di
STEFANO MAGNI
orpresa! La Corea del Nord ha
lanciato il suo nuovo missile
Unha-3. La notizia ha colto com-
pletamente alla sprovvista un po’
tutti. L’altro ieri, infatti, le imma-
gini satellitari indicavano lavori in
corso al missile, smontato dalla sua
rampa e trasferito in un vicino cen-
tro di assemblaggio. Il lancio
avrebbe dovuto essere annullato o
(
come avevano fatto sapere le stes-
se fonti ufficiali nordcoreane) rin-
viato alla fine di dicembre. Mentre
gli analisti politici dell’Asia Orien-
tale già facevano ipotesi sul perché
di questo rinvio, i nordcoreani lan-
ciavano il loro missile. Lo hanno
rimontato sulla rampa in tempo
record? O sono le agenzie di intel-
ligence statunitense, giapponese e
sudcoreana che hanno preso un
granchio? Oppure si è trattato solo
di una bufala dei media? Il porta-
voce del Ministero della Difesa
sudcoreano, Kim Min-seok, ha di-
chiarato, ieri, che nessuna prova
indicasse un rinvio del lancio. Kim
ha aggiunto che le forze armate
sudcoreane abbiano monitorato
regolarmente le operazioni del
Nord da due giorni e che il missile
sia stato seguito, in tempo reale dai
radar della marina. Secondo il sito
di analisi strategica Stratfor, invece,
la maggioranza degli osservatori,
sia militari che civili, sarebbero sta-
S
ti colti “con la guardia abbassata”.
In ogni caso la vera buona no-
tizia (per la sola Corea del Nord)
o pessima notizia (per tutti i suoi
vicini e per gli Usa) è che il lancio
sia riuscito. Il comando aerospa-
ziale nordamericano, il Norad, ha
confermato che il missile, dopo
aver sganciato i suoi due primi sta-
di nel Pacifico occidentale, abbia
realmente mandato in orbita “un
oggetto”. Quello che, secondo i
proclami di Pyongyang, è il satellite
Kwangmyongsong-3, il primo nella
storia del regime. La capacità di
lanciare un apparecchio nello spa-
zio vuol dire anche: essere ad un
passo dall’avere la possibilità tec-
nologica di lanciare un missile ba-
listico intercontinentale, in grado
di raggiungere il territorio degli
Stati Uniti. O anche dell’Europa.
Quelle che finora erano solo “spa-
rate” propagandistiche di Pyon-
gyang, da ora in poi, sono da con-
siderarsi minacce concrete. Ma
quanto è vicina la Corea del Nord,
alla sua capacità di mettere real-
mente sotto tiro il mondo occiden-
tale con armi atomiche? Dipende,
prima di tutto, da quanto è avan-
zato il suo programma nucleare. Il
regime eremita” ha condotto due
test sotterranei e potrebbe avere la
possibilità di costruire fino ad 8 or-
digni. Questo non vuol dire, però,
che sia già in grado di costruirli
miniaturizzati e adattati alla testata
di un missile. Inoltre, «un conto è
avere un missile con una gittata
sufficiente a raggiungere le Hawaii.
Tutt’altro è averne uno sufficien-
temente preciso da colpire un ber-
saglio a cui stai mirando. Vuol dire
che, oggi, hai molte probabilità di
colpire un’area del Pacifico, ma
molto meno di colpire un’isola e
ancora meno un bersaglio su
un’isola». Lo diceva ieri, forse spe-
randoci, Ralph Cossa, presidente
del Pacific Forum dello Csis (Cen-
ter for Strategic and International
Studies), che ha base proprio nelle
Hawaii. Un possibile bersaglio dei
nuovi missili nordcoreani.
II
ESTERI
II
Paura e sorpresa nel Pacifico
per lo“Sputnik”nordcoreano
Distruggere Israele
«
non è genocidio»?
La doppia lettura del conflitto inMedioOriente
l dibattito sulla “guerra infini-
ta” che da quasi 65 anni insan-
guina il Medio Oriente assomiglia
molto, specie in Europa, a un dia-
logo fra sordi; spesso degenera
rapidamente in rissa e l’avvento
di Facebook non ha certo contri-
buito a migliorare la situazione.
Anche al netto di certi eccessi ver-
bali, c’è qualcosa che sfugge e che
rende letteralmente impossibile il
confronto. Un errore di imposta-
zione, a parere di chi scrive, che
altera in premessa la visione delle
cose e devia la discussione su un
binario morto. Una svista lessica-
le che porta a un completo frain-
tendimento, storico e politico,
della realtà.
Nel dibattito pubblico - sui
giornali, in televisione, ovunque -
quasi sempre si fa riferimento al
conflitto “israelo-palestinese”.
Questa definizione è completa-
mente sbagliata, carica di conse-
guenze negative. A seconda che si
chiami il conflitto “israelo-palesti-
nese” oppure “arabo-israeliano”,
infatti, cambiano completamente
le prospettive, si utilizzano cate-
gorie diverse e si giunge a conclu-
sioni opposte.
Gli assertori di ciascuna delle
due definizioni citate si sentono,
nel migliore dei casi, del tutto in-
compresi dagli altri; si dilungano
in una serie interminabile di
esempi, si intestardiscono in ana-
lisi inoppugnabili, si perdono in
discussioni infinite. Più sempli-
cemente, abitano su due pianeti
diversi.
I
Questa guerra nasce nel 1948
con la proclamazione dello Stato
di Israele. Si può contestare quan-
to si vuole l’arbitrarietà di questo
fatto (ma tutti gli Stati nazionali
nascono da fatti arbitrari); si può
chiamarlo “indipendenza” oppure
nakba” ma, comunque lo si vo-
glia giudicare, è un fatto altrettan-
to certo che in quello stesso gior-
no, il 15 maggio, Israele è entrato
in guerra con cinque eserciti: Egit-
to, Giordania, Siria, Libano e Iraq.
Wikipedia definisce questa guerra
arabo-israeliana”: è già qualcosa.
La seconda guerra mediorientale
(
detta “di Suez”,1956) si svolse
principalmente in Egitto. La terza,
detta dei “Sei Giorni” (1967) vide
coinvolti ufficialmente Egitto,
Giordania e Siria; la quarta (del
Kippur, 1973) Egitto e Siria; la
quinta (1982) ebbe per teatro il
solo Libano. Chi può definire, con
onestà intellettuale, questo conflit-
to “israelo-palestinese”?
Conosco l’obiezione: oggi le
cose sono in parte cambiate. Egit-
to e Giordania hanno firmato dei
trattati di pace, con la Siria c’è una
tregua armata che dura da quasi
40
anni. Ci sono state le due Inti-
fada che effettivamente hanno po-
sto con forza all’ordine del giorno
una “questione palestinese”; poi
le due offensive di Gaza. Basta
questa nuova situazione a permet-
tere oggi di definire il conflitto
israelo-palestinese”? Io credo di
no, per tre motivi.
Il primo è che quella palestine-
se è palesemente una “guerra per
procura”. Gli Stati arabi, trovan-
dosi nella impossibilità di condur-
re una guerra aperta contro Israe-
le, finanziano e armano fino ai
denti le fazioni palestinesi, in par-
ticolare quelle terroristiche, allo
scopo di alimentare una guerra en-
demica, fatta di attentati, lanci di
razzi, incursioni di frontiera. Senza
l’aiuto di vari Stati arabi e musul-
mani, questa attività sarebbe im-
possibile.
Il secondo motivo, molto signi-
ficativo in questo senso, è la vicen-
da del Libano, dove opera la mi-
lizia di Hezbollah, un vero e
proprio esercito privato (il “Partito
di Dio”appunto) forse più forte
dell’esercito regolare. Questa mi-
lizia libanese è sciita (mentre i pa-
lestinesi sono sunniti) ed stata pro-
tagonista dello scontro con Israele
nella seconda guerra del Libano
(2006).
Tutti sanno che Hezbollah
è sostenuto, finanziato, armato e
addestrato dalla Siria e soprattutto
dall’Iran.
Appunto l’Iran costituisce il
terzo motivo della mia riflessione.
Questo grande Stato (1,6 milioni
di km quadrati, 75 milioni di abi-
tanti) non confina con Israele e
non avanza alcun contenzioso ter-
ritoriale. A ben vedere, non è ne-
anche un paese arabo (la lingua
ufficiale è il persiano) dunque an-
che la definizione di conflitto “ara-
bo-israeliano” è sbagliata ma per
difetto, dunque rafforza il mio ra-
gionamento. Quando il piccolo
Hitler di Teheran vaneggia di “un
mondo senza sionismo”, si disin-
teressa completamente alla que-
stione palestinese, anzi la osteggia,
perché uno Stato palestinese do-
vrebbe giocoforza riconoscere
l’odiata “Entità Sionista”. Se uno
dei maggiori produttori mondiali
di petrolio vuole dotarsi di centrali
nucleari, non è certo per il fabbi-
sogno energetico, ma neanche per-
ché ha a cuore la causa araba.
Vuole semmai dominare il mondo
arabo (infatti le monarchie del
Golfo sono preoccupatissime) e
magari passare sottobanco alla sua
fidata milizia libanese l’arma per
distruggere lo Stato di Israele con
tutti i suoi abitanti.
In conclusione, è giusto ricono-
scere che la guerra in corso è fra
Israele e una gran parte del mondo
arabo-musulmano, che lo accer-
chia e non ne tollera l’esistenza. È
sbagliato e fuorviante, invece,
chiamare questa conflitto “israe-
lo-palestinese”. È per questo che
la maggioranza dell’opinione pub-
blica europea non ne capisce le ra-
gioni intime.
Israele è un piccolo Stato di
20
mila km quadrati (la superficie
della Sicilia) assediato da decine
di Stati e centinaia di milioni di
esaltati nazionalisti e fanatici fon-
damentalisti che ne reclamano la
cancellazione. Ma Israele è forte,
sa difendersi, non si lascia distrug-
gere, così continua la guerra infi-
nita, alimentata da un odio invin-
cibile. E i palestinesi ne pagano il
prezzo più amaro.
ALESSANDRO LITTA MODIGNANI
notizie.radicali.it
Una guerra per procura,
combattuta da regimi
lontani dal territorio
e nemici di Israele
Parlare di “guerra
israelo-palestinese”è già
fuorviante: si dimentica
il ruolo degli Stati arabi
nvocare la distruzione dello Stato
ebraico “non è istigazione al ge-
nocidio”. Parola di Human Rights
Watch. David Feith, del Wall Street
Journal, è venuto in possesso di e-
mail interne dell’Ong di cui ha dato
conto la scorsa settimana in un re-
portage intitolato “Ballando attor-
no al genocidio”, dedicato al so-
spetto pregiudizio di Human Rights
Watch contro Israele e allo scontro
interno ai vertici dell’organizzazione
circa il suo capo, Kenneth Roth, e
al fatto che questi non abbia mai
preso sul serio gli appelli iraniani
per la distruzione di Israele.
Secondo quanto scritto sul Wall
Street Journal, il vice presidente di
Human Rights Watch, Sid Shein-
berg, avrebbe scritto in una e-mail
che «non muovere un dito mentre
l’Iran accampa giustificazioni per
uccidere tutti gli ebrei e annientare
Israele è una posizione indegna del-
la nostra grande organizzazione».
Sempre secondo il giornale, il di-
rettore esecutivo Roth avrebbe
commentato così: «Molte dichia-
razioni dell’Iran sono sicuramente
deplorevoli, ma non costituiscono
istigazione al genocidio. Nessuno
ha agito sulla base di esse». Insom-
ma, finché Teheran non si decide a
sganciare l’atomica, tutte le minacce
rimangono sulla carta. Lo stesso
errore che si fece con Hitler. E an-
che all’epoca della Società delle Na-
zioni non mancavano le organiz-
I
zazioni umanitarie che chiusero gli
occhi. Il presidente iraniano Mah-
moud Ahmadinejad ha più volte
dichiarato che «Israele deve essere
spazzato via dalla carta geografica»
(
uno slogan ampiamente ripreso da
attive organizzazioni terroristiche
sponsorizzate dall’Iran, come Hez-
bollah, Hamas e Jihad Islamica pa-
lestinese), mentre l’ex presidente
iraniano Akbar Hashemi Rafsan-
jani ha esplicitamente prospettato
l’ipotesi di lanciare missili nucleari
su Tel Aviv.
Interpellato dal Wall Street Jour-
nal, Roth, pur concedendo che una
commissione potrebbe esaminare
meglio la propaganda iraniana an-
ti-israeliana, ha confermato di es-
sere convinto che l’Iran non istighi
al genocidio e che, anzi, la pressione
a etichettare come “genocidi” gli
appelli di Teheran «fa parte del ten-
tativo di far rullare tamburi di guer-
ra contro l’Iran». Non resta che
sperare che nulla veramente accada.
Anche perché la consolazione del
potere dire “noi l’avevamo detto”
è veramente l’ultima cosa che passa
per la testa. Resta il problema che
organizzazioni come Human
Rights Watch, ma anche Amnesty
(
o meglio “amnesy”) International,
vengono finanziate anche con i sol-
di del contribuente planetario. Non
sempre entusiasta di queste sotto-
valutazioni un po’ interessate.
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 13 DICEMBRE 2012
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