebbe un
patriota ma non direbbe la verità.
Tuttavia la percezione degli innu-
merevoli difetti degli isolani non
deve oscurare la visione di ciò che
questa regione può avere di po-
sitivo.
La Sicilia è la più grande regione
italiana e la più grande isola del
Mediterraneo. Nota sin dalla più
remota antichità, è stata invasa, do-
minata e colonizzata dai cartagine-
si, dai romani, dagli spagnoli, dagli
svevi, dai normanni. Insomma ha
conosciuto tutti i popoli europei,
per non contare gli arabi, ma sem-
pre sotto forma di dominatori. Per-
fino quando è divenuta “italiana”,
non si è sentita parte di una nazio-
ne indipendente: ha solo pensato
di avere cambiato padrone.
Essere siciliani ha sempre corri-
sposto ad essere sudditi. Persino
quando si è avuto qualche potere
indipendente - basti pensare alla Si-
racusa dei tempi di Alcibiade - que-
sto potere non è stato autoctono,
e non era certo un siciliano Fede-
rico II di Svevia. Insomma la Sicilia
ha solo importato tutte le civiltà,
senza mai inventarne, senza mai
esportarne una.
Naturalmente nessuno pretende
che i siciliani, in particolare quelli
usciti dalla scuola post-sessantot-
tina, abbiano coscienza della pro-
pria storia. Ma le nazionalità la
sanno più lunga dei singoli. I fran-
cesi passano il loro tempo a dire
U
male della Francia e tuttavia, gratta
gratta, sono fieri di una storia che
magari non conoscono. All’estero
si è convinti che i francesi siano
molto nazionalisti, in realtà i fran-
cesi non sono fanatici come pensa-
no altrove. Parlano appassionata-
mente male della Francia ma come
si può parlare male dei genitori. Se
lo possono permettere solo loro.
I siciliani non gli somigliano. A
causa delle loro millenarie esperien-
ze non credono a nulla e men che
meno alla Sicilia. Spesso anzi la di-
sprezzano. Hanno piegato le ginoc-
chia dinanzi agli dei dell’Olimpo,
a Gesù Cristo, a Maometto e an-
cora a Gesù Cristo, sempre senza
entusiasmo. In materia di Stato
hanno conosciuto soltanto un po-
tere intento a fare il proprio inte-
resse e non quello dei governati.
Quanto alle idee, sono convinti che
siano un trastullo di intellettuali
falliti oppure uno strumento per
imbrogliare il prossimo. In materia
di morale, credono un po’ a quella
imposta dalla famiglia e dagli amici
(quelli che definiscono “cosa no-
stra”) ma sono totalmente insensi-
bili alle belle parole. Capiscono che
lo Stato debba applicare le leggi e
punire chi le viola, ma sanno anche
che se chi le viola è amico delle per-
sone giuste poi non è punito. Il di-
vieto di sosta vale per tutti ma non
per il sindaco e i suoi amici.
Lo scetticismo riguardo ai valori
della collettività raggiunge in Sicilia
vette impensabili. A un professore
che si vantava di non avere mai ri-
cevuto una raccomandazione - tale
era la sua fama - un vecchio sicilia-
no rispose: «E così ti sei giocato gli
amici». Nell’isola chi osserva le leg-
gi è una persona di buon senso solo
se, non facendolo, sarebbe punito.
Ma se altri non le osservano e non
sono puniti, allora sarebbe un fes-
so se non le violasse anche lui. Se
basta lasciare il cappotto sulla se-
dia, in ufficio, per potere andare
a sbrigare gli affari propri o a pas-
seggiare con gli amici, ecco che
tutti sono spesso “fuori stanza”.
A tempo indeterminato. Magari
in compagnia del capufficio. I si-
ciliani rispettano le regole come
le mucche rispettano la recinzione
elettrificata: se si toglie la corrente,
il limite scompare.
Un implacabile realismo fa com-
prendere agli isolani la loro realtà
e l’esperienza storica non suggerisce
speranze. Il risultato è un pessimi-
smo così profondo da divenire im-
percettibile: nel senso che il peggio
è costantemente l’unica ipotesi, ac-
cettata in partenza come inelutta-
bile. Non vale nemmeno la pena di
parlare.
La politica siciliana è l’epitome
di una mentalità caratterizzata da
una serie di assenze: mancano gli
ideali politici, le preoccupazioni di
coerenza, le regole di lealtà, gli scru-
poli morali, i principi economici e
perfino i veri programmi. Ecco per-
ché la Sicilia è il luogo ideale degli
esperimenti politologici. Solo in un
mondo del genere si può tentare
l’impensabile. Qui il Diavolo e l’Ac-
qua Santa, prima di litigare, si chie-
dono se da una loro alleanza non
possano ricavare più vantaggi che
dalla loro guerra.
Ai siciliani in quanto tali do-
vrebbe essere attribuita dalla nasci-
ta la qualifica di scettici. Ma non
come quegli ingenui filosofi greci
dell’antichità che reputavano la ve-
rità inconoscibile e incomunicabile.
Ai palermitani, ai catanesi della ve-
rità non frega assolutamente nulla.
Essi sono filosofi scettici in modo
molto più serio, più profondo, più
totale. Olistico, direbbero gli intel-
lettuali. Essi si preoccupano solo di
sé, della loro famiglia e dei loro
amici solo in quanto utili e finché
sono utili. Per il resto, bellum om-
nium contra omnes.
Machiavelli può rimanere a
Firenze. In Sicilia sarebbe un in-
genuo.
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Un’isola storica
che ha importato
tutte le civilità senza
esportarne mai una
Lo scetticismo
verso la collettività
raggiunge vette
impensabili nel territorio
II
POLITICA
II
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 9 SETTEMBRE 2012
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