Pagina 2 - Opinione del 14-8-2012

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n tema di
spending review
, o re-
visione della spesa pubblica che
dir si voglia, il governo dei tecnici
rischia seriamente di generare nella
mente della maggioranza dei cit-
tadini un pernicioso equivoco, sa-
pientemente alimentato per decen-
ni dai soci vitalizi di un sistema
politico-burocratico che da sempre
tende ad espandere i propri confi-
ni. In grandi linee, senza mettere
minimamente in discussione il pe-
rimetro e le competenze pubbliche,
sarebbe molto grave indurre i più
a pensare che basti razionalizzare
i costi della macchina statale - così
come risulta da alcune recenti in-
dicazioni provenienti dall’esecutivo
- che in tutto gestisce ogni anno la
colossale cifra di circa 830 miliar-
di, per tenere sotto controllo la
spesa. In realtà, come oramai do-
vremmo aver appreso dopo decen-
ni di annunci di tagli regolarmente
disattesi dai consuntivi, i centri del-
la stessa spesa pubblica sono così
numerosi, con una forte tendenza
a proliferare, da generare tutta una
serie di dinamiche incrementali che
risulta assai difficoltoso bloccare.
Tant’è che da tempo chi studia la
complessità del bilancio pubblico
sa bene che le uscite tendono a lie-
vitare, per così dire, a legislazione
corrente. Ossia si spende di più an-
che senza approvare ulteriori leggi
specifiche.
D’altro canto, la pervasività
della mano pubblica e le sue con-
nessioni con la società sono tali
che cercare solo di bloccare la
spinta ad invocare sempre più ri-
sorse attraverso il molto generico
impegno a contrastare i cosiddetti
sprechi risulta piuttosto illusoria.
Quando la ricchezza controllata
dalla politica e dalle sue emana-
zioni burocratiche supera ampia-
mente metà del Pil (attualmente
siamo al 55%), gli interessi costi-
I
tuiti che ne beneficiano rappresen-
tano un ostacolo formidabile per
qualunque forma di contenimento
delle uscite complessive dello Stato.
E’ inevitabile che ogni singolo set-
tore faccia muro ai risparmi, invi-
tando chi è chiamato ad usare il
bisturi dei tagli a rivolgersi altrove.
Per questo motivo, come ho
avuto l’opportunità di scrivere più
volte, l’unico strada per ridurre in
modo strutturale la nostra colos-
sale spesa pubblica passa attraver-
so un graduale ridimensionamento
delle relative competenze, ripor-
tando il peso dello Stato entro ter-
mini sostenibili. Ciò vuol dire in
primo luogo il profondo ripensa-
mento di un sistema di welfare il
quale, fatte salve le garanzie mini-
me di tutela per le fasce della po-
polazione più svantaggiate, rap-
presenta la fonte principale dei
nostri guai finanziari. Ma per fare
questo, sfidando l’inevitabile im-
popolarità, occorrono due requi-
siti fondamentali: un tempo ragio-
nevolmente lungo, onde consentire
alla cittadinanza di sperimentare
la bontà delle riforme adottate, e
il coraggo politico per farlo. Eb-
bene, finora questo ultimo elemen-
to è quasi completamente mancato
in chiunque occupasse la stanza
dei bottoni, professori compresi.
Per questo, parafrasando un cele-
bre passo del
Promessi sposi
, non
è ragionevole pensare che costoro
possano darselo da soli - il corag-
gio - nei pochi mesi che mancano
alla fine della legislatura. Dobbia-
mo, pertanto, aspettarci l’ennesima
revisione della spesa pubblica che
punti a risparmiare sulle matite e
le fotocopie. Con buona pace di
chi si aspetta un forte ridimensio-
namento dell’enorme apparato po-
litico-burocratico e di tutte le sue
costose ramificazioni.
CLAUDIO ROMITI
di
DIMITRI BUFFA
l ministro di grazia e giustizia,
Paola Severino, forse troppo in-
daffarata a rispondere a compia-
centi interviste del “Corrierone”,
non ha trovato invece il tempo di
rispondere, in aula o per iscritto, a
ben 60 tra interrogazioni e inter-
pellanze parlamentari che concer-
nono l’emergenza carceraria e più
in generale la giustizia, presentate
dai deputati radicali in un arco di
tempo che va dal 6 settembre 2011,
praticamente poco prima dell’inse-
diamento del governo tecnico, sino
al 7 luglio scorso.
Così la deputata Rita Bernardini
ha preso carta e penna scrivendo
poche righe al presidente della Ca-
mera Gianfranco Fini per eviden-
ziare la incresciosa situazione:
«Gentile presidente, ai sensi dell’ar-
ticolo 134 comma 2 del regolamen-
to della Camera dei deputati, es-
sendo trascorsi i venti giorni entro
i quali il Governo doveva rispon-
dere, chiedo di porre le seguenti in-
terrogazioni a risposta scritta al-
l’ordine del giorno delle
Commissioni competenti». Segue
il lungo elenco in ordine temporale
decrescente, cioè dalla più recente
alla più vecchia.
Messe così, in fila per sei con il
resto di due come i 44 gatti della
filastrocca, ma qui si tratta di ses-
santa atti ispettivi trattati, nono-
stante la delicatezza degli argomen-
ti, con colpevole indifferenza, fanno
una certa impressione.
Inutile pensare a cosa sarebbe
successo se un simile appunto fosse
stato mosso al precedente governo,
quello dell’ex premier Berlusconi:
si sarebbe come minimo parlato di
golpe dell’esecutivo ai danni del
Parlamento. Ma poichè stiamo par-
lando delle interrogazioni a risposta
scritta dei radicali eletti nelle liste
I
del Pd, cioè quei rompipalle che
Fioroni e D’Alema hanno già detto
di non volere ricandidare, visto che
disturbano le grandi manovre par-
titocratiche, al secolo “le grandi in-
tese”, va bene così.
Resta da domandarsi cosa sia
contenuto nelle interrogazioni in
oggetto. E allora abbiamo preso la
prima e l’ultima, tanto per farci
un’idea. Chi è interessato ad appro-
fondire ulteriormente, vada sul sito
della Camera e si compulsi uno per
uno i documenti in questione tra-
mite il link con l’attività parlamen-
tare della stessa Rita Bernardini.
La prima interrogazione della
serie, la 4/13090, fu depositata il 6
settembre 2011 quando ancora
c’era l’ultimo ministro Guardasigilli
del governo Berlusconi, Francesco
Nitto Palma. In essa si ricordava la
tragica storia di un suicida in car-
cere. Era il 22 agosto del 2011, Ser-
ghiei Dragan, 32enne moldavo, si
tolse la vita un giovedì nella sua cel-
la del carcere di Opera. «Anche in
passato l’uomo aveva più volte ten-
tato di togliersi la vita in carcere
tramite impiccagione, ciononostan-
te non era considerato un detenuto
a rischio e non era sottoposto nel
regime dei sorvegliati a vista».
Gli interroganti poi chiedono
«se il Ministro sia a conoscenza dei
fatti descritti in premessa» e «quali
iniziative, più in generale, il Gover-
no intenda assumere per contenere
e ridurre l’alto tasso dei decessi per
suicidio in carcere». Questa inter-
rogazione nonostante ben nove sol-
leciti, l’ultimo dei quali è dello scor-
so 8 agosto, è rimasta lettera morta
per via Arenula.
L’ultima delle sessanta interro-
gazioni pendenti, la 4/16908, pre-
sentata il 9 luglio scorso, riguarda
invece la storia di un ragazzo mas-
sacrato di botte durante la finale
degli europei Italia-Spagna nel car-
cere minorile di Torino, il Ferrante
Aporti. La sua storia era finita in
un articolo di cronaca locale e gli
interroganti della pattuglia radicale
del Pd in Parlamento hanno chiesto
al ministro se era vero che il giova-
ne fosse stato oggetto di altre ana-
loghe aggressioni durante eventi
sportivi e a che tipo di vigilanza fos-
se sottoposto. Ma anche in questo
ultimo caso, così come nel primo e
negli altri cinquattotto, le risposte
scritte richieste al ministro Severino
non ci sono. Bob Dylan avrebbe
detto che «soffiano nel vento».
Quello dell’indifferenza alla condi-
zione carceraria. Quello della “pre-
potente urgenza” che neanche il
Capo dello stato osa denunciare
con un messaggio alle Camere così
come la Costituzione vigente im-
porrebbe di fare. Preferisce parlarne
in convegni o interviste, affermando
che «non ci sono le condizioni pol-
tiche per l’amnistia».
II
POLITICA
II
K
Paola SEVERINO
segue dalla prima
Il nodo-giustizia
(...) La sorte di migliaia di persone fisiche di-
pende dall’esito del braccio di ferro in atto
tra Mario Monti e la giudice per le indagini
preliminari tarantina. E questa sorte va decisa
subito. Non al termine della campagna elet-
torale o, peggio, nel corso della prossima le-
gislatura. Spetta al governo tecnico, in so-
stanza, di trovare uno sbocco immediato alla
vicenda Ilva. E di farlo sapendo che qualun-
que sia la soluzione adottata si trasformerà
inevitabilmente in un precedente che non po-
trà non incidere sulla definizione di quelli
che dovrebbero essere i nuovi rapporti tra i
poteri dello stato e l’ordine giudiziario.
Nessuno dubita sulla necessità che sulla in-
terpretazione rigida ed oltranzista delle norme
di legge prevalga la ragione di stato. Cioè che
la chiusura degli stabilimenti venga scongiu-
rata, l’azione di risanamento sanitario ed am-
bientale definita ed avviata con la massima
celerità ed i posti di lavoro difesi e salvati.
Ma è bene che il governo non compia la sua
azione indispensabile attraverso sotterfugi.
È arrivato il momento di chiarire una volta
per tutte che in una democrazia liberale ed
in uno stato di diritto l’interpretazione della
legge va attribuita, in ultima istanza, a chi le
leggi è legittimato dal consenso popolare a
farle e non a chi le deve solo applicare. Il ca-
so, in definitiva, vuole che spetti ad un go-
verno tecnico e non ad un governo politico
fissare che, per salvare il paese, diventa indi-
spensabile stabilire un precedente che indirizzi
la prossima ed indispensabile riforma della
giustizia a fissare la regola che la democrazia
precede e non segue il diritto. Cioè che la po-
litica non può più essere subordinata alla
magistratura.
ARTURO DIACONALE
Scelta di campo
(...) Un altro punto a favore è il suo stato
d’origine, il Wisconsin, vinto addirittura con
14 punti percentuali di vantaggio da Obama
nel 2008, ma entrato nel mirino repubblicano
già durante la sanguinosa battaglia per il “re-
call” del governatore Scott Walker. Ryan, poi,
possiede una caratteristica unica: è gradito
all’establishment, soprattutto intellettuale,
del partito, ma anche alla base degli attivisti,
i cui confini spesso si sovrappongono a quelli
del movimento Tea Party. C’è poi un fattore
- quello umano - che molti analisti spesso
sottovalutano. Romney e Ryan si piacciono.
E molto. I due vanno d’accordo e il loro rap-
porto si è rafforzato negli ultimi mesi. Il ri-
schio maggiore, invece, è rappresentato dal
prevedibile e durissimo attacco che i demo-
cratici (e i media loro alleati) scateneranno
contro le proposte di budget di Ryan, in par-
ticolare riguardo alla riforma del Medicare.
Questo rischio, molti pensavano che Romney
non fosse disposto a correrlo. Ma la storia
ha insegnato ai repubblicani che la strategia
opposta - quella di non spingere troppo il
piede sull’acceleratore per minimizzare il dan-
no della propaganda avversaria - non paga
quasi mai. Anche con un programma e con
un candidato moderato, il Gop continua ad
essere descritto come il partito dei capitalisti
cattivi che vogliono affamare la working class
per aumentare i loro profitti a Wall Street.
Da questa narrazione non si esce rifugiandosi
in una versione “light” del socialismo oba-
miano, ma riaffermando con forza gli ideali
che distinguono storicamente e struttural-
mente il partito repubblicano da quello de-
mocratico. E che danno un senso compiuto
al bipartitismo americano. Mai come in que-
sto novembre i cittadini americani sono chia-
mati a compiere una scelta tra due modelli
di vita, di mercato e di nazione. La candida-
tura alla vicepresidenza di Paul Ryan è il mo-
do migliore per sottolineare da che parte ha
scelto di stare il Gop.
ANDREA MANCIA
Carceri: i radicali presentano
le interrogazioni,Severino tace
Ridurre il welfare
per salvare l’Italia
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MARTEDÌ 14 AGOSTO 2012
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