di
SERGIO MENICUCCI
ambi di direttori all’insegna
della scuderia Caltagirone.
Spostamenti e riposizionamento
dei programmi informativi de La
7.
Sterzata dell’editore di
Repub-
blica-L’Espresso
,
Carlo De Bene-
detti, che oltre ai tagli nelle testate
locali e nei settimanali ha annun-
ciato l’intenzione di far pagare
l’accesso al sito online del quoti-
diano di via Fiocchetti. La stampa
occidentale è in crisi. E anche
quella italiana, che per tirarsi su
scopre la politica.
La pubblicità a causa della cri-
si economica è in calo in tutti i
paesi e gli editori s’interrogano
se ci sono strade e modelli diversi
per salvare l’informazione scritta
dal baratro dei debiti. In prospet-
tiva neppure pagando i quotidia-
ni 2-4 euro a copia la situazione
debitoria potrebbe essere sanata
dalle sole vendite, che sono in
netto calo.
L’emblema della crisi attuale è
stata la pagina in nero pubblicata
il 7 dicembre come ultimo atto di
vita del
Financial Times Deut-
schland
in Spagna dopo
El Mun-
do
anche
El Pais
ha predisposto
un piano di licenziamenti che toc-
cano un terzo degli organici. Il set-
timanale americano Newsweek,
lasciato dalla metà dei vecchi let-
tori, si appresta a varare un’ope-
C
razione di tagli molto incisivi. In
Francia
Nice Matin
(
Bernard Ta-
pie ha rinunciato all’acquisto),
Le
Monde
e
Le Figaro
dopo il boom
di lettori raggiunto nel 2000 stan-
no scontando il crollo degli introiti
pubblicitari con perdite di bilancio
considerevoli. In Italia sono attesi,
con preoccupazione, prima di Na-
tale i piano industriali del gruppo
Rcs, di
Repubblica
,
della Rai.
I primi cambiamenti si registra-
no già con la nomina di Mario
Orfeo alla direzione del
Tg1
e di
Virman Cusenza al
Messaggero
che lascia il
Mattino
di Napoli,
dove arriva dalla capitale Alessan-
dro Barbano, vice a via del Trito-
ne. Sembrano tutte decisioni che
rafforzano le posizioni dell’editore
romano Caltagirone, che molti os-
servatori politici ed economici ri-
tengono buon sponsor delle scelte
politiche di Pierdinando Casini
marito di Azzurra Caltagirone) e
della discesa in campo come can-
didato sindaco di Roma alla testa
di una lista civica del costruttore
Alfio Marchini.
L’arrivo di Orfeo nel telegior-
nale della Rete ammiraglia televi-
siva (guidata da Giancarlo Leone),
dopo la sua precedente esperienza
al
Tg2
,
ha l’obiettivo di garantire
un’informazione pluralista con un
occhio, però, di maggiore consi-
derazione alla sinistra (come la
pensa la stragrande maggioranza
dei suoi redattori).
C’è pericolo, quindi, che l’usci-
ta di Alberto Maccari, che ha ben
gestito la fase di transizione, possa
comportare un ulteriore sbilancia-
mento dell’informazione italiana
già abbondantemente orientata
verso sinistra, come si è visto per
lo spazio e le interviste concessi
alle primarie e ai duelli Bersani-
Renzi.
L’accelerazione degli impegni
politici (elezioni nel Lazio, in Lom-
bardia, in Molise, in Campidoglio,
per il Parlamento e la successiva
elezione del Capo dello stato) ha
messo in fibrillazione il mondo
giornalistico italiano. Caltagirone
ha richiamato a Roma da Napoli
il 48enne palermitano Virman Cu-
senza che aveva lavorato in via del
Tritone come capo del politico tra
il 1998 e il 2007, venendo dal
Giornale
di Indro Montanelli ed
era diventato direttore del quoti-
diano napoletano quando Orfeo
era passato a dirigere
il Messag-
gero
.
Movimenti anche nel terzo
polo televisivo. Per far posto a
Piazzapulita
di Corrado Formigli
il direttore ex Rai Paolo Ruffini
ha sacrificato
L’Infedele
di Gad
Lerner che chiude dopo 10 anni.
La politica vuole essere il pun-
to di forza anche di Enrico Men-
tana nel telegiornale e negli spe-
ciali de La 7 e di Michele Santoro
il giovedì.
II
POLITICA
II
E ora i media italiani, in crisi,
scoprono il fascino dei politici
Grillo e democrazia
quasi partecipativa
eppe Grillo non ci piace e non
ci convince. Soprattutto per il
suo populismo privo di serie pro-
poste. Un po’ poco per poter go-
vernare. La bravura di Grillo è sta-
ta soltanto quella di capire il
malcontento popolare nei confron-
ti del “potere” e di saperlo caval-
care, nella conseguente incapacitá,
però, di essere in grado di offrire
chiare e serie alternative di pro-
gramma che non siano i “vaffa”.
Poi arrivano le Parlamentarie,
un esperimento utile al duo Ca-
saleggio-Grillo per mascherare,
dietro una presunta democrazia
partecipativa, la volontà di sce-
gliere le persone e decidere diret-
tamente le sorti del movimento-
partito e di gestirne poi,
naturalmente in modo diretto e
ristretto, le risorse finanziarie.
Quelle del M5S sono state con-
sultazioni già nate male con la
candidatura consentita soltanto
ad ex-candidati, a coloro cioè
«
che si sono presentati alle elezio-
ni comunali o regionali» (trom-
bati?): niente da fare, ad esempio,
neppure per chi in questi anni ha
magari attivamente partecipato
alle attività del movimento.
Nessuno, ma proprio nessuno,
può in realtà sapere nulla, soprat-
tutto dall’esterno: chi sono i can-
didati, quanti voti sono realmente
giunti ad ognuno di essi e neppure
l’elenco dei votanti (il cui numero
B
dovrebbe attestarsi intorno ai
100
mila) conosciuto solo ai “ca-
pi-clan”. Insomma, una scelta dei
candidati ed uno scrutinio dei voti
a fidarsi”.
Grillo ha reso noto che «i voti
disponibili erano circa 95.000 per
1.400
candidati presenti in tutte
le circoscrizioni elettorali incluse
quelle estere». Ora, considerando
che ogni avente diritto poteva
esprimere tre preferenze di voto,
vuol dire che (almeno potenzial-
mente) avevano la possibilità di
votare poco meno di 32mila per-
sone. Come se Gubbio, in provin-
cia di Perugia, con i suoi 33mila
abitanti (e già sono di più del po-
polo grillino avente diritto ad
esprimersi nelle “Parlamentarie”),
potesse decidere chissà cosa per
l’intero panorama politico nazio-
nale, Altro che sfida democratica
e partecipazione.
In realtà, il M5S è una realtà
settaria ed estremamente chiusa
nella quale solo i capo-clan pos-
sono dire, pensare e decidere: un
soggetto politico dove, per dirla
con Maria Giovanna Maglie, «di
democratico non c’è neanche la
parvenza, e in questo caso, sia pur
nascosto dietro l’escamotage della
partecipazione riservata solo agli
iscritti, c’è un verticismo dirigista
leninista, un populismo sciacquato
e parolaio».
GIANLUCA PERRICONE
La storia d’Italia,
secondo DeMita
a storia d’Italia non è fi-
nita”. E per darci questa
notizia l’ex presidente della Dc,
Ciriaco De Mita, ha scritto ad-
dirittura un libro, presentato in
occasione di un incontro che si
è svolto nei giorni scorsi presso
l’Università di Reggio Emilia e
che è stato preceduto da un lun-
go, quanto noioso, prologo che
ha visto come protagonisti gli
onorevoli Renzo Lusetti, Pierlui-
gi Castagnetti ed il fondista del
Corriere della Sera, Paolo Fran-
chi. Singolare l’interpretazione
demitiana della storia d’Italia,
che sembra intersecarsi o comun-
que camminare parallelamente
con la Democrazia Cristiana, la
grande Balena bianca andata ad
arenarsi sulla spiaggia del Pd.
Come se la storia d’Italia e quel-
la della Dc fossero la stessa cosa.
Sembra quasi che De Mita voglia
dirci: non temete, noi vecchi de-
mocristiani di sinistra siamo
sempre qui, semmai riciclati o
provvisoriamente ammogliati
con quel che resta del partito co-
munista, ma siamo sempre qui e
non ci stacchiamo dal potere,
tutt’al più ci trasformiamo, come
i camaleonti.
Questo libro rappresenta an-
che una sorta di autobiografia,
un racconto vissuto attraverso
gli appunti di De Mita. Appunti
che, a differenza di altri, in que-
L
sto caso fanno davvero la storia.
De Mita non ha mancato, nel
corso dell’incontro, di fare una
sottile distinzione fra le forme di
corruzione politica presenti nella
prima Repubblica, giudicate
«
operazioni sopportabili» e quel-
le attuali, a suo avviso ben più
gravi: un distinguo che conferma
la sua abilità di sofista o, come
l’aveva definito il compianto
Giovanni Agnelli, di intellettuale
della Magna Grecia.
Anche il governo attuale è og-
getto delle riflessioni politiche di
De Mita, che non ha esitato ad
attribuire a Monti il titolo di
chirurgo”: un chirurgo entrato
in scena, secondo l’intellettuale
della Magna Grecia, per salvare
il paziente Italia dopo che la po-
litica si era adagiata su se stessa,
senza curarsi dei propri mali.
Un’analisi quantomeno ardita
quella di De Mita, se si tiene
conto dello stato comatoso in
cui versa l’economia italiana, do-
po un anno di governo dei tec-
nici. L’ultimo colpo di sciabola
De Mita lo ha riservato a Berlu-
sconi, affermando: «Le ultime
esternazioni di Berlusconi rap-
presentano dei colpi di coda, se-
gnali sintomatici della sua fine».
C’è da fidarsi. Lui, di politici
giunti al capolinea, se ne intende
di certo.
GIUSEPPE BIANCHI
casa Monti o, Monti a casa?
Invertendo i fattori, rimane
pur sempre una crisi di governo
di fine Legislatura, qualunque sia
l’indoratura dell’amara medicina
che ne vogliano fare Quirinale e
Palazzo Chigi. Oggi come ieri, tut-
ti contro Silvio: finanza interna-
zionale, cancellerie europee e “ar-
co costituzionale” parlamentare,
Pdl e Lega esclusi. Tanti nemici,
molto onore? E, invece, io ritengo
geniale la gestione di quello che
tutti interpretano come il “cupio
dissolvi” del centrodestra, conse-
guente alla “ridiscesa” in campo
del Cavaliere. Spiego le mie ragio-
ni, articolandole in tre punti. Pri-
mo: il Pdl con segretario Alfano
vale, elettoralmente, qualche pun-
to percentuale in meno di un par-
tito rinnovato, con Berlusconi can-
didato premier. Infatti, la dirigenza
A
attuale del Pdl, da sola, pesa qual-
che “zero virgola” elettorale, nel
senso che i vari Pisanu, Frattini,
etc. avrebbero un peso del tutto
trascurabile, come indesiderati
ospiti in altre liste “liberal” o pro-
Monti. La speranza, nemmeno
tanto segreta, di certi vecchi arnesi
della Dc e del Psi era quella di di-
sfarsi del Leader Maximo, per ri-
manere al centro della gestione del
potere, grazie a una santa alleanza,
tipo “Grosse koalition”, tra mo-
derati e centrosinistra, per un go-
verno di salute pubblica a guida
Monti. Disegno, ormai, disartico-
lato dalla ricandidatura di Berlu-
sconi, che ha definitivamente mes-
so in soffitta le primarie del Pdl.
Secondo: inversione della po-
larità, che passa da Grillo-Bersani,
di nuovo a Bersani-Berlusconi, fa-
cendo fuori l’ultrasinistra e, forse,
il voto di protesta, a favore di un
centro ancora indefinito, che è in
via di formazione, attorno alla
nube gassosa di Casini-Monteze-
molo e del cartello trasversale dei
montiani che, fin dall’inizio, han-
no sempre sperato in un abbon-
dante raccolto tra gli elettori de-
lusi del Pdl. Ora, rimanendo in
vita il “porcellum”, Bersani si ve-
drà costretto, con ogni probabi-
lità, a sacrificare Vendola per i
centristi, se vorrà avere una mi-
nima speranza di accedere al con-
sistente premio di maggioranza,
avvantaggiandosi della circostan-
za di un eventuale “spacchetta-
mento” Sel e Idv, che si vedranno
costretti a correre da soli.
Il terzo punto è più complesso
e necessita di qualche spiegazione
ulteriore. La forte componente di
astensionismo, che ci si attende
per le legislative 2013, ha signifi-
cative venature antieuropeiste, an-
tieuro e antimontiane, che non
possono essere semplicemente rac-
colte da un movimento di protesta
come quello di Grillo. Berlusconi,
invece, vittima dei risolini di Mer-
kel e Sarkozy, potrebbe chiamare
a raccolta un buon numero di
scontenti, strutturando e istituzio-
nalizzando la protesta, all’interno
di un Partito organizzato, contro
i sacrifici imposti all’Italia dall’Eu-
ropa, magari ottenendo condizioni
più favorevoli, per quanto riguar-
da il contributo italiano al bilancio
Ue. Non è escluso che credano
molto più al Cavaliere che a Grillo
stesso, nel caso della sottoscrizione
di un programma duramente “an-
ticasta” e liberista, inteso a obbli-
gare lo Stato a una drastica cura
dimagrante, attraverso la vendita
sul mercato degli asset privilegiati
di proprietà pubblica, il cui rica-
vato vada a ridurre per pari im-
porto il debito nazionale. Sono
pronto ad accettare scommesse, in
merito.
MAURIZIO BONANNI
Tre motivi per applaudire
il ritorno del Cavaliere Nero
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 11 DICEMBRE 2012
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