Page 1 - Opinione del 09-11-2012

Direttore ARTURO DIACONALE
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Venerdì 9 Novembre 2012
delle Libertà
Pdl, scontro Berlusconi-Alfano
Si erano tanto amati. Poi sono arrivate le primarie. Inutili, secondo il Cav, che invece vorrebbe
«
uno come me nel ‘94». Ma per il segretario è arrivato il momento di dire «basta ai barzellettieri»
A cosa servono le primarie fatte all’italiana?
Le analogie con la caduta della PrimaRepubblica
Altri quattro anni assieme al pifferaiomagico 2.0
egli Stati Uniti le primarie non
servono solo a scegliere i can-
didati premier del Partito Democra-
tico e del Partito Repubblicano.
Svolgono anche un ruolo di fonda-
mentale importanza in vista della
successiva campagna elettorale pre-
sidenziale. Quello di rimettere in
moto la macchina dei partiti risve-
gliando gli entusiasmi dei militanti
e dei simpatizzanti e di tornare a
riaccendere l’attenzione dell’opinio-
ne pubblica “riscaldando” il clima
politico del paese nella prospettiva
del crescendo conclusivo del voto
per il Presidente.
Applicate nel nostro paese, le pri-
marie americane assumono un
N
aspetto diverso. Nel Pd colgono
l’obbiettivo di accendere l’attenzione
dell’opinione pubblica ma diventano
l’occasione di una conta del tradi-
zionale apparato interno del partito.
Pierluigi Bersani ha preannunciato
che ai gazebo andranno a votare
uno o due milioni di persone. Cioè
il numero chiuso e costante degli
iscritti della Cgil e dei militanti in-
quadrati nei gruppi che fanno capo
all’attuale gruppo dirigente vicino
al segretario. Cioè la vecchia guardia
inamovibile del popolo della sinistra
ortodossa a cui non si aggiungerà,
a causa delle regole adottate per non
favorire lo sfidante Matteo Renzi,
la presunta gente nova del sindaco
di Firenze. In pratica, quindi, le pri-
marie del Pd serviranno solo ad in-
coronare candidato premier Pierluigi
Bersani, a ricontare e ricompattare
i fedelissimi di sempre ed a creare
una frattura, probabilmente incol-
mabile, tra questi ultimi ed i soste-
nitori esterni del corpo estraneo
Matteo Renzi.
Addirittura peggiore è invece l’ef-
fetto generale che l’adozione delle
primarie rischia di provocare al Pdl.
Perché nel partito berlusconiano
non c’è una vecchia guardia inqua-
drata in inesistenti organizzazioni
sindacali collatelari da rimobilitare
ma solo pacchetti di tessere vuote
che non producono entusiasmi di
sorta. E soprattutto perché nessuno
tra vecchi elettori ed i vecchi simpa-
tizzanti del Pdl (quelli che avevano
portato il partito a superare il 35
per cento dei consensi nelle passate
elezioni) si sente coinvolto in una
operazione che appare diretta esclu-
sivamente a confermare dal basso
il ruolo già ottenuto dall’alto dal se-
gretario Angelino Alfano. Il tutto in
un clima di sostanziale smobilita-
zione dei quadri dirigenti e nel ti-
more generale di celebrare un rito
inutile per un partito che a dicembre
potrebbe essere addirittura essere
scomparso e sostituito da due o più
liste diverse.
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i notano molte interessanti ana-
logie tra questo infuocato perio-
do ed il crepuscolo della cosiddetta
prima Repubblica. Anche allora cir-
colava un punto di vista molto po-
polare in merito alla catastrofica si-
tuazione economica e politica.
In sostanza, oggi come ieri, era
ed è ancora piuttosto diffusa la con-
vinzione secondo la quale se le cose
vanno male anche sul piano della
crescita e dello sviluppo è perché i
politici rubano. Ciò, molto in sol-
doni, si fonda sull’ idea assoluta-
mente costruttivistica per cui spet-
terebbe al governo di un paese, oltre
ad uno smisurato elenco di compiti,
anche l’obbligo di “fare” proprio la
S
crescita e lo sviluppo. E così pensano
non solo tanti uomini comuni bom-
bardati da una sempre più asfissian-
te propaganda collettivista, ma an-
che chi si incarica di renderla
credibile e, per così dire, masticabile
anche ai palati più facili. In questo
senso vi sono alcuni accreditati ope-
ratori dell’informazione che spicca-
no per energia nello spronare i go-
vernanti di turno ad essere più
incisivi in merito alle misure per ri-
lanciare l’economia. Tra questi Se-
bastiano Barisoni - molto valido sul
piano dei dati e delle documenta-
zioni - il quale, dagli studi di Radio
24,
non manca di bacchetare a gior-
ni alterni l’esecutivo dei tecnici, reo
di non fare abbastanza per riportare
in alto il nostro malconcio Pil.
Ora, ascoltando le lunge filippi-
che del giornalista, chi immagina la
cosiddetta stanza dei bottoni come
un luogo magico fatto di pulsanti e
leve, in cui l’abilità politica dovrebbe
consistere nell’azionare i comandi
giusti, sarà portato a pensare sostan-
zialmente due cose: o chi occupa Pa-
lazzo Chigi è un incompetente nel-
l’uso dei medesimi comandi, oppure
egli decide deliberatamente di non
usarli al meglio per chissà quali re-
conditi motivi. Ciò che, al contrario,
non viene in mente a Barisoni ed a
molti suoi estimatori è che proba-
bilmente è sbagliata la premessa.
Ovvero, non è affatto vero che la
crescita e lo sviluppo dipendono in
positivo da una serie di scelte deli-
berate di un governo, con l’unica ec-
cezione di un taglio sostanzioso del-
la spesa pubblica e delle tasse.
E dato che, in realtà, la leva key-
nesiana con la quale gli interventisti
economici è la stessa che serve a re-
perire i relativi fondi attraverso la
fiscalità, il meccanismo è destinato
ad incepparsi sul nascere. Infatti, per
adottare provvedimenti direttamente
finalizzati a stimolare la domanda,
qualsiasi esecutivo non può che au-
mentare il prelievo tributario o, in
subordine, indebitarsi
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on è stata l’elezione del Presi-
dente degli Usa. Per metà degli
americani e quasi tutti gli europei
è stato un referendum su “vuoi altri
4
anni di Obama?” accolto come
se si chiedesse “vuoi firmare contro
la droga?”. Come dire di no?
Barack Obama è un capolavoro,
una globale allucinazione collettiva,
un geniale, fantastico pifferaio ma-
gico 2.0. Da Steve Jobs della poli-
tica, è riuscito in una impresa sto-
rica: far sì che la maggioranza del
mondo libero e occidentale si inna-
morasse della sua storia, del suo
personaggio, delle sue promesse, di-
menticando completamente quanto
è realmente avvenuto. Questa fic-
N
tion dura da 5 anni ma l’episodio
della rielezione del 2012 è clamo-
roso quanto quello dell’elezione del
2008:
errare humanum est, perse-
verare diabolicum.
Se l’America è una pizza, con
l’impasto uguale per tutti (la ban-
diera, la costituzione, il libero mer-
cato, l’eccezionalismo americano)
e poi gli ingredienti ognuno se li
sceglie da sé - uno ci mette alici e
mozzarella, un altro peperoni e
ananas, e così via - Obama è riu-
scito a fare una pizza con sopra
contemporaneamente tutti i possi-
bili ingredienti togliendo le ultime
due caratteristiche dell’impasto. In-
vece di risultare una cosa imman-
giabile, Obama ne ha magicamente
tratto un piatto di cui tutto il mon-
do non può più fare a meno.
Gli europei che sinceramente lo
adorano lo fanno per tre motivi. 1)
La cultura americana pop (niente
è più pop di Obama) ha ancora un
grosso ascendente su noi europei,
che mascheriamo spesso da odio la
nostra invidia ma oggi finalmente
la liberiamo nell’adorazione in gi-
nocchio. Se ad ogni azione ne cor-
risponde una uguale e contraria,
non poteva che esserci il cieco e in-
condizionato amore per Obama
dopo 8 anni di identico odio per
Bush. 2) Noi detestiamo i nostri po-
litici: da anni non ne confermiamo
uno e chiunque salga al potere per-
de in breve il consenso. Situazione
perfetta per rivolgere i nostri sogni
verso qualcuno oltreoceano. 3) Non
ci è mai piaciuto lo yankee che ci
ha superato senza statalismo, wel-
fare state from the cradle to the
grave, pacifismo imbelle e tax and
spend. Chi meglio di Obama per
tranquillizzarci che avevamo ragio-
ne noi, visto che incarna il più gran-
de avvicinamento al moribondo
modello europeo mai visto nella
storia?
Per gli americani è diverso. Abi-
tuati ad uno Stato che non è padre
padrone; stanchi di decenni di...
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di
ARTURO DIACONALE
Nel Partito democratico
diventano l’occasione
di una semplice conta
del tradizionale apparato
interno del partito.
Addirittura peggiore è
invece l’effetto generale
che rischiano
di provocare all’interno
del Popolo della libertà
di
CLAUDIO ROMITI
Oggi come vent’anni fa,
è ancora piuttosto
diffusa nell’opinione
pubblica la convinzione
secondo la quale
se le cose vanno male
anche sul piano
della crescita e dello
sviluppo è tutta colpa
dei politici che rubano
di
UMBERTO MUCCI
Se l’America è una pizza,
con l’impasto uguale
per tutti (la bandiera, la
costituzione, il libero
mercato,
l’eccezionalismo
americano) Obama è
riuscito a impastarne
una con sopra tutti
i possibili ingredienti