Pagina 4 - Opinione del 10-8-2012

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II
ATTUALITÀ
II
È inEuropa che l’Italia si gioca
la partita per la sopravvivenza
di
GIUSEPPE MELE
uropa, Europa, Europa. Nel-
l’
escalation
delle misure eco-
nomiche comuni, dovute alla crisi,
il tema europeo è divenuto estre-
mamente popolare, uscendo dai
bizantinismi delle cristallerie dove
tutto è serafinamente ottimo e
progressivo. L’ Europa, scesa terra
terra, è apparsa improvvisamente
a milioni d’italiani la causa dei lo-
ro mali immediati, degli alti tassi
d’interesse sul debito, della stretta
creditizia, della rigidità di regole
di ogni tipo, della delocalizzazione
industriale, e dei servizi, dell’im-
possibilità di indebitarsi ancora.
Le critiche di un tempo sui for-
malismi del la misura dei cetrioli
o i fastidi per l’allargamento ad
Est, percepito, dal Sud, come con-
corrente nella divisione dei fondi
strutturali, appaiono acqua fresca,
piccoli argomenti di un pugno di
politici, persi nel mare magnum
dell’europeismo intellettuale e po-
polare, della destra e della sinistra.
L’europeismo era popolare per-
ché l’insieme di eventi seguiti alla
costituzione europea aveva porta-
to danaro, investimenti e sviluppo,
perché era la difesa dall’Est sovie-
tico, quindi anche della propria
tradizione, perché agganciava i
paesi con il welfare di più antica
tradizione e garantiva lo sviluppo
del tenore di vita delle masse po-
polari.
Per di più, l’Europa non era
partecipe del cattivo lato della me-
daglia: non combatteva in Corea
o in Vietnam, non aveva basi mis-
silistiche o nucleari proprie né da-
va la caccia ai terroristi. Anche la
comica cattura di truppe di pace
olandesi da parte dei serbi, aveva
sottolineato uno stato di cose con-
siderato positivo. L’Europa non
faceva – non era in grado di fare
- diplomazia, guerra, politica mi-
litare, spionaggio, tutto il brutto
della politica. E se non era in gra-
do di fare ciò perché aveva affida-
to questi aspetti agli Usa, tanto
meglio. Gli Usa avrebbero fatto le
cose brutte della politica, l’Europa
le cose belle. Gli Usa le guerre e le
bombe, l’Europa gli ospedali ed i
teatri.
Ovviamente questo tipo di eu-
ropeismo era fallace, fondato sulla
puerilità delle apparenze. L’Europa
era coinvolta ed un tutt’uno con
quanto fatto dagli Stati Uniti. Se
fossero cambiati gli equilibri, e
E
l’Europa fosse divenuta economi-
camente forte come gli States, le
cose sarebbero cambiate. L’anti eu-
ropeismo degli ultimi giorni è im-
motivato. L’Europa cerca di pren-
dere provvedimenti perché è tutta
sotto attacco finanziario. Un at-
tacco che viene dagli Usa che non
sono più quelli di un tempo, che
sono indebitati come federazione
e come stati, come privati e come
pubblico. Gli attacchi finanziari
non li decide Obama, non li sca-
tena la Federal reserve, ma sono
l’ovvia conseguenza di nuove
grandi concentrazioni di ricchezza
alla caccia della massimizzazione
di guadagno, della vampirizzazio-
ne già avvenuta in casa americana
e della gola che fanno alle ondate
finanziarie la massa di risparmio
e capitali europei. L’Europa non è
così indebitata come gli Usa, so-
prattutto la sua industria, i suoi
servizi ed il suo debito non sono
di proprietà allogena. Nel tracollo
del nostro debito pubblico si noti,
solo per dire dell’Italia, che il pos-
sesso straniero è calato di dieci
punti, attestandosi al 34%.
L’euro, tanto vilipeso, gira in
Europa. Non ci sono in giro per il
mondo masse di “petroeuro” o di
“narcoeuro” o di “sinoeuro” e
“vodkaeuro” come avviene per la
moneta americana che ormai se-
gna un dollaro a casa e cento fuo-
ri. Se la gente percepisce che l’Eu-
ropa lavora per farla vivere
peggio, imponendole risparmi che
magari verrano sacrificati e vola-
tilizzati dalla finanza, è perché non
se la sente di indicare il vero re-
sponsabile dell’ondata finanziaria,
cioè gli Usa. L’America, una volta
criticati francesi, inglesi, tedeschi,
è per gli italiani inconsciamente
l’ultima spiaggia, come non spe-
rare in lei?
È allora utile capirsi sulle pro-
spettive di questo vecchio conti-
nente che con le sue emigrazioni
dà tutt’oggi profilo a metà del
mondo (l’altra metà è la Cina).
L’Europa potrebbe anche declina-
re, resterebbero un’enorme Europa
latina in Sud America ed un’enor-
me europa nordica negli Usa ed in
Russia. L’Europa, nella sua lunga
fase positiva, si è ripresa dalla
sconfitta impartitale dalle sue re-
altà periferiche. Oggi, con mezzo
miliardo di persone e 16mila mi-
liardi di Pil, deve decidere cosa es-
sere. La tempesta finanziaria e la
globalizzazione hanno fatto emer-
gere alcune grosse realtà econo-
miche macroregionali: Giappone,
Cina, India e Indocina, Russia e
Csi, in parte Brasile. Fatturati, la-
voro, welfare dipendono dalla
competizione con queste aree ed
ovviamente con gli Usa. L’Europa
ha interesse ad essere una macro-
regione economica compatta, tan-
to più che l’età media più alta ed
un enorme welfare. Più cinicamen-
te le nuove realtà fanno a meno
di queste zavorre e gestiscono con
ampio dirigismo la propria finan-
za. L’Impero romano impose una
legge, una moneta, un mercato nel
mondo antico. La soluzione uni-
taria è alla lunga per gli ultimi del-
la terra la soluzione più efficiente,
più equa, più capace di produrre
sviluppo. Purtroppo è la peggiore
dal punto di vista delle classi di-
rigenti locali, territoriali, corpora-
tive e religiose. Un cripto francese
Carlo Magno e Bisanzio, due im-
peri nella buia Europa dell’800
quasi ricostituirono l’unità. Poi fu
la nebulosa del Sacro romano im-
pero germanico in capo a danesi,
boemi, ungheresi, austriaci, prus-
siani. Francia e Inghilterra per le
loro monarchie, classi dirigenti,
religioni e corporazioni si tennero
fuori dall’Impero. Anche l’Italia lo
fece in nome di classi dirigenti an-
cora superiori, in nome dell’Impe-
ro di Dio. Oggi di fronte al pro-
cesso di unità europea, cosa
dovremmo aspettarci di diverso ri-
spetto al passato? Nulla, gli equi-
libri non cambiano. L’Europa svi-
luppatasi ingrassa e ingrasserà
l’area germanica corrispondente
alla somma dei domini prussiani
ed austriaci, attorno i quali ruo-
teranno il resto dell’Est, l’Europa
arretrata ex ottomana e l’area
scandinava. L’Inghilterra se ne re-
sterà fuori non potendo che sce-
gliere l’alternativo calderone ame-
ricano in cui fondersi. La Francia
ha già dimostrato in passato quan-
to sia capace di germanizzarsi. Ec-
co perché l’antieuropeismo italia-
no di oggi è veramente
destabilizzante. Al contrario degli
inglesi, noi non abbiamo calderoni
alternativi. Vista da Roma o da
Milano, la neo-Europa carolingia
non è nelle nostre corde. Il peso
dell’arco lusitano-ispano-italo-el-
lenico non ha la giusta voce in ca-
pitolo, anche per l’incapacità dello
stato più forte, l’Italia, di farsi
espressione di questo blocco, come
era nell’idea degli anni ’70 quando
gli altri paesi meridionali entraro-
no nell’unione. La politica europea
verso il Sud non esiste e chi ne
parla lo fa per illudere se e gli al-
tri. La politica eurogermanica va
naturalmente verso est, verso la
Russia con buona pace dei roman-
ticismi da “Mala Antanta”.
Chi desidera welfare e lavoro,
deve volere un’Europa forte; l’Eu-
ropa forte è la Germania vasta.
Non è però l’interesse dell’Italia,
e della sua storia, come non lo è
della Gran Bretagna, che l’Europa
sia solo la vasta Germania. Qui
sta il dilemma. Moltissimi italiani
vorrebbero risolverlo correndo in
braccia ai salvifici Stati Uniti. Non
capiscono che gli Usa dipendono
ormai così tanto dall’Asia da es-
sere cambiati, da non essere più i
fratelli maggiori buoni. Obama è
nato in mezzo al Pacifico, non c’è
che sperare in un nuovo atlanti-
smo con Romney. La rinuncia al
colonialismo democratico di Bush
con la permanenza delle occupa-
zioni militari ha condotto l’ammi-
nistrazione Obama al vicolo cieco
dell’abbandono dei nazionalisti e
del sostegno dei fratelli musulmani
e di gruppi religiosi nella speranza
di optare per la variante più mo-
derata dell’islamismo. In attesa del
crollo siriano, l’Islam aspetta di
riunificare la cintura che va dal
Marocco alla Turchia. Con una si-
nistra analogia con il movimento
nazista, attende una vittoria basata
sul voto democratico. Più antieu-
ropei di così gli Usa non sono mai
stati. L’Italia può sperare che l’Eu-
ropa carolingia vada in pezzi da
sola, che gli Usa cambino politica.
Oppure forte del terzo contributo
economico all’Ue - che vale, messo
insieme, quello di altri 15 paesi -
può pretendere di pesare nelle po-
litiche europee. Primi atti concreti,
riunire in un’unica voce i paesi sud
mediterranei dell’Ue, rappresen-
tando anche Atene, a partire dal
semestre europeo cipriota. Poi
chiedere ad Arcore un nome signi-
ficativo, alternativo agli avatar in-
visibili fino ad ora espressi e mai
pervenuti se non nelle agiografie
di Torchiaro e Zagari.
La politica comunitaria
del nostro paese è posta
in queste settimane
di fronte ad un dilemma:
può sperare che l’asse
tra Berlino e Parigi vada
lentamente in pezzi
da solo. Oppure, forte
del terzo contributo
economico all’Ue
- che vale quello di altri
15 paesi messi insieme -
può pretendere di pesare
di più nelle politiche
europee. Primi atti
concreti? Riunire
in un’unica voce i paesi
mediterranei -
prendendosi a cuore
la situazione greca -
a partire dal semestre
europeo cipriota
ed esprimere una classe
politica dotata di leader
che sappiano riportare
le feluche nostrane
al centro delle trattative
che contano
in quel di Bruxelles
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 10 AGOSTO 2012
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