Page 6 - Opinione del 14-10-2012

Viaggio attraverso la letteratura italiana del ‘900
di
PIER PAOLO SEGNERI
o scrittore italiano che, con la
sua opera letteraria e artistica,
forse meglio di chiunque altro, ha
rappresentato e messo in scena il
Novecento è, in realtà, un uomo
rimasto agganciato all’Ottocento:
Luigi Pirandello. Nella letteratura
pirandelliana, infatti, emergono
con chiarezza le contraddizioni del
secolo scorso, la modernità, la
contemporaneità, il peso dei con-
dizionamenti esterni che gravano
sulle persone in maniera oppres-
siva, la cappa di piombo della re-
pressione ambientale che conduce
il singolo alla fuga dall’ingranag-
gio del mondo reale o al rifiuto di
un sistema non più sopportabile
e che conduce alla follia come ul-
tima, estenuante difesa. Il teatro
nel teatro, le maschere degli indi-
vidui, l’umorismo, il monologo in-
teriore, la verità come una corda
tesa che a pizzicarla si rischia di
passare per pazzi. Questo è il No-
vecento. Questo è Pirandello. Il
tutto descritto come all’interno di
un processo dominato da un giu-
dice invisibile, interiore, venuto ad
alimentare un conflitto tra accusa
e difesa che si può giocare soltan-
to in un tribunale immaginario, in
un testo teatrale o in una novella.
Ma l’uscita dal conflitto necessita
soluzioni estreme, come quella di
chiedere la patente di iettatore pur
di sopravvivere a una certa stupi-
dità della burocrazia o alle stolte
etichette di una società in cui l’in-
dividuo oppresso e schiacciato si
L
ritrova ad avere, allo stesso tempo,
uno nessuno e centomila” perso-
nalità diverse. E proprio la fuga
dalla realtà, risolta con una qual-
che forma di pazzia, si ritrova an-
che nei versi di alcuni poeti che
hanno fatto la letteratura italiana
del Novecento. Mi riferisco ad Al-
do Palazzeschi e a Dino Campana.
Il primo è un clown della scrittura,
con i suoi «lazzi, frizzi, girigogoli
e ghiribizzi». Uno poeta dentro il
Novecento che mette da parte
qualunque malinconia e si diverte
a indossare la sua maschera per
meglio deridere la sua condizione
e i suoi condizionamenti. Palazze-
schi, infatti, si prende gioco del si-
stema vestendosi da pagliaccio, da
funambolo, da circense della pa-
rola, da equilibrista in cammino
sul filo dell’ironia, dello scherzo,
dello scherno. Insomma, Palazze-
schi è un poeta che, per quello che
scrive e per come lo scrive, sembra
aver trovato il suo baricentro, cioè
la sua fuga dal sistema, in quello
che lui stesso definisce l’anti-do-
lore, lo sberleffo, l’uomo di fumo,
Il Codice di Perelà o quando toglie
qualsiasi aurea alla figura del poe-
ta definendosi con le seguenti te-
stuali parole: «Io metto una lente
davanti al mio cuore per farlo ve-
dere alla gente. Chi sono? Il sal-
timbanco dell’anima mia». Anche
Dino Campana incontra la pazzia,
la pazzia del Novecento, ma è per
lui un approdo quasi tragico, tor-
mentato, maledetto. La fuga dalla
realtà conduce Campana verso
una poesia che diventa tutto, to-
talizzante, che racchiude l’intera
sua esistenza, in stretta sintonia
con la vita, trasformando la poesia
nel fine stesso della sua vita. I
Canti Orfici raccolgono, infatti,
un’aspirazione universale, tran-
snazionale, senza limiti. Campana
è il nostro Rimbaud, ha l’ebbrezza
visionaria di chi ha imboccato la
strada di una ricerca senza fine. E
si perde.
POKER D’ASSI
Lo ammetto: ho in mano un
Poker d’Assi. Ci sono quattro
scrittori che rappresentano i quat-
tro punti cardinali della letteratura
italiana del secondo Novecento.
Insieme o separati, questi quattro
grandi autori, sono l’azimuth con
cui poterci orientare per uscire fi-
nalmente dalla crisi politica di
questi anni. Sono il Nord, Sud, Est
e Ovest di una bussola immagina-
ria che porto sempre con me. So-
no i principali rappresentanti dei
quattro elementi di cui è composta
la materia letteraria, civile e cul-
turale italiana della seconda metà
del secolo scorso. Sono Pier Paolo
Pasolini, Leonardo Sciascia, Italo
Calvino e Carlo Emilio Gadda.
Sono da leggere e rileggere. Sono
Acqua, Fuoco, Aria, e Terra. Oggi
andrebbero riscoperti come rife-
rimenti politici per capire la realtà
odierna, la crisi che viviamo, le
prospettive possibili per il futuro.
Leggerli significa capire, compren-
dere, intuire.
Pier Paolo Pasolini è il genio,
la profezia, l’intuizione pura. Se
fosse uno dei quattro elementi in-
dividuati da Aristotele, sarebbe
l’Acqua. Nella letteratura italiana
del Novecento, Pasolini rappre-
senta il mare, le onde, la “panta-
lassa”. L’autore degli Scritti corsari
e delle Lettere luterane ci ha rega-
lato pagine così pure e dirompenti
che sembrano nate o sgorgate
dall’acqua. Ogni sua pagina è
sempre sorgente di idee, fonte di
ispirazione, energia fondatrice, ele-
mento dinamico che scorre come
un fiume e arriva fino a noi, rag-
giunge il lettore, lo inonda, lo può
travolgere o far rinascere. L’opera
di Pasolini è così: irrequieta, pu-
rificatrice, finanche distruttrice,
dolce e salata, confinata e infinita,
non ha inizio e non ha fine, anzi:
è inizio e fine allo stesso tempo,
tutto abbraccia e tutto rigenera.
L’arte di Pasolini, dal cinema ai
romanzi, dalla poesia agli articoli,
è impregnata dall’elemento del-
l’Acqua, esprime l’anima del mon-
do, è “Mamma Roma”, “Passione
e ideologia”, “Empirismo eretico”.
Insomma, la scrittura di Pasolini
non è statica, ma trasforma, puri-
fica, prevede. È vita.
Leonardo Sciascia, invece, è il
ragionare, la conoscenza, la ricer-
ca della e delle verità. Seppur nella
sua calma, nella sua apparente pa-
catezza, nella sua proverbiale len-
tezza, Sciascia ha sempre espresso
passione civile, intelligenza sopraf-
fina, ardore politico, fermento cul-
turale e intellettuale. Infatti, la ma-
teria che scaturisce dalla scrittura
del maestro di Racalmuto è sem-
pre illuminante, accesa, spesso
scottante, mai banale. Nella lette-
ratura italiana del secolo scorso,
se lo si dovesse paragonare ad uno
dei quattro elementi aristotelici,
Sciascia sarebbe il Fuoco. Lo scrit-
tore siciliano, infatti, utilizzava la
menzogna della letteratura per far
emergere quelle verità indicibili o
non dette che aprivano squarci di
luce nel buio più pesto. La sua
scrittura è energia motrice ed at-
tiva, è la cosa che più si vicina
all’azione.
Italo Calvino è la leggerezza,
la fantasia, la scrittura tout court,
lo scrivere bene, fino in fondo e
con semplicità. Non a caso, è stato
definito “lo scoiattolo della pen-
na”. I suoi libri sono caratterizzati
da un italiano scritto a cielo aper-
to, chiaro, a perdita d’occhio. La
È Luigi Pirandello,
meglio di chiunque altro,
che ha rappresentato
e messo in scena il ‘900
Pasolini, Sciascia,
Calvino e Gadda:
un poker d’assi
per uscire dalla crisi
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CULTURA
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L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 14 OTTOBRE 2012
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