Page 6 - Opinione del 11-10-2012

II
ESTERI
II
Romney eObama testa a testa
Bagnodi realtàper la sinistra
di
STEFANO MAGNI
egli Stati Uniti stiamo assisten-
do ad un’anomalia statistica.
Per la prima volta, dall’inizio di que-
sta campagna elettorale presiden-
ziale, Mitt Romney è in testa. La
media dei sondaggi nazionali effet-
tuata da Real Clear Politics, si co-
lora inaspettatamente di rosso (il co-
lore repubblicano) e dà lo sfidante
in testa di 0,8 punti. Un vantaggio
modesto, in termini assoluti. Ma
molto rilevante, se lo si considera in
una prospettiva storica: vuol dire
che in una sola settimana c’è stato
un slittamento di voti di ben 12
punti, in media, in tutti gli Stati Uni-
ti.
Proprio nel momento “giusto”,
pure lo staff della campagna di
Obama può finire vittima di uno
scandalo: le donazioni per il presi-
dente in carica, a quanto risulta da
un rapporto del Government Acca-
ountability Institute, potrebbero ar-
rivare anche dall’estero, in violazio-
ne della legge federale. Il sito Obama
For America, infatti, non avrebbe
incluso, nel suo sistema di pagamen-
to, la compilazione del codice CVV
delle carte di credito, che permette
di identificare la presenza fisica del
pagatore. La campagna, per questo,
rischia un’epurazione dell’ultimo
minuto, con conseguenze nefaste
nello sprint finale.
L’ultima offensiva democratica
N
di spot televisivi è ormai chiaramen-
te un autogol. Ha preso di mira una
singola frase di Romney nel suo di-
battito presidenziale, quella in cui
critica Obama per finanziare ecces-
sivamente il servizio pubblico tele-
visivo: «Anche a me piace Big Bird
(
il pupazzo di Sesamo Street, ndr)»,
ma i fondi alla Pbs (la Tv pubblica)
vanno comunque ridotti. La cam-
pagna di Obama ne ha fatto un tor-
mentone: “con tutti i rapaci della fi-
nanza,
dobbiamo
proprio
prendercela con Big Bird?”, recita
l’ultimo spot. Peccato che i creatori
di Sesamo Street non fossero d’ac-
cordo e hanno chiesto di ritirare la
clip dalle televisioni. «Non sostenia-
mo alcun candidato», hanno spie-
gato laconicamente.
Con un possibile scandalo sulla
raccolta fondi in vista e dopo aver
sbagliato pure a reclutare un uccel-
lone giallo, i progressisti stanno en-
trando in modalità “panico”. An-
drew Sullivan, commentatore di The
Daily Beast e di Newsweek, dichia-
ratamente partigiano di Obama, è
sbottato: «Non ho mai visto un can-
didato, così tardi nella campagna,
gettare la spugna come ha fatto
Obama la settimana scorsa», scrive
nel suo editoriale sul Daily Beast.
Sullivan resta stupefatto dall’erosio-
ne dei consensi: «Ripeto: 12 punti
di slittamento. Su ogni singola que-
stione, Obama è precipitato nel di-
menticatoio. Ha ancora qualche
vantaggio personale su Romney, an-
che se pure quelli stanno diminuen-
do».
Eppure, dov’è la novità? A pre-
scindere dalla sorpresa dei media e
dei commentatori pro-Obama, in-
fatti, questi sondaggi pre-elettorali
confermano lo scenario di sempre.
Non è mai esistito un dilagante suc-
cesso del presidente in carica. Era la
fotografia dei sondaggi precedenti
ad essere parziale, ritraendo quasi
solo gli elettori registrati democratici
o repubblicani e un’opinione pub-
blica ancora lontana dal pensiero di
dover votare. Man mano che si av-
vicina il momento delle urne, tutti
devono compiere delle scelte di cam-
po ed è riemersa la realtà: una com-
petizione all’ultimo voto, in un’Ame-
rica divisa, fra due candidati e
progetti opposti e di pari forza.
La ragazza-coraggio che sopravvive ai Talebani
K
Malala Yousafzai, 14 anni, scriveva sul suo blog, aggiornan-
dolo sui diritti (negati) nello Swat, Pakistan. I Talebani hanno cercato
di tapparle la bocca, sparandole in testa. È sopravvissuta.
Perso il dibattito, dubbi
sulla raccolta fondi,
autogol a Sesamo Street.
E i liberal, come Sullivan,
sbottano.Ma che
le elezioni siano ancora
tutte da giocare
non è una novità
Inferno Zimbabwe: Mugabe schiavo del potere
Johannesburg il presidente
dello Zimbabwe Robert Mu-
gabe spera che le elezioni per la
formazione del nuovo governo si
possano tenere il prossimo mar-
zo: «L’auspicio è che le elezioni
generali si svolgano l’ultima set-
timana di marzo 2013 – ha riba-
dito Mugabe - e un annuncio in
questa direzione sarà fatto al mo-
mento giusto».
Ascoltando queste parole però
è difficile dimenticare il leader
dell’opposizione dell’ex Rhodesia,
Morgan Tsvangirai, minacciato e
costretto a nascondersi per non es-
sere incarcerato. Una popolazione,
quella dello Zimbabwe, allo sban-
do anch’essa e bersagliata di mi-
nacce e violenze, da quel ballot-
taggio elettorale di qualche anno
fa, che si svolse con un unico con-
tendente, Robert Mugabe, padro-
ne e signore della sua regione. Sde-
gnato il mondo occidentale (in
primis gli Stati Uniti) che hanno
sempre condannato le politiche del
leader del partito ZANU-PF, te-
nendo il paese fra le violenze e a
sopravvivere con un’inflazione
reale che sfiora i 5milioni%. Mu-
gabe, da par suo, ha sempre rispo-
sto secco che la legge non può es-
sere violata, ma ha di fatto omesso
di dichiarare come le regole fosse-
ro già state abbondantemente su-
perate e cancellate da anni di so-
prusi, al solo scopo di costringere
la popolazione a votare per lui.
Dopotutto come è possibile
credere ai numerosi appelli del-
l’Unione Africana quando essa
A
stessa appare divisa nei confronti
del dittatore dello Zimbabwe?
Parliamoci chiaro, sono ben pochi
i leader africani che possono oggi
vantare credenziali democratiche
per condannare Mugabe: Bongo,
presidente del Gabon, protetto dai
francesi e al potere da più di qua-
rant’anni; il Sudan, il cui regime è
chiaramente colpevole del genoci-
dio che si sta compiendo in Dar-
fur; l’Eritrea, che incarcera i dis-
sidenti; la Guinea Equatoriale, go-
vernata da una vera e propria
«
monarchia» che addirittura con-
sidera i pozzi di petrolio come
proprietà personale. Ma soprat-
tutto, come può questo sfortunato
continente poter sperare in aiuti
esterni, quando paesi come Fran-
cia e Cina (ad esempio la Cina
estrae il 20% del suo fabbisogno
petrolifero dall’Africa, più preci-
samente in Nigeria) hanno tutto
l’interesse a che la situazione afri-
cana rimanga tale perché è molto
più semplice trattare con una dit-
tatura, piuttosto che con dei go-
verni democratici?
Il Pil nello Zimbabwe si è più
che dimezzato e le esportazioni so-
no ormai pari a zero. La politica
e la giustizia sono sotto il giogo
del governo, con l’opposizione
schiacciata ed una stampa messa
a tacere con la forza. Per un paese
come l’ex Rhodesia, considerata
fino a pochi anni fa “il granaio
dell’Africa”, questi dati lasciano
davvero l’amaro in bocca. Un tem-
po era la cittadinanza vicina su-
dafricana che cercava di scappare
dal regime dell’apartheid per ar-
rivare nella “terra promessa” di
Mugabe, presidente dello Zimbab-
we “democratico” e appena eman-
cipato dai bianchi. Un paese ricco,
dalle immense fattorie e che espor-
tava in tutto il mondo grano, car-
ne e tabacco. Oggi, invece, la gran-
de fuga ha invertito la rotta, con
i sudafricani in lotta con chi sta
scappando dalla tirannia, striscian-
do sotto la spirale di filo spinato
che separa per 240 chilometri l’ex
Rhodesia dal Sud Africa e molto
spesso uccisa al confine, proprio
per evitare un esodo di massa in-
gestibile. Colpa anche del doppio
gioco di Jacob Zuma - attuale Pre-
sidente del Sud Africa - che avreb-
be addirittura dichiarato, non
molto tempo fa, che le sanzioni
della Ue e degli Stati Uniti all’ex
Rhodesia (per via di brogli eletto-
rali delle passate elezioni in Zim-
babwe) “aggraverebbero” ancora
di più la situazione della popola-
zione, con un impatto negativo su
tutta la regione. Se, per esempio,
il Sud Africa avesse ritirato il suo
sostegno economico e politico al
governo dello Zimbabwe, Mugabe
avrebbe dovuto rassegnare le sue
dimissioni ormai da lungo tempo.
Ciò non è accaduto perché il Sud
Africa ritiene ancora valida una
certa fedeltà al suo compagno an-
ti-coloniale e, in un certo senso,
ne sarebbe anche complice chiu-
dendo gli occhi un po’ troppo
spesso.
Purtroppo siamo di fronte al
fallimento storico di Robert Mu-
gabe, l’ennesimo finto liberatore
africano” che viene scoperto per
quello che è: uno schiavo del po-
tere.
Ciò che Mugabe ha fatto per il
suo Paese è uno dei più grotteschi
atti di falso governo che si siano
mai visti al mondo. L’inflazione è
talmente dilagante che i cittadini
dello Zimbabwe evitano le banche
portando i loro soldi in sacchi. Gli
scaffali dei negozi sono vuoti;
l’agricoltura è praticamente crol-
lata, mentre la criminalità, messa
in atto dalla popolazione (per fa-
me) è dilagante. Anche la rete elet-
trica dello Stato non riesce a sod-
disfare il fabbisogno della gente.
Queste critiche valgono certamen-
te per Mugabe, ma anche per la
popolazione dello Zimbabwe, che
in meno di trent’anni non ha di-
mostrato di sapere reggere il peso
dell’indipendenza. La nazione mo-
dello, sognata dagli uomini di co-
lore, ancora oggi reagisce attra-
verso il suo “imprinting”: una
tribù che comanda - il partito Za-
nu-PF (da 28 anni) - e tutti gli altri
dominati. Era chiaro, fin dalla li-
berazione anti-coloniale, che il
movimento Zanu non avrebbe
mai concesso la minima apertura
politica verso gli altri movimenti
e partiti politici. Sarebbe questa la
tanto sospirata liberazione dal
cattivo dalla pelle bianca”? Ad
oggi risulta davvero difficile poter
far previsioni sul futuro di questa
terra, ormai alla mercè della cor-
ruzione e della violenza.
CRISTOFORO ZERVOS
Sistema bancario
collassato, popolazione
in fuga, criminalità
alle stelle... per fame
L’ex Rhodesia era
il “granaio dell’Africa”,
oggi è un esempio
di disastro post-coloniale
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 11 OTTOBRE 2012
6