Pagina 3 - Opinione del 11-8-2012

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II
POLITICA
II
Inautunnodall’Europaultima chiamataper l’Italia
di
FEDERICO PUNZI
campata la tempesta d’agosto
– almeno così sembra al mo-
mento, perché con i mercati non
si può mai stare tranquilli – gra-
zie soprattutto alle rassicuranti
prese di posizione del presidente
della Bce Mario Draghi, sarà set-
tembre il mese delle decisioni ir-
revocabili. La Corte costituziona-
le tedesca dovrà esprimersi sul
meccanismo di stabilità europeo
(Esm), ma soprattutto l’Italia do-
vrà decidere se formalizzare una
richiesta d’aiuto o se continuare
a tentare di farcela da sola.
Nel primo caso, almeno nelle
intenzioni del governo, non si
tratterebbe di chiedere un “salva-
taggio” vero e proprio, ma un in-
tervento per calmierare lo spread
e i tassi d’interesse sui nostri titoli
di stato, così da rifiatare in attesa
che le riforme introdotte produ-
cano i loro benefici.
Sia attraverso il bollettino
mensile di agosto della Bce, che
nella sua ultima conferenza stam-
pa, Draghi ha raccomandato ai
governi in difficoltà (Spagna e
Italia) di tenersi pronti ad inol-
trare le richieste d’aiuto ai fondi
salva-stati.
Solo una volta chiamato il
soccorso, e firmato il relativo me-
morandum di impegni, infatti, la
Bce può a sua volta attivare il
proprio piano di acquisto di titoli
di stato sul mercato secondario.
Ma oltre alla perdita di sovra-
nità fiscale, il problema è che
chiedere aiuto prima ancora di
aver perso l’accesso ai mercati,
solo per ottenere un intervento
calmierante, verrebbe interpretato
dagli investitori come un segno
di debolezza, rischiando quindi
di scatenare il panico e determi-
nare uno shock ulteriore sui tassi.
Avendo chiesto “solo” l’atti-
vazione del cosiddetto scudo an-
ti-spread, ci ritroveremmo, di fat-
to, in pieno “salvataggio”, con
tutto ciò che ne consegue.
Dunque, la domanda alla qua-
le a settembre dovremo risponde-
re è: possiamo ancora farcela da
soli, senza aiuti?
Forse sì, una via – seppure
molto stretta – ancora c’è, ma oc-
corre imboccarla di corsa e con
la massima determinazione.
Il governo Monti, proprio per
la sua natura “tecnica” ed “emer-
genziale”, l’avrebbe dovuta intra-
prendere da subito, appena inse-
diato. E’ quella di un corposo
abbattimento dello stock di debi-
to pubblico, in tempi rapidi e con
modalità trasparenti.
Escludendo il ricorso ad una
tassa patrimoniale straordinaria
– di dubbia efficacia, dall’effetto
troppo depressivo sull’economia
e discutibile sotto il profilo etico
(i cittadini hanno già dato!) – si
tratta di impegnare il patrimonio
pubblico.
Gli strumenti tecnici ci sono e
gli esperti ne hanno già indicati
alcuni.
Ci troviamo di fronte ad un
vero e proprio bivio politico: o si
aggredisce il debito accumulato
con una sostanziosa sforbiciata
nel breve-medio periodo, o si
continua con una politica di rien-
tro graduale, di lungo-lunghissi-
mo periodo, realizzando avanzi
S
primari pluriennali.
Quest’ultima è la via tentata
in passato, e fallita, perché corri-
sponde ad una sorta di cappio, o
ergastolo fiscale: richiede infatti
una crescita sostenuta, continua
e per un lungo periodo, che nello
stato attuale non è credibile, e che
in ogni caso i mercati non sem-
brano disposti ad aspettare.
Oppure continue strette fiscali,
che innescano, o aggravano, una
spirale recessiva, aggiungendo al
problema del debito quello della
caduta del Pil o dell’assenza di
crescita, che non fa che aumenta-
re la sfiducia dei mercati nella no-
stra capacità sia di mantenere il
pareggio di bilancio sia di ripa-
gare il debito.
Abbattere il debito tramite
cessioni di patrimonio pubblico,
invece, ha molteplici vantaggi:
una prospettiva credibile di forte
riduzione dello stock in tempi re-
lativamente brevi (cinque anni)
riduce di per sé il rischio e inco-
raggia i mercati ad avere fiducia;
si può evitare di ricorrere a nuove
emissioni di titoli, o limitarle sen-
sibilmente, in un periodo di tassi
troppo penalizzanti; si possono
ottenere risparmi rilevanti nella
spesa per interessi, liberando ri-
sorse per una politica fiscale pro-
crescita (ridurre le tasse, non au-
mentare la spesa!).
Purtroppo il governo Monti
ha intrapreso la via degli avanzi
primari, aumentando la pressione
fiscale e sperando nella ripresa.
Ma ultimamente è sembrato
più incline a cambiare rotta e a
prendere in esame iniziative più
incisive per ridurre il debito. Le
proposte, da parte di centri studi,
singoli economisti, appelli come
“fermareildeclino”, ma anche da
parte del Pdl (l’unico partito ad
averne avanzata una), non man-
cano.
Settembre quindi si annuncia
come il mese decisivo: insieme al
terzo round di spending review –
il rapporto Giavazzi (dieci miliar-
di in meno di sussidi alle imprese
da tradurre in minori imposte), il
rapporto Amato (tagli ai finan-
ziamenti a partiti e sindacati) e il
piano Vieri Ceriani (sfoltimento
delle agevolazioni fiscali) – il go-
verno dovrebbe cominciare ad at-
tuare il suo piano anti-debito.
Quello del ministro Grilli però
è ancora modesto nelle dimensio-
ni (15-20 miliardi l’anno per cin-
que anni) e discutibile nel meto-
do, il ricorso alla Cassa depositi
e prestiti (al 70% di proprietà del
Tesoro ) per i tre fondi in cui do-
vrebbero confluire gli asset da di-
smettere (uno per le società mu-
nicipalizzate, uno per i beni
demaniali assegnati agli enti lo-
cali con il federalismo e uno per
i 350 immobili di pregio già in-
dividuati).
L’operazione dev’essere più
ambiziosa.
Ecco il merito della proposta
del Pdl, che punta a 400 miliardi
in cinque anni: al di là delle tec-
nicalità, e della “verginità” poli-
tica da tempo persa dai promo-
tori, indica la strada giusta –
abbattere subito il debito – e ob-
bliga gli altri soggetti politici,
nonché il governo Monti, a posi-
zionarsi rispetto a questa fonda-
mentale scelta politica.
Scampata la tempesta
d’agosto, grazie
soprattutto
alle rassicuranti prese
di posizione del
presidente della Bce
Mario Draghi, sarà
settembre il mese
delle decisioni
irrevocabili. Sia
attraverso il bollettino
mensile di agosto
della Bce, che nella sua
ultima conferenza
stampa, Draghi ha
raccomandato ai governi
in difficoltà (Spagna
e Italia) di tenersi pronti
ad inoltrare le richieste
d’aiuto ai fondi
salva-stati.
Solo una volta chiamato
il soccorso, e firmato
il relativo memorandum
di impegni, infatti, la Bce
può a sua volta attivare
il proprio piano
di acquisto di titoli
di stato sul mercato
secondario.
Ma oltre alla perdita
di sovranità fiscale,
il problema
è che chiedere aiuto
prima ancora di aver
perso l’accesso
ai mercati, solo
per ottenere
un intervento
calmierante, verrebbe
interpretato
dagli investitori come
un segno di debolezza,
rischiando quindi
di scatenare il panico
e determinare uno shock
ulteriore sui tassi
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 11 AGOSTO 2012
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