gli euroburocrati preferiscono
Babele a Bruxelles. E a pagare
il conto dell’ennesimo assurdo pri-
vilegio, saranno ancora una volya
imprese e cittadini.
Nell’occhio del ciclone, stavolta,
è il brevetto unico europeo, pensato
per abbattere i costi relativi alla re-
gistrazione e alla traduzione dei do-
cumenti, unificando le procedure a
livello continentale. Un disegno che
l’Ue aveva in cantiere da oltre
trent’anni e che ieri ha avuto final-
mente il via libera dall’europarla-
mento, dopo il nulla osta di lunedì
da parte del Consiglio di competi-
tività. A dare vita al brevetto unico
comunitario è stato lo strumento
della cooperazione rafforzata, pro-
cedura che consente agli stati mem-
bri di stabilire una più stretta col-
laborazione su temi riguardanti la
giustizia, la difesa e l’economia. Uno
strumento che, stavolta, era riuscito
a mettere d’accordo quasi tutti.
Quasi. All’accordo hanno aderito
infatti solo 25 paesi su 27. Chi è ri-
masto fuori dal coro? L’Italia e la
Spagna, che si sono messe di tra-
verso davanti all’adozione del tri-
linguismo inglese-francese-tedesco.
Il perché l’ha spiegato l’eurode-
putato leghista Claudio Morganti
nel suo intervento in aula durante
la sessione plenaria: «Un brevetto
unico europeo è utile per eliminare
i costi di registrazione e traduzione,
ma per risparmiare davvero, si sa-
G
rebbe dovuto abbattere, una volta
per tutte, l’arrogante regime del tri-
linguismo e scegliere un’unica lin-
gua valida per tutti, ovvero l’ingle-
se».
«
Scegliendo una sola lingua - ha
ribadito Morganti - si poteva dare
alle piccole e medie imprese la pos-
sibilità di risparmiare migliaia di
euro, per ogni brevetto, aiutandole
a risollevarsi dalla crisi, mentre l’uso
obbligatorio di sole tre lingue svan-
taggia le nostre industrie».
Ma contro la posizione italo-
spagnola si è schierata anche la
Corte di Giustizia dell’Unione Eu-
ropea, che ha bocciato il ricorso
presentato in tandem da Roma e
Madrid. Secondo l’avvocato Yves
Bot, la Corte deve respingere il ri-
corso in quanto la questione della
discriminazione linguistica «non è
stata ritenuta determinante nella
valutazione della validità della de-
cisione del Consiglio». E ai cugini
mediterranei non è rimasto altro
che ingoiare il rospo davanti ai ca-
pricci di Berlino e Parigi.
«
Il trilinguismo non ha senso di
esistere» ribadisce l’eurodeputato
del Carroccio che, in merito alle
conclusioni dell’avvocato generale
della Corte di giustizia Ue sul ricor-
so di Italia e Spagna, si è detto «sor-
preso e dispiaciuto, visto che la stes-
sa Corte, solo poche settimane fa,
ha bocciato la formula a tre lingue
per i concorsi banditi dall’Epso»,
ovvero l’Ufficio europeo per la se-
lezione del personale. «Non si ca-
pisce perché, anche per il brevetto
europeo - ha concluso Morganti -
non si possa avere un trattamento
simile a quello dei concorsi che por-
terebbe, finalmente, ad eliminare
uno dei tanti assurdi privilegi fran-
co-tedeschi».
Invece, oltre al danno, ora pesa
pure la beffa: Spagna e Italia po-
tranno comunque richiedere la tu-
tela europea per le invenzioni regi-
strate, che saranno però soggette a
una tassazione doppia di quella ri-
servata agli altri paesi europei.
LUCA PAUTASSO
II
POLITICA
II
Nonbastano le primarie per cancellare la spocchia
di
VALENTINA MELIADÒ
e primarie del Pd sono state una
sorta di paradigma dell’Italia.
Dalla querelle sulle regole della cam-
pagna elettorale dei candidati alle
polemiche sulle modalità di voto del
secondo turno, c’è mancato poco
che al posto dei garanti dovesse in-
tervenire la magistratura, come sem-
pre più spesso accade in un paese in
cui la politica non rispecchia affatto
il carattere nazionale italiano, ma è
piuttosto l’origine e la ragione della
diffusione della furbizia e dell’anar-
chia dentro e fuori il mondo politico
ed istituzionale. Eppure, per i tre me-
si che sono durate, hanno fatto bene
a tutti. Alla politica in generale, che
nel suo dibattito aveva ripreso un
certo tono; agli italiani, a quelli che
si sono entusiasmati e hanno parte-
cipato, come quelli che hanno se-
guito tutto dalla poltrona di casa
con un interesse vivo che non pro-
vavano da tempo; e alla sinistra, na-
turalmente, che – forse per la prima
volta – invece di rincorrere gli eventi
ha cavalcato l’onda e si gode il ri-
sultato. Ci sono momenti topici nel-
la storia di un paese in cui i nodi
vengono irrimediabilmente al petti-
ne, e, nel quadro generale attuale
dell’Italia, che vede materializzarsi
all’improvviso tutti gli errori com-
messi negli ultimi quarant’anni e ne
sta pagando il salatissimo prezzo, il
significato delle primarie è stato
quello di mettere il paese davanti al-
lo specchio e fare una scelta deter-
minante su ciò che vuole essere in
futuro. La cosa peggiore che potreb-
L
be succedere, ora, è che tutto questo
finisca nel dimenticatoio. Un timore
non proprio campato in aria a giu-
dicare dai discorsi sentiti in questa
settimana, che somigliano molto più
a quelli della solita vecchia campa-
gna elettorale, piuttosto che alle idee
e alle prospettive per il futuro lan-
ciate in questi tre mesi, e di Matteo
Renzi, improvvisamente, già non si
parla quasi più. Non stupisce certo
che i vincitori si affrettino a spazzare
via i residui del riformismo spinto
renziano, tutti concentrati come so-
no a mettere in piedi la solita armata
Brancaleone per vincere le elezioni
senza poi poter governare (con la
piccola differenza che questa volta
non ci sono margini per scherzare),
ma il punto è che nella guerra tra
Renzi e il “vecchio” Pd (o il Pd già
vecchio) c’era molto più della cosid-
detta questione generazionale, molto
più della sfida all’apparato tradizio-
nalmente gerarchico e gerontocra-
tico della sinistra comunista e post-
comunista. In gioco c’era anche il
destino di un germe che ha permea-
to di sé ogni settore della vita pub-
blica italiana, per regioni storiche
determinate, che trascende comple-
tamente la sfida sulla fisionomia del
Pd. Si tratta della cultura della spoc-
chia.
La cultura della spocchia è quella
regola non scritta, ma rigidamente
osservata, per cui i giovani italiani,
nella stragrande maggioranza, non
possono emergere o raggiungere po-
sti chiave del sistema in modo au-
tonomo, contando esclusivamente
sui propri sforzi, la propria compe-
tenza e i propri meriti. La politica
italiana non ne è, evidentemente, so-
lo la manifestazione più plastica, ma
anche e soprattutto la progenitrice
che questa cultura l’ha irradiata e
lasciata proliferare in tutti i settori
e gli ambienti professionali e cultu-
rali. Cosa, infatti, di Renzi ha infa-
stidito così profondamente la no-
menklatura di partito? Le sue idee?
Non proprio rivoluzionarie, possono
scandalizzare giusto la Cgil e qual-
che altra cariatide d’apparato, visto
che in quasi tutte le socialdemocra-
zie europee sono considerate bana-
lità già da anni, se non decenni. E
allora cosa? Cosa ha portato sul-
l’orlo di una crisi di nervi gente co-
me Massimo D’Alema o Rosy Bin-
di? La spocchia, appunto. L’idea,
intollerabile, che un giovane sindaco
potesse scalare tutti i gradini del par-
tito e bruciare tutte le tappe del suc-
cesso solo grazie a un meccanismo
così maledettamente democratico
come le primarie, lo stesso che lo ha
portato a governare la città di Fi-
renze, di nuovo, contro il parere del-
la dirigenza. E da quando, in Italia,
vox populi, vox dei
?
Quella che Renzi chiama “la ge-
nerazione che ha fallito”, e che oggi
detiene il potere in Italia, non solo
politico, è costituita per lo più da ex
sessantottini, quelli del sei politico
e della militanza a oltranza; quelli
per cui anche andare in bagno era
un gesto politico e hanno ottenuto
la politicizzazione della scuola, del-
l’università, della sanità, dell’intel-
lettualità e di tutto il sistema pub-
blico, con non poche infiltrazioni in
quello privato; quelli che oltre alla
politica non si sa bene che cosa ab-
biano fatto; quelli che urlavano slo-
gan di libertà e uguaglianza e hanno
creato il sistema dei diritti senza do-
veri; quelli che si sono mangiati il
futuro dei giovani vivendo netta-
mente al di sopra delle possibilità
del paese e che sono diventati qual-
cuno sapendo aspettare il proprio
turno. Questa è la classe dirigente
che reagisce con una spocchia asso-
luta ai tentativi di chicchessia di scal-
fire tale sistema e tale cultura. In po-
litica come nel mondo accademico
e culturale, dove la protervia di tanti
professori che hanno combattuto
contro i cosiddetti baroni crea una
distanza con i giovani studenti spes-
so incolmabile, e dove la difficoltà
di farsi valere spinge tante menti
brillanti lontano. Lontano dalla cul-
tura della spocchia e dal suo sistema.
Si potrebbero fare esempi in ogni
settore, istituzionale, pubblico ed
anche privato. Perché la cultura del-
la spocchia è stata interiorizzata a
livello nazionale e il risultato è che
si è spenta qualsiasi forma di curio-
sità o interesse per le idee e le po-
tenzialità dei giovani, sulla cui for-
mazione infatti non si investe e non
si crede. Fino a quando gli strumenti
per farsi una posizione risiederanno
nel saper diligentemente attendere
il proprio turno, dopo aver coltivato
gli ambienti giusti ed essersi messi
dietro la persona giusta, l’Italia con-
tinuerà ad invecchiare senza crescere
ed innovare. Inutile poi lamentarsi.
Certo, si potrebbe obiettare che
i giovani italiani sono dei “bamboc-
cioni”. In parte magari è vero, ma
è vero soprattutto perché in questi
decenni quella stessa classe dirigente
ha imposto la cultura dell’abbatti-
mento dell’autorità, in qualsiasi cosa
essa si incarnasse, genitorialità com-
presa. Si è preferito essere fratelli o
amici dei propri figli, viziarli, per-
donarli sempre, coprirli addirittura.
Una strada decisamente più semplice
che educare con amore ma con au-
torevolezza, insegnando la fatica dei
valori, dei principi a cui rimanere
fedeli anche quando è dura, dei sa-
crifici che bisogna saper fare per rag-
giungere i propri obiettivi. Ora però
a pagare il prezzo di tutti questi er-
rori ci sono i tanti giovani in gamba
di questo paese, molti dei quali an-
cora alla ricerca del proprio posto
all’interno della chiusissima società
italiana. Ma chissà che l’antidoto al
germe della cultura della spocchia
non sia stato seminato.
Tre lingue per un solobrevetto
L’ultima eurofolliadi Bruxelles
I consigli fraterni
di Bersani aMonti
K
Yves BOT
ome ho spesso scritto su que-
ste pagine, non sono stato
molto tenero nei giudizi politici nei
confronti del Pdl e del suo leader
indiscusso. Per questo ritengo che
Berlusconi avrebbe fatto meglio ad
affidare ad altri le sorti del suo par-
tito, interpretando finalmente quel
ruolo di padre nobile che in tanti
gli hanno consigliato. Tuttavia, in
merito ad una delle evidenti conse-
guenze del ritorno in campo del
Cavaliere, il prevedibile coinvolgi-
mento politico di Mario Monti,
dobbiamo registrare il ridicolo con-
siglio espresso nei confronti del
bocconiano da Bersani. Quest’ul-
timo ha sostenuto che «proprio
perchè Monti deve essere ancora
utile al paese, sarebbe meglio che
restasse fuori della contesa». Già,
proprio un magnifico e, soprattutto,
disinteressato consiglio, vero ono-
revole candidato premier? Sotto
questo profilo, l’altruismo e la pre-
occupazione per la salute del pre-
mier tecnico manifestata da Bersa-
ni, la quale sarebbe messa a dura
prova dalla fatica aggiuntiva di una
campagna elettorale, fa veramente
commuovere. Mai era successo che
il capo di un grande partito di si-
nistra mostrasse tanta cura e dedi-
zione per le sorti di un uomo che
non ha mai fatto mistero di ispirar-
si ai moderati del Ppe.
Ma i maligni, come il sottoscrit-
to, pensano che ben altre conside-
C
razioni abbiano spinto il Pier Luigi
nazionale a chiedere a Monti di
non candidarsi, allettandolo con la
vaga possibilità di altri alti incarichi,
tra cui una presidenza della Repub-
blica che, ahinoi, non ha mai visto
prevalere un nome indicato con
questo largo anticipo. In realtà Ber-
sani teme, e a ragione, che una
eventuale discesa in campo di
Monti possa creargli non poche dif-
ficoltà, esercitando in primis una
forte attrazione in quella vasta pla-
tea di renziani a cui va molto indi-
gesta l’agenda Fassina e Vendola.
Inoltre, ancor più che nei confronti
del Pdl, la presenza di un personag-
gio così autorevole sul piano inter-
nazionale creerebbe parecchio
scompiglio nello stesso Partito de-
mocratico, in cui la componente
più europeista preme per un sostan-
ziale proseguimento della linea del
rigore. Linea messa in forte discus-
sione dall’anima radicale ed anta-
gonista della coalizione e dei sin-
dacati fiancheggiatori. Per questo
crediamo che la presenza di un ter-
zo incomodo del peso di Mario
Monti possa mandare in tilt tutti i
magnifici e progressivi sondaggi che
danno stravincente il centro-sinistra
a trazione collettivista.
Una prospettiva che, a quanto
pare, ha già fatto venire una gran
bella emicrania a Bersani. Altro che
consigli fraterni!
CLAUDIO ROMITI
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 12 DICEMBRE 2012
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