Pagina 5 - Opinione del 9-10-2012

II
ESTERI
II
Eccola qui la“nuova”Libia
che ci sequestra i pescherecci
di
STEFANO MAGNI
omenica, alle ore 13, due pe-
scherecci italiani, di Mazara del
Vallo, il “Daniela L” e il “Giulia Pg”
sono stati fermati dalle motovedette
libiche e scortati a Bengasi, dove so-
no stati posti sotto sequestro. I mi-
litari nordafricani avrebbero anche
sparato raffiche di mitra, secondo il
sindaco di Mazara, Nicola Cristaldi.
Che definisce l’accaduto «di una
gravità assoluta». La Farnesina ha
subito attivato l’ambasciatore a Tri-
poli, Giuseppe Grimaldi e il console
a Bengasi, Guido De Santis per ot-
tenere il dissequestro. A bordo delle
due imbarcazioni ci sono 14 uomini
d’equipaggio, italiani e tunisini. I pe-
scherecci erano in acque internazio-
nali. Ma i libici considerano, unila-
teralmente, quell’area come cosa
propria.
Sembra un déja vu. E in effetti
lo è. Lo stesso peschereccio “Daniela
L” era stato fermato il 1 dicembre
2010.
Allora, alla testa della Libia,
c’era il colonnello Gheddafi. Eppure,
cambiano i governi, cambiano ad-
dirittura i regimi, ma non le inten-
zioni dei nostri vicini meridionali.
Le notizie dei sequestri sembrano
tutte uguali. Vediamone alcune, an-
dando a ritroso. Il 7 giugno scorso,
tre pescherecci di Mazara del Vallo,
Boccia II”, “Maestrale” e “Antonio
Sirrato”, vengono fermati da imbar-
cazioni di miliziani libici armati, a
D
42
miglia dalla costa libica, ben al
di fuori delle acque territoriali di Tri-
poli. Il 26 novembre 2011, due pe-
scherecci siciliani, “Asia” e “Astra”
(
il primo di Mazara del Vallo, il se-
condo di Siracusa), vengono fermati
anch’essi, abbordati e sequestrati a
ben 40 miglia da Misurata. 16 no-
vembre 2011: un peschereccio di
Mazara del Vallo, il “Twenty Two”
viene fermato da una motovedetta
libica e scortato a Tripoli. Stava na-
vigando a 31 miglia dalle coste libi-
che. 12 settembre 2010: l’“Ariete”,
di Mazara del Vallo, viene fermato
a colpi di mitra (sparati ad altezza
uomo) da una motovedetta libica.
10
giugno 2010: tre pescherecci si-
ciliani, “Alibut”, “Mariner 10” e
Vincenza Giacalone” sono seque-
strati dalle guardie costiere libiche,
nel Golfo della Sirte.
Nulla è cambiato? Qualcosa sì.
Nei sequestri ai tempi di Gheddafi
c’era qualcuno (il colonnello) con
cui trattare. Adesso è più difficile. Il
premier, Mustafà Abushagur, si è di-
messo proprio ieri. Attualmente, a
Tripoli, non c’è alcun governo.
Qualcosa avrebbe dovuto cambiare?
Sì, molto. La rivendicazione di un
Golfo della Sirte interamente libico
era un vecchio sogno nazionalista
di Muhammar Gheddafi. Nel 1973
dichiarò minacciosamente che il li-
mite delle nuove acque territoriali
sarebbe diventato una “linea della
morte” per chiunque vi fosse entra-
to. Un progetto per il quale non esi-
tò a scontrarsi, per ben quattro volte
(1980, 1981, 1986, 1989),
con la
marina degli Stati Uniti. L’attentato
alla discoteca La Belle di Berlino, la
risposta militare americana su Tri-
poli nel 1986, i missili su Lampedu-
sa, le bombe sui voli di Lockerbie e
il volo Uta 772 abbattuto sui cieli
del Niger, sono tutte le sanguinose
conseguenze di quella utopia del co-
lonnello. La Libia si è ribellata al
suo regime e se ne è liberata alla fine
dell’anno scorso. Perché continua a
credere nel suo sogno più pericolo-
so? L’Italia ha partecipato, a pieno
titolo, alla guerra di liberazione della
Libia dal vecchio regime. È questo
il modo di ripagarci? Certo, ad altri
alleati è andata anche peggio. Agli
Stati Uniti, i libici hanno anche uc-
ciso l’ambasciatore.
Israele di nuovo nel mirino dell’Iran e di Hamas
K
Il 6 ottobre un drone viene abbattuto sui cieli di Israele. Il
giorno dopo raid su Gaza, per uccidere due leader della Jihad Glo-
bale. Risposta di Hamas: razzi e colpi di mortaio contro Israele
Il Sudamerica passa due volte il test di democrazia
omenica 7 ottobre si è votato
in due importanti Paesi del
Sudamerica, in Brasile per le ele-
zioni comunali, in Venezuela per
le presidenziali. Al di là delle pro-
fonde diversità tra le due realtà,
un dato comune è certo, la demo-
crazia liberale, che ha il suo punto
di verità nel momento delle vota-
zioni, ha fatto un passo in avanti,
seppur non mancano gravi con-
traddizioni, come nel caso del Ve-
nezuela. Se vogliamo capire non
bisogna mai dimenticare la storia
recente di questi due Paesi.
Il Brasile è ritornato alla demo-
crazia e alle elezioni solo nei primi
anni Ottanta. In Brasile si sono
rinnovati i 5565 sindaci con i re-
lativi consigli comunali. Per i co-
muni per più di 200mila elettori,
circa 85, elezioni con secondo tur-
no, per tutti gli altri con turno
unico e proporzionale per i con-
sigli comunali. Vi sono comuni i
cui sindaci hanno un’importanza
quasi come quella della Presidenza
della Repubblica, è il caso della
città di San Paolo. Una prima va-
lutazione va fatta sul clima com-
plessivo in cui si sono svolte le ele-
zioni, ordinato e tranquillo
nell’immenso Paese, anche se non
sono mancati problemi, ma di ri-
lievo relativo. L’esercito ha assi-
curato la tranquillità del voto con
la sua presenza in varie città del
paese e in alcune “favelas” di Rio
non ancora bonificate. Non sono
mancati casi singolari, come quel-
la candidata arrestata in Amazzo-
nia perché comprava voti con bu-
D
stine di cocaina, o l’arresto della
sorella di Lula che faceva “boca
de urna”, ossia distribuiva suo
materiale elettorale dopo la chiu-
sura della campagna elettorale. Le
elezioni municipali si sono svolte
quest’anno all’ombra di due fatti
che all’inizio sembrava dovessero
condizionare il voto dei brasiliani.
Proprio in questi due mesi di cam-
pagna è arrivato a giudizio presso
il Stf (Supremo Tribunale Federa-
le), una specie di Corte Costitu-
zionale e massimo organo giudi-
ziario brasiliano, il processo
chiamato “mensalao”. Si tratta di
uno scandalo che vedeva coinvolti
i massimi dirigenti del PT e della
cerchia vicina a Lula, per, così dice
l’accusa, aver comprato parlamen-
tari alleati per votare a favore di
Lula. Tutti i mezzi d’informazione
del paese, dalla Tv ai giornali,
hanno accompagnato la campa-
gna elettorale con le condanne dei
vari personaggi. Il 28 ottobre ci
sarà il secondo turno. L’altro ele-
mento di novità è stata la compar-
sa vistosa nel processo elettorale
degli evangelici, nella versione
neopentecostale. All’apertura della
campagna elettorale ha suscitato
stupore il successo di un candida-
to appoggiato da una delle chiese
neopentecostali più chiacchierata
del Brasile, la Chiesa Universale
del Regno di Dio di Edir Macedo
nella città di San Paolo. Guardan-
do i risultati si può dire che sono
più le conferme che le grandi no-
vità. Vi sono stati scontri all’inter-
no della maggioranza e tra mag-
gioranza e opposizione. Il 28 di
ottobre si definirà uno scontro im-
portantissimo, quello di San Paolo
tra l’opposizione di Serra e la
maggioranza nazionale del PT di
Lula e Roussef con Haddad, o a
Salvador, dove il petista Pellegrino
tenterà di fermare la corsa del ca-
pogruppo dell’opposizione alla
Camera dei Deputati ACM Neto.
Ma, se in Brasile il 28 ottobre
conosceremo gli equilibri di forza.
e all’interno della maggioranza e
tra maggioranza ed opposizione,
in Venezuela era tutto in discus-
sione, si è votato per mantenere o
no il regime di Chavez. Erano in
discussione due modelli di società
profondamente diversi, il modello
autoritario del “Socialismo del
XXI Secolo”, come lo definisce
Chavez, con lo sguardo rivolto a
Cuba, e quello di Capriles, liberal
democratico con economia di
mercato sociale. Ha vinto Chavez
con il 54% dei voti contro il 46%
di Capriles. Chavez ha vinto, ma
Capriles paradossalmente non ha
perso. Chavez è al governo dal
1998,
salvo una volta ha sempre
vinto tutti i test elettorali, si è im-
padronito di tutto, dalla giustizia
all’esercito, all’ente petrolifero, al-
la stampa , ha creato un partito
di massa al suo servizio, il Partito
Socialista Unificato del Venezuela
(
Psuv), colpito da un cancro ha
mantenuto in modo ferreo il po-
tere nonostante lunghi silenzi e as-
senze dal Paese per curarsi. L’op-
posizione ha ragione quando lo
accusa di aver ridotto il Paese e
Caracas in uno dei luoghi più pe-
ricolosi del mondo. A Caracas
ogni fine settimana ci sono trecen-
to morti ammazzati, più che a Ba-
ghdad e Kabul, l’economia è a
pezzi per le nazionalizzazioni fal-
limentari, il Paese importa l’80%
di quello che consuma, l’inflazione
del 29% è la più alta del Sudame-
rica, spesso mancano beni di con-
sumo, il Paese si regge sulle entra-
te derivate dal petrolio. Ma in
questo quadro disastroso, perché
vince? In parte lo spiega il giorna-
le brasiliano “Folha de S.Paulo”:
“2.131.332
ragioni pro Chavez”,
sono le persone che durante la
presidenza di Chavez sono uscite
dalla povertà. Le vecchie classi di-
rigenti avevano costruito uno sta-
to profondamente ingiusto social-
mente, Chavez con le “misiones”,
medici e professori cubani, ha por-
tato la sanità e l’istruzione nelle
favelas pur miserabili del Vene-
zuela. E Capriles lo ha capito e ha
fatto un miracolo, in condizioni
difficili ha creato l’unità dell’op-
posizione, presentandosi come
uno che vuole migliorare gli aspet-
ti sociali di Chavez nel rispetto
della libertà, ma nell’economia di
mercato. Capriles è giovane, 41
anni, capace ed esperto, sa che a
dicembre si vota per i governatori,
l’anno prossimo per i comuni, il
2019
non è lontano, nessuno
nell’opposizione lo dice, ma tutti
pensano quali sono le reali condi-
zioni di salute di Chavez? Nessu-
no lo sa, lo sa solo Chavez, il tem-
po ci dirà la verità.
ROBERTO LOVARI
Tripoli insiste
a non rispettare il diritto
internazionale marittimo
e a considerare“cosa
propria”tutto il Golfo
della Sirte.
Nulla è cambiato
dai tempi di Gheddafi
Venezuela: vince Chavez,
ma l’opposizione
si prepara a batterlo
nel prossimo futuro
Ordine e tranquillità
caratterizzano il primo
turno delle elezioni
comunali in Brasile
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 9 OTTOBRE 2012
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