Pagina 7 - Opinione del 14-8-2012

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II
SOCIETÀ
II
Diaz, la verità scomoda di un celerino condannato
di
DIMITRI BUFFA
«Ciao Vince’. Quest’estate te de-
vi dimentica’ le vacanze, le gri-
gliate di pesce, i bagni a Viareg-
gio. Lo sai o no che stai per
prenderla nel culo?» L’instant bo-
ok scritto a quattro mani dall’in-
viato di inchiesta de
Il Giornale
,
Gianmarco Chiocci, e dal suo col-
lega Simone di Meo, sui fatti e i
fattacci accaduti alla scuola Diaz
e a Bolzaneto, raccogliendo lo
sfogo liberatorio di uno dei con-
dannati in via definitiva, a cinque
anni per falso, cioè l’ex capo della
celere a Genova durante il G8,
Vincenzo Santerini, inizia così.
Come la sceneggiatura di un film
del mitico “monnezza”, alias
Thomas Milian.
La frase però non era la rap-
presentazione scritta del trash dei
film suddetti nelle sceneggiature
che hanno fatto la fortuna di
Corbucci, ma il contenuto di una
telefonata di un collega che già
mesi prima di quel maledetto G8
del luglio 2001 preannunciava a
Santerini che per quell’anno per
lui era previso un destino da ca-
pro espiatorio. Un anno maledet-
to più di una compilation di bi-
sestili, con la tragedia delle
Twin
Towers
che di li a poco avrebbe
cambiato il corso della storia e
quel che è peggio anche la sua
percezione oggettiva da parte del-
la gente.
La prima interessantissima
parte del libro racconta l’adde-
stramento del Settimo reparto ce-
lere che già nella primavera del
2001 si allenava sulle spiagge di
Ponte Galeria a contrastare le tec-
niche di guerriglia urbana già vi-
ste a Seattle, Davos e Melbourne.
Agenti buoni resistevano a maz-
zate e molotov lanciate da “agenti
cattivi”. Tutto molto simile sia ai
film verità di registi come Lizzani
sugli anni ‘70 delle tensioni so-
ciali di piazza a Roma e a Mila-
no, ma anche alle collaudate pa-
rodie. «Prima di battezzare il
Settimo – racconta Santerini at-
traverso la penna di Chiocci e Di
Meo - per la tre giorni di luglio
al G8 di Genova scesero ad alle-
narsi schiere di celerini di ogni
scuola e di ogni reparto: Bolzano,
Peschiera, Vibo Valentia, Bologna,
Padova, Senigallia, Reggio Cala-
bria, Torino, Firenze, Roma, Na-
poli, Bari, Taranto, Nettuno, Ca-
gliari,Piacenza, Caserta, Milano,
Spoleto, Alessandria, Brescia,
Foggia, Vicenza, Pescara, Campo-
basso,Trieste, Abbasanta, Genova,
Catania, Cesena, Palermo». «Ad
aprile – continua la cronistoria -
i corsi accelerati raggiunsero pic-
chi da quattrocento uomini a set-
timana: un ricambio continuo, in-
cessante, di giovani alle prime
armi e più esperte divise da for-
giare per il Grande evento. Indi-
pendentemente dall’accento e dal
pedigree conquistato sul campo
tutti dovevano parlare lo stesso
verbo operativo, perché tutti sa-
pevano che Genova avrebbe rap-
presentato uno spartiacque nel
rapporto fra lo Stato e l’Antistato
organizzato vestito di nero. E al-
lora, regole base e universali: co-
mandi a gesti, marce coordinate,
cariche e ritirate con i blindati di
scorta. Il Settimo sarebbe stato
molto di più. Il 18 aprile la posta
interna recapitò il via libera alla
definizione del «Settimo nucleo
sperimentale per interventi di or-
dine pubblico», così chiamato
perché messo in piedi con le ec-
cellenze volontarie dei sei nuclei
del Primo reparto mobile da me
diretto: quello romano. In teoria,
quindi, le cose erano state prepa-
rate al meglio e nessuno in quel
momento poteva scientificamente
prevedere che in quel luglio del
2001 a Genova prima ci sarebbe
scappato il morto, dopo giorni di
impunite devastazioni dei black
block, per cui sarebbero stati con-
dannati dieci giovani soltanto e
forse nemmeno i più colpevoli.
Come nessuno poteva prevedere
la cosiddetta macelleria messicana
della scuola Diaz e della caserma
di Bolzaneto. Santerini che sostie-
ne, piuttosto verosimilmente, di
essere stato sacrificato sull’altare
di una giustizia sommaria e di
avere pagato responsabilità di
comportamenti non ascrivibili a
uomini da lui comandati e adde-
strati, nel secondo capitolo del li-
bro punta il dito sulle informative
allarmistiche dei servizi di sicu-
L’instant book scritto
a quattro mani
dall’inviato
de“Il Giornale”,
Gianmarco Chiocci,
e dal suo collega Simone
di Meo, sui fatti
e i fattacci accaduti
alla scuola Diaz
e a Bolzaneto,
raccogliendo lo sfogo
liberatorio di uno
dei condannati in via
definitiva, a cinque anni
per falso, cioè l’ex capo
della celere a Genova
durante il G8,Vincenzo
Santerini, inizia come
la sceneggiatura
di un film del mitico
“monnezza”, alias
Thomas Milian.
La cosa veramente
apprezzabile del libro
è che non vengono
disegnati scenari
complottistici ma solo
l’ordinaria vigliaccheria
delle alte istituzioni
“all’italiana”
rezza dell’epoca. E dipinge un cli-
ma e una prassi già più volte ri-
scontrai in tutti i grandi eventi
che hanno sconvolto la vita ita-
liana fin dagli anni ’70.
«Funziona sempre così nel
mondo vischioso e sfuggente delle
agenzie di intelligence: si prefigu-
ra lo scenario peggiore, e se si av-
vera, la nota protocollata sta lì a
dimostrare che non gli si può im-
putare nulla. Se invece non si av-
vera, significa che è stato comun-
que un successo, perché
l’apocalisse è stata evitata grazie
alle contromisure prese sulla base
delle loro soffiate». Canteri che
afferma come tale allarmismo gli
avesse tolto il sonno, tratta anche
con il dovuto sarcamo le infor-
mative che si susseguivano nelle
settimane antecedenti al G8, an-
che da parte di intelligence stra-
niere: «Gli 007 italiani, inglesi,
americani e francesi seguivano Al
Qaeda (che invece stava pensan-
do agli ultimi dettagli dell’attacco
al
World Trade Center
di New
York) e s’erano persi dietro gli
anarco insurrezionalisti che ave-
vano messo a ferro e fuoco la cit-
tà di Melbourne, appena pochi
mesi prima. Tenevano sott’occhio
un po’ di pazzi criminali collegati
a un network internazionale in-
definito e indefinibile che pren-
deva forma, e si vestiva di nero,
in occasione dei grandi appunta-
menti. Amava scontrarsi con la
polizia, darsi ai saccheggi, infie-
rire con pietre e tubi Innocenti
sulle auto in sosta, sulle vetrine
delle multinazionali, sulle tastiere
dei bancomat».
La cosa veramente apprezza-
bile del libro “Diaz” è che non
vengono disegnati scenari com-
plottistici ma solo l’ordinaria vi-
gliaccheria delle alte istituzioni
all’italiana, più che “italiane”, e
Santerini rievoca con una certa
ironia una cena tra vertici opera-
tivi, locali e nazionali, della poli-
zia cui fu invitato per sentirsi dire
dell’accordo sottobanco con le tu-
te bianche. Un accordo che pre-
vedeva una certa libertà di sac-
cheggio e dimostrazioni violente
di piazza. E una certa tolleranza
delle forze dell’ordine. A patto
però che non venisse sfondata la
famigerata “zona rossa”. «Sennò
so’ mazzate».
E alla bisogna si contava pro-
prio sul reparto celere di Cante-
rini per il contenimento di piazza.
Invece dopo il sostanziale falli-
mento di questo accordo scelle-
rato, e il sospetto aleggia in tutto
il libro, forse qualcuno in alto,
nelle istituzioni e non solo di po-
lizia, voleva consumare le proprie
vendette contro il movimento an-
tagonista, senza stare a discutere
tanto su chi fosse stato una tuta
nera o una bianca. Una vendetta
dovuta alla frustrazione di avere
constatato che per giorni e giorni
Genova era stata alla mercè di
quella gente di fronte a tutto il
mondo. Una vendetta in cui si è
calcata la mano. Una vendetta la
cui responsabilità si è poi scari-
cata sugli unici funzionari di po-
lizia che sin dall’inizio ci avevano
messo la faccia. Persino con un
eccesso di onestà intellettuale.
Perchè, come accade sempre e da
sempre in Italia, «chi si firma è
perduto».
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 14 AGOSTO 2012
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