Pagina 4 - Opinione del 11-9-2012

nterviste a pagamento. Una
vergogna. Anzi una doppia ver-
gogna. Perché a pagarle erano i
consiglieri regionali con i soldi
del finanziamento pubblico e per-
ché a farle erano i giornalisti
iscritti all’albo che, all’art. 2 della
legge istitutiva, sancisce l’obbligo
di promuovere la fiducia tra
stampa e lettori.
La vicenda, emersa da una
faida interna ai Consigli regionali
dell’Emilia Romagna e del Pie-
monte, ha coinvolto alcuni espo-
nenti del Movimento 5 stelle di
Beppe Grillo ma anche politici di
centrodestra e di centrosinistra.
Scoperto il “ bubbone” ci si
sta interrogando su quanto vasto
sia il fenomeno. Il sistema delle
marchette” nel campo giornali-
stico è conosciuto, va indietro nel
tempo, a volte è ammantato dal
fenomeno delle “interviste a tap-
petino”, quelle cioè che non met-
tono in difficoltà l’interlocutore.
Questa volta il caso riveste
aspetti sconcertanti anche perché
gli autori del misfatto apparten-
gono a movimenti che fanno del-
la moralità la loro arma di bat-
taglia politica e civile. Inoltre, ci
si chiede da quanto tempo andas-
se avanti questo sistema che met-
te alla berlina la trasparenza dei
rapporti tra stampa e politica.
Possibile che nessuno sapesse,
che nessuno abbia protestato per
I
quelle che il direttore di
La7
En-
rico Mentana ha chiamato “ in-
terviste farlocche”?
Quante sono, delle 450 esi-
stenti in Italia, le radio e le emit-
tenti tv locali coinvolte? Quali e
quanti giornali e periodici si pre-
stano a ricevere soldi per “ospi-
tate” o passaggi di dichiarazioni?
Quanti fotocinereporter si met-
tono d’accordo con personaggi
dello spettacolo e dello sport? Lo
fanno in cambio di soldi pagati
in nero?
Lo sdegno non basta più. La
credibilità e l’autonomia dei gior-
nali, delle radio e delle tv sono
beni troppo preziosi per essere
infangati da questi episodi.
Dopo la clamorosa esplosione
della vicenda la Guardia di Fi-
nanza ha controllato in Emilia
Romagna 22 tv e 32 radio, pre-
levando copie di fatture, docu-
menti contabili e corrisponden-
za.
La Procura di Bologna indaga
per peculato (i soldi sono pub-
blici). La Corte dei Conti ha
aperto un dossier. L’Ordine dei
giornalisti ha avviato un’indagi-
ne. È intervenuto sdegnato anche
il sindacato dei giornalisti, ma la
Fnsi è stata costretta a precisare
che per lo meno dalle prime ana-
lisi i giornalisti coinvolti non so-
no iscritti al sindacato e quindi
nei loro confronti non è possibile
adottare alcun provvedimento.
L’Ordine è costretto a muoversi
a rilento a causa dei vincoli e del-
le latenze burocratiche imposte
dalle vecchie norme del 1963. Ar-
rivano intanto le prime ammis-
sioni e giustificazioni. Il condut-
tore radiofonico Dario Pattacini,
ascoltato dalle Fiamme Gialle, ha
fatto il nome del consigliere del
Movimento 5 stelle Andrea De-
franceschi, spiegando che la ge-
stione dei contratti era affidata
alla concessionaria di pubblicità
dell’emittente
7
Gold
Media e
Media93. I contratti erano cioè
intestati ai gruppi consiliari e
prevedevano un numero di “pas-
saggi televisivi” di politici in cam-
bio delle somme concordate. Ora
l’opinione pubblica vuole cono-
scere tutta la verità. Chi ha ap-
profittato della situazione e ha
commesso illeciti deve essere pu-
nito. Senza sconti per nessuno.
Avvicinandosi importanti sca-
denze politiche come le elezioni
di primavera, la nomina del Ca-
po dello stato, la scelta di sindaci
di grandi città a partire da Roma,
occorre sgomberare il terreno da
dubbi e incertezze. La stampa
può anche schierarsi come avvie-
ne nei paesi anglosassoni ma lo
deve fare con chiarezza, traspa-
renza e mettendo al corrente i
propri lettori.
SERGIO MENICUCCI
II
POLITICA
II
Alcoa e Sviluppo: turbolente prove di dialogo
di
RUGGIERO CAPONE
a vicenda dell’Alcoa è la
più evidente ma tutto il Sul-
cis è alla fame, e il problema è che
i nostri politici sono di serie B: im-
piegati che prendono ordini dai
partiti di Roma», fa notare Gigi
Riva, l’ex calciatore che conosce
meglio di tanti sindacalisti la vi-
cenda sarda. «Adesso il cerchio si
chiude - spiega Riva - i giovani do-
vranno lasciare questa terra come
succedeva negli anni Sessanta,
quando esistevano paesi abitati so-
lo da vecchi e tutto era all’insegna
dell’emigrazione. È stata fatta una
politica economica dissennata, le
aziende venivano dal continente
con macchinari vecchi, se li face-
vano pagare come nuovi, prende-
vano i contributi e poi se ne anda-
vano senza lasciare lavoro o
investimenti. A forza di depaupe-
rare, il tessuto è sul lastrico e la po-
litica per i motivi che ho detto non
ci aiuta. Ma - conclude l’ex calcia-
tore - è un errore pensare che gli
operai dell’Alcoa a Roma si pos-
sano accontentare di promesse o
di voci di interesse di aziende stra-
niere, è un giochetto che i sardi co-
noscono bene per averlo già subito.
Questa gente è partita per Roma
determinata ad avere qualcosa di
concreto, e non se ne andrà senza
averlo ottenuto».
Il nucleo degli irriducibili del-
l’Alcoa non supererebbe le 500
unità, sono circondati dalle forze
dell’ordine, tra le romane via Mo-
lise e via di San Basilio. Fermi tra
«
L
il ministero dello Sviluppo econo-
mico e le due traverse di via Vene-
to: non possono accedere al mini-
stero ma nemmeno abbandonare
il sito della protesta. Carabinieri,
Polizia e Finanza li hanno circon-
dati. L’ordine è di identificare tutti
e 500, e per circoscrivere i respon-
sabili di violenze e resistenza a
pubblico ufficiale, nonché denun-
ciare tutti per aver superato la di-
stanza di sicurezza permessa a cor-
tei e manifestazioni. E qui s’apre
una casus belli: infatti per la Polizia
municipale di Roma la manifesta-
zione sarebbe stata autorizzata fino
all’uscio del ministero, a via Mo-
lise. Mentre per Polizia, Carabinieri
e Finanza i manifestanti non dove-
vano raggiungere il sito sensibile,
così come identificato dal decreto
del ministro dell’Interno. E qui
scoppia il caso: fin dove era lecita
la manifestazione ed in che punto
di Roma diveniva fuori legge? «A
questa domanda dovranno ora ri-
spondere le indagini della magi-
stratura - esclama un funzionario
di Pubblica Sicurezza – noi faccia-
mo solo il nostro dovere». E così
circa 500 operai sardi rischiano
condanne penali per manifestazio-
ne non autorizzata, uso di armi im-
proprie come petardi, bombe carta
e lame d’alluminio, resistenza ed
oltraggio a pubblico ufficiale. «Al-
cuni di loro sono già noti alle forze
dell’ordine - asserisce un poliziotto
in borghese dall’accento sardo - se
non li fermiamo a Roma comun-
que li dovremo identificare in Sar-
degna per l’elezione di domicilio».
Non c’è aria di comprensione né
di sconti per i minatori del Sulcis.
Un operaio indossa la maglietta
Fornero al cimitero”: è un duro,
spinge i suoi compagni ad urlare
lo slogan. I lavoratori continuano
incessantemente a lanciare verso il
ministero ed in strada petardi e
bombe carta, mentre sono stati
lanciati anche due razzi. L’irridu-
cibile dell’Alcoa non ha dubbi:
«
Da Roma senza un risultato non
me ne vado, da qui me ne vado so-
lo in manette e per il carcere, e
quando uscirò sarà solo rivolta e
banditismo contro questo stato».
A circa 50 metri, sull’angolo con
via Veneto, udiamo le parole del
Prefetto di Roma: «Dai forza (è al
telefono) mi servono unità nuove
e fresche... questi bisogna portarli
tutti via». Maniere forti e dure: è
di 14 feriti il bilancio della lotta
operai e forze dell’ordine. Gli scon-
tri di ieri a Roma, durante la ma-
nifestazione degli operati dell’Al-
coa, ha visto rimanere contusi 8
agenti del Primo Reparto mobile,
un dirigente e un ispettore di Poli-
zia, tre carabinieri e un finanziere.
Gli operai indossano le magliette
nere con doppia scritta “Disposti
a tutto” e “Fornero al cimitero”.
La Polizia ha ordine di non far fug-
gire nessuno dei 500 duri: vanno
identificati tutti, ordini del Vimi-
nale. Del resto la Cancellieri ha
parlato di linea dura contro i mi-
natori all’indomani del finto ordi-
gno rinvenuto su un traliccio d’alta
tensione dell’Alcoa. «Questi non
sono i No-Tav - racconta un poli-
ziotto a un suo collega - i No-Tav
sono bambocci che hanno poi pau-
ra di galera e processi, invece i mi-
natori sono gente dura... speriamo
di non doverli affrontare pure con
i metalmeccanici». Ma la tensione
si stempera nel primo pomeriggio,
quando un operaio dell’Alcoa si
mette in mutande davanti al mini-
stero. L’uomo, dopo essersi svestito,
ha urlato “ci volete così, ci volete
tutti in mutande». Un poliziotto in
borghese indica il soggetto ad al-
cuni agenti in divisa... è chiaro che
finirà tra i fermati anche l’autore
della spiritosata in mutande.
E la protesta per il lavoro in mi-
niera, in difesa dello stabilimento
Alcoa di Portovesme, vede in cam-
po anche le donne. Nel presidio al-
lestito davanti allo stabilimento
sardo, tra gli operai in attesa di ri-
sposte dal vertice romano in corso
al ministero dello Sviluppo econo-
mico, sono arrivate anche le mogli,
le madri e le sorelle dei lavoratori
in trasferta a Roma.
I telefoni cellulari sono caldis-
simi: dalla Capitale arrivano le no-
tizie sugli scontri e le donne di Por-
tovesme sono in ansia per i loro
figli, mariti e compagni di vita.
«
Perché li trattano così - si chiede
una mamma - stanno solo chieden-
do un lavoro, non siamo barbari».
Tra loro, in apprensione, anche
una donna incinta: «Il mio com-
pagno è in mezzo al caos, lo fa per
noi, per il figlio che sta nascendo,
per assicurargli un futuro. Se perde
il posto all’Alcoa, qui, in questo
territorio martoriato, non ne tro-
verà mai un altro». Hanno orga-
nizzato anche un blocco stradale
per impedire l’accesso ai camion e
un presidio pacifico allo scalo di
Portovesme. E la carenza di perso-
nale ha impedito lo spegnimento
programmato di altre sei celle elet-
trolitiche, preludio alla fermata to-
tale dell’impianto che Alcoa ha fis-
sato entro la fine dell’anno. Intanto
a Roma fioccano le dichiarazioni
dei politici che, da tutti gli schie-
ramenti, condannano i minatori,
la loro protesta e gli scontri. Li de-
finiscono «barbari, incapaci di se-
dere ad un tavolo di trattativa». E
come i barbari rischiano ora il car-
cere, perché nel governo c’è il mi-
nistro che dice di poter salvare lo
stabilimento, ma anche chi chiede
«
nessuno sconto per la rivolta ope-
raia».
Quelle“interviste farlocche”
che inquinano stampa e tv
Musumeci lancia
la corsa siciliana
Circa 600 operai hanno
manifestato ieri a Roma
sotto la sede
del ministero di Passera
Qualcuno ha provato
anche a superare
i cordoni della Polizia:
solo qualche contuso
nvita ad una una campagna elet-
torale che eviti i toni accesi e le
offese e annuncia che presto nuo-
ve forze si aggiungeranno in questa
battaglia. Nello Musumeci, candi-
dato alla presidenza della Regione
siciliana del Pdl, la Destra, Pid e
Fare Italia, con il suo intramonta-
bile pizzetto che neanche Berlusco-
ni riuscì a fargli togliere quando
fu scelto come sottosegretario, non
ha smentito il suo
aplomb
anglo-
sassone neanche ieri a Palermo nel
corso della presentazione del ma-
nifesto per la campagna elettorale
e del simbolo della sua lista. Un
logo dai colori insoliti per la tra-
dizione politica di destra, uno sfon-
do rosso con un tratto giallo che
sottolinea il nome del candidato.
«
Il rosso è il colore della passione
e il giallo quello della Sicilia», ha
spiegato l’esponente de La Destra.
Colori che, infatti, sono quelli della
bandiera siciliana. Nessun equivo-
co possibile, quindi, con un altro
rosso su cui ha ironizzato Musu-
meci. Toni pacati e seri, nessun slo-
gan populista o demagogico e la
volontà di superare «le profonde
divisioni, dissidi e contrasti che
hanno caratterizzato gli ultimi an-
ni». «Il mio compito - ha afferma-
to Musumeci - non è solo quello
di intercettare il residuo dei veleni
che ancora permane sulla scena si-
ciliana, ma anche di lavorare per
bonificarla». Certo ristabilire un
I
clima di serenità nel quadro poli-
tico siciliano in cui, e non solo in
questa infuocata campagna eletto-
rale, i contrasti tra le forze politi-
che e i rancori personali l’hanno
fatto da padrone, non sarà una co-
sa facile. L’ex presidente della pro-
vincia di Catania è consapevole
che l’impresa sarà difficile e «senza
alcuna allusione o riferimento» ha
sottolineato: «Il mio primo grande
sforzo sarà di dimostrare che i ca-
tanesi non sono tutti uguali. La Si-
cilia ha avuto sei o sette presidenti
di Regione catanesi. Io - continua
il candidato a governatore - vorrei
distinguermi e non intendo essere
assimilato e accostato ad altri pre-
cedenti che affido al giudizio della
storia e della cronaca». Musumeci
non nomina elegantemente, nessu-
no, ma l’allusione a Raffaele Lom-
bardo (è di Grammichele in pro-
vincia di Catania) è del tutto
evidente. Ribadisce che vuole «go-
vernare con onestà», come recita
lo slogan del suo manifesto eletto-
rale, e rompere con le logiche del
passato, cominciando dal luogo in
cui dimorerà se eletto presidente.
L’ex sottosegretario, infatti, non
abiterà a Palazzo d’Orleans come
molti suoi predecessori, ma sta cer-
cando casa, precisamente un biva-
ni, per evitare di fare continuamen-
te la spola tra i due capoluoghi
siciliani.
ROSAMARIA GUNNELLA
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 11 SETTEMBRE 2012
4