Pagina 3 - Opinione del 12-8-2012

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II
ESTERI
II
Quo vadis Ron Paul?
La lotta dei libertari nel Gop
di
STEFANO MAGNI
l libertario Ron Paul è l’unico
candidato repubblicano alterna-
tivo a Mitt Romney che non de-
morde. Vuole a tutti i costi arrivare
alla Convention repubblicana na-
zionale di Tampa (che si terrà alla
fine del mese), con la sua pattuglia
di delegati ed opporsi all’investi-
tura ufficiale dell’aspirante presi-
dente. Fin dove vuole spingersi?
Benché abbia vinto poco o nul-
la nelle elezioni primarie, ha co-
munque raccolto attorno a sé una
pattuglia di delegati agguerritissi-
mi. E allora inizia la battaglia. Pri-
ma di tutto legale, sui regolamenti.
I sostenitori di Paul hanno denun-
ciato la Convention di aver favo-
rito il candidato mormone, con
metodi illeciti e “intimidazioni”.
La Convention nazionale ha rispo-
sto denunciando a sua volta gli
uomini di Paul. Lo scontro riguar-
da soprattutto i 21 delegati (su 24)
del candidato libertario eletti nel
Maine. Secondo il Partito Repub-
blicano sarebbero stati selezionati
in modo irregolare, dopo aver fal-
sato il complesso processo eletto-
rale per caucus nel piccolo stato
del Nord.
La Convention aveva proposto
una soluzione di compromesso,
ponendo tre (dure) condizioni: 20
delegati “paulisti” del Maine
avrebbero potuto partecipare e le
accuse nei loro confronti sarebbe-
ro state messe da parte, ma, in
cambio, avrebbero anche dovuto
votare per Mitt Romney, nel caso
il nome del loro candidato fosse
stato assente nel ballottaggio, non
avrebbero potuto parlare a nome
del Maine, non avrebbero potuto
pronunciare discorsi esplicitamente
contrari a Mitt Romney o favore-
voli a Barack Obama. La delega-
zione del dottor Paul, giovedì, ha
respinto queste condizioni. Brent
Tweed, che ne fa parte, ha risposto
con un comunicato che: «È irra-
gionevole per il Partito Repubbli-
cano, sia a livello nazionale che
statale, o per qualsiasi campagna
presidenziale, fare pressioni sulla
delegazione del Maine per obbli-
garla a votare qualcuno in parti-
colare. Noi non ci faremo intimi-
dire, non firmeremo alcun accordo
politico sotto la minaccia di essere
espulsi. Siamo responsabili di fron-
te agli elettori repubblicani del
Maine, non di fronte alla campa-
gna di Mitt Romney».
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Lo scontro, inoltre, non riguar-
da solo la presenza o meno dei de-
legati del Maine. Ma quella dello
stesso Ron Paul. Martedì scorso è
stato diffuso un primo elenco di
oratori. Ci sarà sicuramente Rand
Paul (figlio), ma non Ron (padre).
La cosa non sorprende: anche alla
C–Pac dello scorso febbraio, Rand
Paul era fra gli oratori, ma suo pa-
dre no. La lista non è definitiva e
non è ancora detto che, di qui a fi-
ne agosto, anche il nome di Ron
Paul non venga inserito nell’elenco
degli invitati. Ma è sempre più dif-
ficile che ciò avvenga, consideran-
do l’inasprimento della battaglia
legale in corso. Per il momento si
sa solo che “il dottore” texano po-
trà prendere la parola solo nel
pre–evento della Convention, la
“Freedom of Speech Zone”. Una
portavoce della campagna del can-
didato libertario, Jesse Benton, mi-
nimizza l’ostilità dei repubblicani:
«Ci stanno trattando da amici e
da alleati. Lavorando con noi si
sono comportati da mediatori one-
sti e ci hanno mostrato rispetto».
Altri libertari che (non ufficialmen-
te) si sono spesi in prima persona
per dare sostegno Ron Paul, come
Lew Rockwell del Mises Institute,
non hanno reagito alla notizia con
altrettanto fair play: «Ron Paul è
stato bandito dalla Convention fa-
scista del Partito Repubblicano –
ha scritto Rockwell sulla sua pa-
gina Facebook – Anche se, sotto
un certo aspetto, va considerata
come un oltraggio (perché Paul è
uno dei pochissimi non–sociopatici
nella politica repubblicana) questa
decisione ha un senso. Dopo tutto,
gli sarebbe stato chiesto di osan-
nare Romney nel suo discorso, con
parole scritte dai servi di Mitt,
qualcosa che Paul non avrebbe
mai accettato di fare. Dopo tutto,
Mitt Romney, un guerrafondaio,
keynesiano, bankster (gangster
bancario, ndr), nazionalista, proi-
bizionista sul porto d’armi, soste-
nitore della sanità statale, un uo-
mo che intende continuare a usare
i droni, un torturatore, favorevole
allo stato di polizia, è l’esatto op-
posto di Ron Paul. Romney, espli-
citamente, vuole commettere un
omicidio di massa in Iran, fra gli
applausi del Grand Old Party. Di-
ciamocelo chiaramente: Ron Paul
è troppo buono per il Partito Re-
pubblicano. E questa organizza-
zione criminale, sa che cosa serba
in cuore». Giusto per rincarare la
dose, sempre su Facebook, Rock-
well ha dato una sua definizione
del Partito Repubblicano: «È il
partito di Lincoln. Dunque, è il
partito della dittatura presidenzia-
le, della guerra, dell’inflazione, del
protezionismo, della pianificazione
centrale, delle tasse sui redditi e
sugli immobili, degli arresti segreti,
dei processi segreti, delle prigioni
segrete, delle esecuzioni segrete. Vi
suona familiare? È anche il partito
di Mitt Romney».
I due sfoghi di Lew Rockwell,
a giudicare dai commenti in Inter-
net, rappresentano un sentimento
comune nel popolo di Ron Paul.
E spiegano, più di ogni altra cosa,
come mai il Partito Repubblicano
si stia dando così tanto da fare per
escludere quel popolo dalle sue fi-
le.
Il “dottore” si è presentato alle
primarie del 2008 e di quest’anno
con l’intento esplicito di lanciare
un’Opa ostile al Partito. Molto più
ostile rispetto a quella lanciata nel
2009 dal Tea Party. Quest’ultimo
movimento ha tutta l’intenzione
di sostituire la classe dirigente più
statalista del Gop, ma è comunque
costituito da conservatori che (sal-
vo rari casi) non hanno alcun dub-
bio di votare contro Obama e a
favore dei Repubblicani. Il popolo
della “Ron Paul Revolution”, al
contrario si è sempre posto, per
tutta la campagna elettorale, nella
posizione di radicale alternativa
ad entrambi i grandi partiti ame-
ricani. Non ha mai pensato di por-
re in cima alla sua agenda la scon-
fitta di Obama. Vuole promuovere
le idee, rivoluzionarie, di una dra-
stica riduzione del governo fede-
rale in tutti i suoi campi. Paul e il
suo popolo libertario, usano il Par-
tito Repubblicano come veicolo
(solo perché negli Usa non c’è
chance per un terzo partito), ma
non si sono mai sentiti parte di es-
so. Durante la C–Pac del 2011 i
sostenitori di Paul non hanno esi-
tato a fischiare Cheney e Rum-
sfeld, dando loro dei “criminali di
guerra”, con la stessa veemenza
dei pacifisti dell’ultra–sinistra. Non
perdonano nulla alla storia della
politica estera americana: condan-
nano tutte le guerre di Washin-
gton, a partire dalla Guerra Civile
(1861–65). Sono determinati a
porre fine al monopolio della Fe-
deral Reserve, la banca centrale
statunitense e non esitano ad ac-
cusare di frode e furto quei repub-
blicani che hanno gestito, o anche
solo accettato, la politica econo-
mica durante le due amministra-
zioni di George W. Bush. E, in teo-
ria, anche sotto tutte le
amministrazioni precedenti. Per
trovare qualche affinità fra il po-
polo “paulista” e il Partito Repub-
blicano bisogna andare molto in-
dietro nel tempo. Almeno sino ai
tempi di Calvin Coolidge: negli an-
ni ‘20.
Il problema, per il popolo di
Ron Paul, è nei numeri. Stando ai
risultati delle primarie, costituisco-
no una minoranza esigua nell’elet-
torato repubblicano. I sostenitori
di Paul mostrano altri sondaggi,
secondo cui il “dottore” avrebbe
avuto più chance di Romney in un
eventuale duello contro Obama.
Ma se non si vincono neppure le
primarie, che senso ha sondare
l’opinione nazionale su un duello
che non ci sarà mai? Possono cer-
care di distinguersi e condurre una
battaglia di lungo termine, per
conquistare il cuore e le menti dei
repubblicani o dell’elettorato ame-
ricano di entrambi i partiti. Ma
Ron Paul è anziano. La sua rivo-
luzione continuerebbe anche dopo
un suo ritiro dalla scena politica?
E qui entra in scena Rand Paul: è
anch’egli prevalentemente un li-
bertario (vuole uno Stato ridotto
ai minimi termini, da quel che si
deduce dalla sua proposta di bud-
get federale), ma si muove entro il
quadro della tradizione politica re-
pubblicana, non sputa sul passato
del Grand Old Party e non com-
batte battaglie ideologiche. Inutile
dire che i libertari “hardcore” lo
odiano. In centinaia di messaggi
Internet, lo rinnegano, lo accusano
di essere un “neoconservatore”
(dunque: un “criminale di guerra”,
dal loro punto di vista), lo consi-
derano un falso libertario e soprat-
tutto: indegno del padre. Eppure,
considerando i rapporti di forza,
Rand Paul sembrerebbe avere più
chance del padre nel portare un
po’ di libertarismo nel Gop e nella
scena politica nazionale americana.
Con una sua riforma interna, non
con una rivoluzione che non c’è.
A tre settimane
dall’inizio della
Convention
repubblicana di Tampa,
il dottor Ron Paul
non accetta l’investitura
ufficiale di Mitt Romney.
Mentre è in corso
una battaglia legale,
sui regolamenti
di partito,
fra la Convention
e i delegati del Maine
che sostengono
il candidato libertario,
il “dottore”texano
non compare neppure
nella prima lista
degli oratori ufficiali
dell’evento,
ma è relagato
al pre–evento
“Freedom of Speech
Zone”. Il braccio di ferro
fra il partito e il popolo
libertario della“Ron
Paul Revolution”
è una storia di esclusione
reciproca. I“paulisti”
sono ostili alla politica
e alla classe dirigente
della destra americana.
E quest’ultima li giudica
troppo lontani
dal mainstream
per accettarli. Forse solo
Rand Paul, figlio di Ron,
potrebbe conciliare
l’inconciliabile.Ma c’è
già chi lo considera
un“traditore”
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 12 AGOSTO 2012
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