II
POLITICA
II
L’accordo sul 41-bis favorì
il terrorismo più che la mafia
di
RUGGIERO CAPONE
a vulgata vuole che la “tratta-
tiva stato-mafia” (quella tra il
1989
ed il ‘92) avrebbe ammorbi-
dito il carcere duro (il regime del
41-
bis) per i boss mafiosi. Ma a
conti fatti di quell’ammorbidimento
ne usufruirono soprattutto i briga-
tisti, quindi i detenuti per reati di
terrorismo, e pochi mafiosi. E per-
ché il preesistente “patto stato-ma-
fia” già tutelava i profili mafiosi più
istituzionali.
Uno scritto di Pio La Torre del
1973,
intitolato “Latitanza d’oro di
Luciano Liggio”, chiarisce quel
preesistente “patta stato-mafia”. Il
capostipite dei Corleonesi (Liggio
appunto) visse un periodo di lati-
tanza tra gli anni ’70 e ’80. La Torre
documentava che, il team d’investi-
gatori che doveva scovare Liggio
era pagato per non trovarlo.
E’ evidente che, già agli albori
della Repubblica, la mafia fosse so-
cio occulto dei poteri democratici.
Verità che viene evidenziata nel vo-
lume di Raffaele Cantone “I gatto-
pardi conversazione con Gianluca
Di Feo”: nel libro si parla d’una sti-
ma di circa 4 milioni di voti orien-
tati nel Sud dalle mafie. Cantone è
il magistrato che ha firmato l’arre-
sto del boss della camorra France-
sco Schiavone, detto Sandokan. E
non è certo peregrina l’idea che certi
pezzi dello stato trescassero da tem-
po con la camorra, soprattutto negli
anni ‘70-’80: negli anni di piombo
la camorra era forse un intermedia-
rio tra servizi e braccio armato delle
Br? Una domanda che trova le sue
conferme in un racconto di Franco
Roberti (già procuratore capo della
Repubblica di Salerno, ed ancor pri-
ma pm in servizio alla Dda di Na-
poli). Roberti era riuscito a far par-
lare Cutolo. Secondo il racconto di
Roberti alla stampa dell’epoca, Cu-
tolo sarebbe stato pronto a parlare
delle trattative per la liberazione
di Aldo Moro”. Al lavoro di Ro-
berti aveva partecipato anche il
pubblico ministero Alfredo Greco.
Ed a quest’ultimo Cutolo aveva det-
to: «Dottore, da dove dobbiamo co-
minciare?». Il piatto si fa ghiotto, e
i magistrati comprendono che Cu-
tolo è custode di segreti che vanno
ben oltre gli orrori della cruenta fai-
da di camorra degli anni Ottanta.
Cutolo assurge a testimone d’un
qualcosa che va oltre, e che puzza
tanto di “patto stato-mafia”. Allora
i magistrati pensano bene di trasfe-
L
rire il “professore di Ottaviano” (so-
prannome di Cutolo) in una strut-
tura militare in provincia di Salerno.
È tutto organizzato alla perfezione.
Improvvisamente il colpo di scena:
Cutolo torna sui suoi passi e dichia-
ra «non voglio più collaborare».
Quando il pm Greco stava recan-
dosi presso il carcere di Carinola,
notava d’essere seguito da un’auto
e una moto di grossa cilindrata. Ro-
ba di servizi segreti? La risposta la
trovava nel penitenziario: prima di
magistrato erano arrivati nella casa
circondariale alcune decine di fun-
zionari del ministero della Giustizia
e dell’Interno. S’era accumulata nel
carcere una tale tensione da rendere
impossibile qualsiasi opera di per-
suasione sul boss. Alfredo Greco è
tornato più volte sulle rivelazioni
di Franco Roberti, che per primo
ipotizzò il ripensamento di Cutolo
fosse stato cagionato da pressioni
dei servizi segreti. «Potrei essere
d’accordo con lui - dice Greco in-
terpellato dall’Ansa - ma comunque
ci troviamo di fronte a una vicenda
che va a sommarsi ad altri misteri
italiani... Ho ascoltato Cutolo per
mesi e mesi - spiega Greco - ci in-
contravamo nel carcere di Carinola,
in provincia di Caserta. Il suo, era
il percorso tipico dei collaboratori
di giustizia. Cutolo era pronto a col-
laborare, questo è certo. Poi, non se
ne fece più niente. Si rifiutò di uscire
dal carcere, dove ero andato a pren-
derlo perché fosse trasferito a Sa-
lerno. Il motivo? Ho letto le dichia-
razioni di Roberti, e potrei essere
d’accordo con lui. Il dietrofront di
Cutolo fu improvviso e repentino,
apparentemente inspiegabile. Però,
sui fatti non posso che mantenere
una posizione di riserbo: ci trovia-
mo di fronte ad una vicenda che va
a sommarsi ad altri misteri italiani.
Non stiamo a commentare una sen-
tenza di una storia chiusa, ma una
vicenda ancora aperta, e per questo
motivo il mio riserbo è obbligato-
rio».
«
All’ epoca, Cutolo era detenuto
a Belluno, ma io lo incontravo in
altre carceri, soprattutto in quello
di Carinola, in provincia di Caserta
-
spiegava Greco all’Ansa». E quan-
ti sono stati gli incontri? «Tanti, cer-
tamente più di dieci. Sul contenuto
delle sue dichiarazioni non posso
dire niente - conclude Greco. Posso
solo dire che era un uomo eccezio-
nale, con le virgolette, per anni al
centro di fatti e vicende che hanno
avuto ripercussioni anche molto im-
portanti sulla storia della Repub-
blica Italiana».
Io “patto stato-camorra” non
era forse una propaggine di quello
stato-mafia”? Ed il dato inoppu-
gnabile è che ad usufruire di certi
ammorbidimenti” nella stagione
‘89-’92
furono proprio i brigatisti:
terroristi rossi, e per certi versi fra-
telli degeneri di certi camorristi del
bel tempo andato. Del resto, duran-
te il rapimento dell’assessore regio-
nale campano Ciro Cirillo nel 1981,
la trattativa “stato-Br” si tenne in
forma davvero palese, e grazie al-
l’intermediazione della “Nuova ca-
morra organizzata” di Raffaele Cu-
tolo.
Cirillo venne rapito dalla Br il
27
aprile del 1981, mentre ricopriva
il mandato di “assessore regionale
ai lavori pubblici” della Regione
Campania: una poltrona davvero
importante, basti pensare che dal-
l’assessorato retto da Cirillo erano
passati i mega appalti per la rico-
struzione post-terremoto dell’Irpi-
nia. Cirillo venne sequestrato dalle
Br a Torre del Greco, e si da prin-
cipio la vicenda si tinse d’una mi-
riade di coperture. La gente si do-
mandava come dei terroristi
avessero potuto operare indisturbati
su Napoli, città da sempre al centro
d’un accordo tra servizi segreti e ca-
morra (basta rammentare la visita
ufficiale di Lucky Luciano a Napoli,
garantita e blindata da camorra e
servizi segreti). Eppure il sequestro
Cirillo è durato 89 giorni. Soprat-
tutto ha creato durissime polemiche
e spaccature nella Dc dell’epoca. E
perché, a differenza del sequestro
Moro, la Democrazia Cristiana op-
tava per la trattativa con i terroristi
(
grazie all’intermediario camorri-
stico). La liberazione di Cirillo av-
venne tramite intrecci mai del tutto
chiariti, e su indagini e fatti ebbe a
piovere una sorta di “segreto di sta-
to”. Alcuni quotidiani accennarono
alla mediazione di Francesco Pa-
zienza, uomo reclutato dai servizi
proprio per le trattative più scabro-
se. Soprattutto emerse il ruolo chia-
ve di Raffaele Cutolo, capo della
Nuova Camorra Organizzata, a cui
lo stato italiano pare dovesse tanto:
ma, per un problema di “comuni-
cazione interna”, di questo debito
della classe politica non venne in-
formata la magistratura. Un corto-
circuito istituzionale? Le cronache
ci dicono solo che per quella vicen-
da veniva emessa, da parte del giu-
dice Alemi (siamo nel 1988), un’or-
dinanza nei confronti di Antonio
Gava (allora potente Diccì, fonda-
tore della corrente Grande Centro,
figlio di Silvio Gava, quello della
Corrente del Golfo).
La storia è davvero complessa.
Infatti, nel 1993 Gava (allora capo-
gruppo al Senato della Diccì) rice-
veva la visita dei Carabinieri. I mi-
litari si presentavano con un
mandato d’arresto: l’accusa parlava
di “rapporti con la Camorra”. Gava
venne accusato di voto di scambio
durante la campagna elettorale di
quell’anno, reo d’aver barattato voti
finanche con loculi cimiteriali. Es-
sendo stato Ministro dell’Interno,
il potente Dc chiese di essere por-
tato al carcere militare di Forte Boc-
cea. Lì passò tre notti. Successiva-
mente gli furono concessi gli arresti
domiciliari, che durarono dal set-
tembre 1994 al marzo1995. A se-
guito del suo arresto, Gava si vede-
va sospeso in via cautelare dal
Consiglio dell’ordine degli avvocati:
era uno dei penalisti più noti. Una
traversìa giudiziaria durata tredici
anni: il 19 maggio 2006 Gava ve-
niva definitivamente assolto in ap-
pello, e a causa di “mancata impu-
gnazione”. Il doroteo Antonio Gava
è venuto a mancare nel 2008, e cer-
tamente avrebbe potuto chiarire
tanti aspetti del caso Cirillo, soprat-
tutto dimostrare che senza certi pat-
ti non sarebbe stato possibile go-
vernare Napoli come Palermo, o
Reggio come Bari.
Oggi senza la sua vivida testi-
monianza si possono solo fare illa-
zioni circa l’“Anello della Camor-
ra”: organizzazione segreta o
leggenda metropolitana. Di fatto
dell’Anello e del “noto servizio”
qualche prova c’è giunta attraverso
i diari del generale Roatta: ma è so-
lo roba inerente il “patto stato-ma-
fia” in Sicilia. Il buio avvolge ancora
la trattativa stato-camorra. Ironia
della sorte o zampino dello “stato-
mafia ‘89-’92”, i brigatisti coinvolti
nei sequestri Moro e Cirillo e nel-
l’omicidio Giorgieri ricevevano in
regalo carcere morbido ed anche
scarcerazioni. Ed i conti tornava-
no... almeno per chi aveva stretto
quei patti.
Usufruirono
dell’ammodernamento
della legge
soprattutto i brigatisti,
quindi i detenuti
per reati di terrorismo,
e pochi mafiosi.
Già agli albori
della repubblica,
la mafia fosse socio
occulto dei poteri
democratici.Verità
che viene evidenziata
nel volume di Raffaele
Cantone“I gattopardi
conversazione
con Gianluca Di Feo”:
nel libro si parla
d’una stima di circa
4
milioni di voti orientati
nel Sud dalle mafie.
Cantone è il magistrato
che ha firmato l’arresto
del boss della camorra
Francesco Schiavone,
detto Sandokan.
E non è certo peregrina
l’idea che certi pezzi
dello stato trescassero
da tempo con la
camorra, soprattutto
negli anni
‘70-’80.
Negli anni
di piombo la camorra
era un intermediario
tra servizi e braccio
armato delle Br?
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 10 NOVEMBRE 2012
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