Page 5 - Opinione del 11-10-2012

iamo dunque in economia di
guerra. Fortunatamente non
ancora in una guerra guerreggia-
ta ma siamo indubbiamente al-
l’interno di una guerra finanzia-
ria globale senza esclusione di
colpi.
La decisione governativa di
operare risparmi sulla illumina-
zione stradale altro non è che la
ripetizione, a circa 40 anni di di-
stanza, di quanto accadde con la
guerra del Kippur tra arabi e
israeliani che mise in crisi prezzi
e importazioni petrolifere.
Allora le città erano al buio,
le persone restavano nelle loro
case, vi fu una emergenza crimi-
nalità, la televisione italiana sfor-
nava trasmissioni del tipo “come
risparmiare in cucina non gettan-
do via nulla”.
Oggi, non paghi di quanto ac-
cadde, continuiamo a pagare le
conseguenze di una “non politi-
ca” energetica o peggio, di una
politica dissennata in materia
che, favorendo incentivi alle co-
siddette energie rinnovabili in
nome di un “mondo migliore”,
ci sta portando, insieme alla Spa-
gna, ai margini di una Europa
che al contrario, non pensa mi-
nimamente a ricorrere a simili
provvedimenti restrittivi di un
bene come la disponibilità di
energia.
In altri paesi, il Belgio ad
S
esempio, dove risiede il parla-
mento europeo, perfino le auto-
strade sono illuminate. Il fatto è
che lì hanno centrali nucleari
mentre noi abbiamo ormai enor-
mi e inutili parchi fotovoltaici.
Insomma il danno è fatto, co-
me del resto il peso del debito
pubblico che ci trasciniamo da
anni e che ora stiamo tutti pa-
gando, sopporteremo presto il
peso di una demenziale “non po-
litica” energetica che ha affidato
a forniture estere di gas e petro-
lio la nostra sopravvivenza non
potendo noi, la notte, attaccarci
al fotovoltaico perché il sole pur-
troppo non brilla.
In questo anno ricorre il set-
tantesimo anniversario della fis-
sione nucleare ad opera del no-
stro Enrico Fermi, il cui ingegno,
regalato all’umanità e quindi an-
che a noi suoi concittadini, è sta-
to da costoro, guidati da politici
irresponsabili, gettato nel secchio
della spazzatura.
In questo stesso anno ricorre
il cinquantesimo anniversario
della morte di un altro grande
italiano, Enrico Mattei, che è sta-
to eliminato proprio mentre ten-
tava di svincolare l’Italia da sud-
ditanze energetiche.
Il fatto è che i nemici di Mat-
tei e di Fermi sono ancora oggi
in vita, attivi e operanti, pronti
a tradire gli interessi del proprio
paese per trarre personali van-
taggi.
Beninteso, questo governo
non ha colpa alcuna se deve spe-
gnere la luce delle strade e au-
mentare la bolletta elettrica alle
famiglie.
Questo governo non ha (an-
cora) colpa alcuna se l’Alcoa
chiude i battenti in Italia per i
rincari energetici.
Questo governo raccoglie ciò
che altri governi, di destra e di
sinistra hanno realizzato in so-
stanziale combutta tra loro, sia
in materia energetica che in ma-
teria di bilancio: ambedue con
risultati disastrosi.
Politici in servizio permanente
effettivo che, quando non hanno
rubato direttamente, non si sono
resi conto che altri rubavano a
loro insaputa. Parimenti colpe-
voli quindi per manifesta inca-
pacità di controllo.
Politici che non hanno mai
perseguito una politica che non
fosse di conservazione del loro
potere personale o di gruppo.
I professori altro non possono
fare che spegnere le luci di un
paese che è ben lontano dalla ri-
presa.
Altro che la fine del tunnel.
Ci siamo dentro con tutti noi
stessi e per di più senza illumi-
nazione.
GIUSEPPE BLASI
II
ATTUALITÀ
II
A L’Aquila, tra ritardi, incompetenza e lassismo
di
GIUSEPPE MELE
l cul de sac
sta a L’Aquila, negli
storici Buzzi. Landa fornitrice di
teste folli e pensanti, capaci, sulla
piazza dell’Urbe, cioè d’Italia, di du-
rare a lungo, malleabili e rocciosi al
tempo stesso. Da D’Annunzio a
Pannella a Vespa. Tutti a lamentare
di non star co’ miei pastori, per poi
guardarli da lontano. Proviamo ad
andare vicino, dentro il capoluogo
abbruzzese. Qui è stato defenestrato
come un malvivente il locale e con-
terraneo governatore. Dal palazzo
alla cella, sotto il pubblico ludibrio,
incluso quello del suo partito (de-
mocratico). Passano i giorni, i mesi,
gli anni, quasi un lustro. Le prove
non ci sono, il processo nemmeno.
Che fanno i villici locali? Si affolla-
no sotto le finestre dei togati che si
sono inventati un caso inesistente?
Reclamano i loro diritti elettorali
vilipesi e calpestati? Chiedono la re-
sponsabilità dei media infanganti,
delle istituzioni latitanti, dei pubblici
funzionari ammattiti ? Quando mai.
Senza pifferai, non ricordano nulla,
non sanno nulla, non fanno nulla,
sono nulla. Arriva il terremoto, il
disatro, la distruzione. La normale
reazione della pubblica amministra-
zione è nota: lenta, lontana, scostan-
te, indifferente, contraddittoria. Ba-
sta guardare all’Emilia, dove non
solo non arrivano fondi pubblici (e
già si chiede l’Imu dal centro), ma
nemmeno arrivano i fondi raccolti
privatamente. Si sa che al nord la
gente fa da sé. Invece al sud la di-
sgrazia è un danno del momento ed
I
una controassicurazione per i dcen-
ni a venire. Non toccate dunque la
calamità naturale, su di essa si de-
vono costruire ritardi ed indennizzi
destinati a continuare nei decenni.
Per un a volta invece a L’Aquila si
volle fare diversamente. Intervenire
immantentemente. Ricostruire ra-
pidamente. Addirittura spostare un
grande evento ed i grandi della terra
sul posto per agevolare la solidarietà
internazionale. Ovviamente il sin-
daco, il capomastro, il priovinciale,
i regionale non volevano. Il danno,
il pianto, la disgrazia era loro; mica
la si può scippare così. Il governo
preso da un attivismo inusitato, per
evitare tutte le resistenze, scippò al-
lora il timone alle solite mille as-
semblee ed ai soliti cento poteri
coinvolti ed in nome dell’emergen-
za, con poteri cincinnateschi, diede
una casa, finita e completa, ad una
marea di gente. Così si fa in Ger-
mania o Francia, tra le lande neb-
biose ed umbratili di gente insensi-
bile. Così non si fa. Si urta il
campanile, si sottovaluta la disgra-
zia, si offende la lamentela, si facilita
la speculazione, si minaccia di non
tornare allo status quo ante. Ed in-
fatti, poco alla volta, l’alleanza di
un popolo tutto e dei media più
avanzati e progressisti hanno sve-
lato il complotto governativo. Per
conto suo il governo ci ha rimesso
miliardi e anche la faccia. Di com-
missione in commissione, di respon-
sabilità in responsabilità, tutte le
forze locali hanno difeso i resti, le
pietre, le rovine in cui il terremoto
aveva ridotto la città. Li hanno di-
fesi con le unghie e con i denti, ti-
morosi che il governo volesse rapi-
damente metter male anche a quelli,
magari senza concertazione locale;
infuriati che il governo volesse su-
bito sgombrare, restaurare, rico-
struire. Come dire, rubare l’anima
ad una città. Consegentemente tutti
i locali responsabili dei ritardi, della
salvaguardia dei fossili, e dei tempi
cami in cui nei decenni si calcole-
ranno gli indennizzi, sono stati pre-
miati. Sono stati rieletti. La satira
ha mortificato quei malfattori che
volevano porre rimedio in tempi ra-
pidi senza far comandare ai locali.
Ed ora L’Aquila è sempre lì, distrut-
ta. Hanno pure speso milioni per
un teatro di legno dove tra le rovine
ci si potrà radunare per ricordare
le distruzioni. Il saggio ha detto
Mai ricostruire fuori “ e si è di-
menticato di auspicare la ricostru-
zione, se non dentro, se non fuori,
almeno da qualche parte. L’archi-
tetto, piano piano, il solito miliar-
dario che costruisce per i nuovi po-
tenti, come per i vecchi, per i
democratici come per i dittatori, ha
garantito che la costruzione, anche
se costosa, è precaria, momentanea,
assolutamente non definitiva. Certo,
è di legno. S’incendiasse, nesuno
s’azzardi a soccorrere, intervenire o
risolvere. I popoli hanno diritto alle
loro disgrazie nei tempi di pianto e
di aiuto da loro desiderati. Come a
Messina, ad Avellino, alle falde del
Vesuvio. È un
cul de sac
generale
quello de L’Aquila, inspiegabile, im-
modificabile, irrazionale (o forse
no). Lì l’Italia ha messo la testa,
chiudendosi i lacci al collo, per poi
gridare al fuoco al fuoco. Non si
parli però di ardori rivoluzionari o
di vampate popolari.
La politica energetica italiana
è ormai in stato di coma
Grillo va in Sicilia
attraverso lo Stretto
Sul capoluogo
abbruzzese il governo
ci ha rimesso miliardi
e anche la faccia
La reazione
della pubblica
amministrazione è stata
lenta e contraddittoria
uscito dall’acqua non proprio
come una sirena, stretto in una
muta nera con il logo del suo mo-
vimento sulla schiena, ed ha toccato
la terra di Sicilia dopo più di un’ora
di traversata a nuoto dello Stretto
di Messina. Beppe Grillo, leader del
Movimento Cinque Stelle, sfidando
le ire di Scilla e Cariddi (le correnti
erano molti forti) è arrivato ieri nel-
l’isola a sostegno del candidato alla
presidenza della Regione siciliana
Giancarlo Cancelleri. Una trovata
pubblicitaria niente male come ini-
zio del suo tour elettorale che lo
porterà per 16 giorni a percorrere
in lungo e largo le nove province
siciliane (isole comprese). Chissà
quante notti insonni avrà passato
a domandarsi: “E adesso cosa mi
invento?. Cosa potrò mai escogitare
in Sicilia per suscitare il massimo
clamore possibile?” E siccome da
buon genovese di mare se ne inten-
de, perché non azzardare una tra-
versata e magari darle una valenza
simbolica. Già, «un gesto tutt’altro
che simbolico», ha spiegato il can-
didato a governatore Cancelleri in
trepida attesa del suo guru a Torre
Faro (Messina), «per dimostrare
che il ponte non serve per attraver-
sare lo stretto». Certo rischiare un
infarto (anche se con pinne e muta
3
km non sono chissà quale impre-
sa) per esprimere una convinzione
che si può tranquillamente affer-
mare in altri contesti forse è un po’
È
troppo. Come forse è un po’ trop-
po dichiarare, come ha fatto il co-
mico genovese non appena appro-
dato sulla spiaggia, che il suo «è il
terzo sbarco in Sicilia, dopo Gari-
baldi con i Savoia e gli Stati Uniti
che hanno portato la mafia». E poi,
per strappare la risata come ogni
buon attore che si rispetta, ha escla-
mato: «Io sono arrivato in Sicilia
a nuoto, Garibaldi e Lucky Luciano
no». Non sappiamo se Grillo e i
suoi supporter in camicia rossa fa-
ranno tappa a Salemi, ma di sicuro
questa volta il leader del M5S do-
vrà confrontarsi con la sua prima
vera consultazione politica impor-
tante. Le scorse amministrative i
grillini in Sicilia (che secondo i son-
daggi ad oggi si attestano sul 7%)
non hanno avuto lo stesso exploit
che nel resto d’Italia, anzi, non sono
riusciti neanche a prendere un con-
sigliere a Palermo. E Grillo con la
sua politica-spettacolo saprà fare
dimenticare la sua colossale gaffe
sulla mafia fatta in occasione di un
comizio nel capoluogo siciliano, lo
scorso 30 aprile, in cui aveva affer-
mato che i politici sono peggio dei
mafiosi, che con il pizzo non stran-
golano le proprie vittime? Dichia-
razioni che innescarono non solo
un vespaio di polemiche, ma so-
prattutto indignazione da parte dei
familiari vittime di Cosa nostra. La
Sicilia non è un palcoscenico.
ROSAMARIA GUNNELLA
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 11 OTTOBRE 2012
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