Page 4 - Opinione del 11-10-2012

II
GIUSTIZIA
II
Vitiello e le idiozie della neolingua giustizialista
di
VALTER VECELLIO
on levità - una leggerezza che
ancor più incide e segna –
Guido Vitiello su
La Lettura
,
sup-
plemento domenicale del
Corriere
della Sera
,
affronta una questione
di sostanza: le idiozie (e spesso so-
no autentiche idiozie criminali)
che si evidenziano e ci opprimono
con quella che definisce la «neo-
lingua giustizialista».
Questione importante e nien-
t’affatto teorica. L’aveva, da par
suo, individuata Leonardo Scia-
scia. E ce ne aveva messo in guar-
dia nel suo ultimo racconto, quasi
sillabato dal letto in cui per la ma-
lattia si trovava. Nell’edizione
Adelphi, bisogna andare alla pa-
gina 44, il dialogo tra il magistra-
to e il suo vecchio professore:
«
Posso permettermi si farle una
domanda?…Poi gliene farò altre,
di altra natura…Nei componi-
menti d’italiano lei mi assegnava
sempre un tre, perché copiavo. Ma
una volta mi ha dato un cinque:
perché?». «Perché aveva copiato
da un autore più intelligente» ri-
spose il professore.
Il magistrato scoppiò a ridere.
«
L’italiano: ero piuttosto debole
in italiano. Ma come vede, non è
poi stato un gran guaio: sono qui,
procuratore della Repubblica…».
«
L’italiano non è l’italiano: è il ra-
gionare - disse il professore - Con
meno italiano, lei sarebbe forse
ancora più in alto».
Sempre Sciascia una volta pro-
pose, per gioco – ma non tanto,
C
per come poi le cose si sono evo-
lute. La proposta andrebbe forse
studiata per una sua pratica rea-
lizzabilità – che finito il corso
previsto, un magistrato, come in-
tegrazione della sua formazione,
dovesse trascorrere dai tre ai sette
giorni in un carcere, a far la vita
del detenuto, in modo da rendersi
conto, in corpore vili, cosa signi-
ficava, e comportava, la decisione
di privare qualcuno della sua li-
bertà. Enzo Tortora, che quel-
l’esperienza dolorosa e ingiusta
l’ha patita, propose qualcosa di
più blando: un periodico moni-
toraggio per ogni magistrato. E
coloro che avevano commesso un
certo numero di errori, trasferiti
in uffici dove non potessero fare
più danni.
Chi scrive si accontenterebbe
ma già, si possono immaginare
i negativi commenti - che di ogni
magistrato venissero studiate le
pagelle del liceo, il voto in italiano
appunto. Per valutare se merita di
fare solo il procuratore della Re-
pubblica. O, magari, di essere de-
stinato «ancora più in alto».
Vitiello ha tanti pregi. Sia che
scriva su
La Lettura
,
sia che inter-
venga sul
Foglio
,
ha il dono di far
riflettere, per cerchi concentrici. Il
pensiero, la riflessione che evoca,
spazia, fluttua leggera, ed emer-
gono da imperscrutabili strati do-
ve la memoria li aveva tempora-
neamente sepolti. Ed ecco apparire
altre riflessioni e ricordi. Leggendo
la piccola (e tuttavia esemplare)
galleria di idiozie partorite dalla
neo-lingua giustizialista, proprio
per via di quelle concatenazioni
incontrollate ma non arbitrarie, ci
si trova a rileggere la pagina che
precede il dialogo tra il procura-
tore e il professore d’italiano. Ed
è pagina inquietante, perché cor-
risponde a tanta cronaca che or-
mai rischia di assuefarci (se già
non lo si è).
È la pagina 43: a colloquio so-
no il magistrato, il questore e il
colonnello. E sarà il magistrato a
mettere, per una volta, d’accordo,
storici rivali come appunto hanno
fama d’essere, poliziotti e carabi-
nieri: «…Il magistrato assunse aria
di grave pensamento e poi disse:
Sapete che cosa penso? Che ca-
suale per quanto si voglia, l’uomo
della Volvo entrò nell’ufficio del
capostazione, vide quel dipinto, se
ne invaghì a colpo di fulmine, fece
fuori i due e se lo portò via”. Que-
store e colonnello si scambiarono
perplesso e ironico sguardo. “È un
personaggio, questo della Volvo,
per cui mi è venuta una immedia-
ta affezione. Difficilmente sbaglio,
nelle mie inquisizioni. Tenetemelo
bene al fresco”. Li congedò, aveva
da sentire il vecchio professore
Franzò. Uscendo il questore disse:
Dio mio!”; e il colonnello: “Ter-
rificante!”».
Si legge l’articolo di Vitiello –
ed è scritto in ottimo italiano: non
potrà mai concorrere, evidente-
mente, a un posto di procuratore
della Repubblica. Dovrà conten-
tarsi d’imbrattar fogli di carta con
pensieri e parole (meglio così: e si
prenda il suo
Non giudicate, con-
versazioni con i veterani del ga-
rantismo
,
interventi di Corrado
Carnevale, Giuseppe Di Federico,
Domenico Marafioti, Mauro Mel-
lini, introduzione di Giuliano Fer-
rara, edizioni Liberlibri, pag.106,
14
euro) – e come un sospiro ti
escono entrambe le esclamazioni,
del questore e del colonnello. Ha
ragione, in questi anni a tal punto
si è stravolto e distorto il linguag-
gio usato per descrivere le cose di
giustizia, che ad antidoto – e chis-
sà! – occorrerebbe «un Karl Kraus
per coglierne le mostruosità, un
Flaubert per compilarne lo scioc-
chezzaio».
Sarebbe interessante e depri-
mente insieme compilare un Di-
zionario dei luoghi comuni della
giustizia sulla falsariga del lavoro,
lasciato incompiuto per sopravve-
nuta morte, da Flaubert. E pur li-
mitando la ricerca alle questioni
della giustizia, e alla idiozia che
spesso la (s)governa se ne ricave-
rebbe uno straordinario
sottisier
.
S’arriverebbe, probabilmente, a
una conclusione che pure ci pro-
cura irritazione e fastidio: quella
«
di star lontano dai Tribunali» per
quanto è possibile. Una raccoman-
dazione contenuta in una lettera
di Giovanni Amendola a Benedet-
to Croce del 1 giugno 1911. Con-
siglio, raccomandazione che,
cent’anni dopo, si vorrebbe poter
rigettare.
L’articolo di Vitiello ci ricorda
invece che un certo timore, oggi
forse più di ieri è giustificato, e
quel consiglio se non proprio ac-
colto, almeno va ponderato.
Napolitano:GayTachè tra levittimedel terrorismo?
sama Abdel Al Zomar nel
1981
era uno dei rappresen-
tanti giovanili della comunità pa-
lestinese in Italia. Fu lui, secondo
l’accusa, a guidare il commando
di terroristi che il sabato 9 otto-
bre 1982, poco prima di mezzo-
giorno, seminò morte e distruzio-
ne davanti al Tempio maggiore,
la storica sinagoga di Roma.
Tra le vittime, oltre a 40 feriti
tra cui un italiano che dopo poco
si convertì all’ebraismo, un bam-
bino di poco più di due anni, Ste-
fano Gay Tachè.
Che forse da quest’anno, a
trenta da quell’ignobile assassinio,
sarà inserito tra le vittime ufficiali
del terrorismo in Italia. Giorno
celebrato il 9 maggio, data sim-
bolica che corrisponde a quella
del rinvenimento del cadavere di
Aldo Moro in via Caetani, dove
fu fatto trovare dalle Brigate ros-
se nel 1978 dopo 55 giorni di pri-
gionia nel carcere del popolo di
via Montalcini e dopo la strage
O
di via Fani perpetrata il 16 marzo
precedente.
Per la cronaca Zomar fu arre-
stato in Grecia, condannato in
contumacia ed estradato in Libia
dove, secondo alcune fonti, vi-
vrebbe tutt’oggi libero.
La comunità ebraica dopo
trenta anni chiede ancora giusti-
zia per questa strage e ieri ha po-
tuto farlo al cospetto della prima
carica dello stato, Giorgio Napo-
litano, già caro agli ebrei di tutto
il mondo per avere avuto il co-
raggio di dire che anti sionismo
e antisemitismo sono di fatto la
stessa cosa.
E ieri a Roma, a commemora-
re quel bambino morto, per cui
per 30 anni quasi nessuno oltre
ai suoi correligionari ha sentito
il bisogno di spendere qualche
parola tra le massime cariche del-
lo stato italiano, alle 11 nella Si-
nagoga c’era Napolitano e c’era-
no anche le altre due massime
cariche della repubblica, Renato
Schifani presidente del Senato e
Gianfranco Fini, presidente della
Camera.
A parlare a nome di tutti, per
gli ebrei, l’attuale presidente della
Comunità romana, che poi è la
più numerosa d’Italia, Riccardo
Pacifici, che ha chiesto «giustizia
per Stefano Tachè» e di «togliere
i segreti di stato» che ancora cir-
condano la vicenda. Segreto di
stato in questo caso non è una
frase un po’ astratta come quella
che usano tutti i 2 agosto i fami-
liari delle vittime della strage di
Bologna, per la quale, semmai, gli
unici segreti che reggono sono
quelli sul depistaggio istituzionale
che portò alla condanna definiti-
va di Francesca Mambro e Giu-
sva Fioravanti.
No, nel caso dell’attentato alla
Sinagoga c’è di mezzo il cosiddet-
to “Lodo Moro-Giovannone”,
cioè il patto segreto con Arafat e
i terroristi palestinesi stipulato
dal nostro paese già negli anni
’60
per tenere fuori il territorio
italiano dai dirottamenti aerei e
dalle stragi di quel terrorismo che
all’epoca non era di matrice isla-
mista ma pur esisteva.
In cambio di una sorta di la-
scia passare per tutti i guerriglieri
della causa palestinese e per tutte
le nefandezze compiute nella no-
stra penisola o anche all’estero,
come avvenne nel caso della spa-
rizione dei due reporter Italo Toni
e Graziella de Palo o in quello
della nave Achille Lauro.
Giovannone era il capo dei
servizi militari dell’epoca in Me-
dio Oriente e fu la persona dele-
gata da Moro per questo tipo di
nefandezze. Per Pacifici, «ci sono
ancora troppe ombre e dubbi sul-
l’attentato alla sinagoga di tren-
t’anni fa. Ci sono ancora doman-
de alle quali vorremmo fossero
date delle risposte e che vengano
tolti tutti i segreti di stato al ri-
guardo».
Sempre rivolgendosi al presi-
dente Napolitano Riccardo Paci-
fici ha poi ricordato ancora che
«
proprio lei ha accolto la richie-
sta dei familiari del piccolo Ste-
fano Gay Taché di inserirlo tra le
vittime italiane degli anni bui del
terrorismo.
Siamo orgogliosi di avere con
noi oggi il primo presidente della
Repubblica che con coraggio di-
chiarò al Quirinale il 27 gennaio
del 2007 il suo ‘no all’antisemiti-
smo’ anche quando si traveste da
antisionismo».
Certo oggi il clima è assai di-
verso non solo dal 1982, quando
l’attentato in questione era stato
preceduto dalla visita di Arafat
in Italia, con tanto di foto oppor-
tunity con un Sandro Pertini qua-
si gongolante, e dal suo spavaldo
ingresso, con pistola nel cinturo-
ne, nel Parlamento italiano, ma
anche di quello che solo dieci an-
ni fà mandò pressochè deserta
più di un’iniziativa privata di
commemorazione del piccolo Ta-
chè, in pieno clima di post 11 set-
tembre e di continui attentati ka-
mikaze che avvenivano in Israele.
Oggi, anche grazie a iniziative
come quelle tenute da
l’Opinione
nell’ottobre 2002, l’amicizia verso
Israele è stata sdoganata a tutti i
livelli (clamoroso il caso del viag-
gio di Fini in Isarele,
ndr
)
e nes-
suno , tranne gli estremisti di de-
stra, di sinistra e gli integralisti
cattolici e islamici, chiama più
sporchi sionisti” coloro che si
professano “amici di Israele e ne-
mici del terrorismo internazionale
di qualsivolgia matrice, religiosa
o laica”.
Adesso, dopo che la famiglia
del compianto Stefano Gay Tachè
ha avuto la soddisfazione di un
pubblico riconoscimento dalle
massime cariche dello stato ita-
liano, speriamo che segua anche
l’opera della magistratura e del
governo nel chiedere alla Libia
del post gheddafismo l’estradizio-
ne di Zomar e dei suoi complici
perchè vengano processati e con-
dannati qui in Italia.
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 11 OTTOBRE 2012
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