l governo Monti ha saputo evi-
tare lo scoglio dello spread ma si
è schiantato contro quello della
Concordia. Il recupero del relitto
della nave affondata all’Isola del
Giglio si è trasformato in una buc-
cia di banana sulla quale l’esecutivo
tecnico, in carica fino a poche set-
timane fa, è scivolato. Non è cer-
tamente questo il motivo per cui il
Professore è salito al Colle per ri-
mettere il mandato nelle mani di
Napolitano ma è certo che la ge-
stione dell’emergenza è stata quan-
tomeno farraginosa. Il naufragio
della nave da crociera contro lo
scoglio delle Scole del 13 gennaio
dell’anno scorso, ha stravolto la
skyline dell’Isola e questo è solo
l’aspetto esteriore della questione
perché lo stravolgimento ha riguar-
dato l’ecosistema e l’economia stes-
sa del piccolo arcipelago toscano.
Il ministro dell’ambiente Corrado
Clini ha detto: «Il costo della rimo-
zione della nave è a carico dell’im-
presa e c’è anche un contributo
pubblico da quantificare: al mo-
mento abbiamo messo a disposi-
zione 5 milioni di euro. Sappiamo
però che questi costi sono le spese
dirette. C’è poi tutto il costo del-
l’apparato, della infrastruttura,di
personale e di interventi, non quan-
tificabile». Per Clini «le operazioni
per la rimozione del relitto termi-
neranno il prossimo autunno, con
la previsione aggiornata per settem-
bre. Il relitto deve essere portato nel
porto più vicino per evitare danni
ambientali e lì deve essere smonta-
to». Sincronizzato il commento del
ministro con quello del capo della
protezione civile, e commissario
speciale per l’emergenza Concordia,
Franco Gabrielli che precisa: «È ra-
gionevole immaginare che si pos-
sano verificare delle sospensioni
delle attività di cantiere dovute alle
condizioni meteo-marine avverse o
I
comunque a situazioni non preve-
dibili. Per cui non si posso escludere
eventuali slittamenti nel tempo».
Le due dichiarazioni aprono scenari
non inquietanti ma preoccupanti.
In primis la rimozione prevista per
settembre implica un altro anno di
lacrime e sangue per l’economia
dell’Isola visto che la stessa vive di
turismo estivo e la presenza di un
cadavere galleggiante di quella staz-
za non invoglia certo un bel tuffo
nelle sue vicinanze. Senza dimenti-
care la questione ambientale, visto
che il fondale dove la nave è ada-
giata è inserito all’interno del Parco
Nazionale dell’Arcipelago Toscano
e anche lì va previsto un piano di
bonifica. Terzo aspetto, non si sa
ancora dove la Concordia verrà ri-
morchiata e disarmata. Per Clini
bisogna andare «nel porto più vi-
cino» ossia a Piombino il cui scalo
però non è, ad oggi, pronto ad ac-
cogliere il relitto della Costa in
quanto privo di bacino di smantel-
lamento. Neanche Livorno al mo-
mento ne è dotata (un cantiere
adatto esiste solo a Palermo), il che
vuol dire che un piano dalle parti
di palazzo Chigi o in via Cristoforo
Colombo non c’è. E peggio ancora,
non sembra neanche previsto.
ALESSIOVALLERGA
aramente in una campagna
elettorale le accuse recipro-
che sono così azzeccate come
quelle che si sono scambiati il
premier uscente Monti e il suo
predecessore Berlusconi. Di so-
lito gli avversari ricorrono gli
uni contro gli altri ad ogni tipo
di esagerazioni e forzature, se
non a vere e proprie mistifica-
zioni. Stavolta, invece, c’è molto
di vero. Se Berlusconi ricorda un
«
pifferaio magico» per le pro-
messe non mantenute, eppure di-
sinvoltamente reiterate senza
analizzare a fondo e con onestà
le cause dei suoi precedenti fal-
limenti, Monti si è senz’altro ri-
velato un «bluff». L’abbiamo
scritto prima di tutti su questo
giornale e anche autorevoli os-
servatori hanno espresso la loro
delusione per la sua precoce per-
dita di slancio riformatore.
Berlusconi non può scaricare
tutto su Monti. L’inasprimento
fiscale e la lotta all’evasione con-
dotta con metodi illiberali, am-
pliando a dismisura i poteri re-
pressivi di Equitalia, in
particolare l’inversione dell’onere
della prova a carico del contri-
buente, erano già stati avviati,
con esiti recessivi sull’economia,
dal ministro Tremonti durante il
suo ultimo governo. D’altra par-
te, Monti non può cavarsela sca-
ricando tutte le colpe sul suo pre-
decessore. Se è vero che ha
governato solo un anno, tuttavia
era sostenuto da una maggioran-
za parlamentare senza preceden-
ti, letteralmente annichilita dal
proprio discredito, e in ragione
dell’emergenza ha potuto operare
con un potere pressoché assoluto,
anch’esso senza precedenti nella
storia repubblicana, sulle scelte
di politica economica.
Ci si aspettava quindi che
R
avrebbe rivoltato l’Italia come
un calzino, resistendo ai veti dei
partiti e delle lobby. Poteva farlo,
perché almeno nei primi sei mesi
nessuno si sarebbe potuto per-
mettere di farlo cadere. E invece,
dopo la riforma delle pensioni e
l’introduzione dell’Imu, nel no-
vembre 2011, non ha portato a
casa molto altro: liberalizzazioni
timide, finte privatizzazioni e
una riforma del mercato del la-
voro addirittura controprodu-
cente, come hanno riconosciuto
osservatori internazionali nien-
t’affatto ostili al professore. La
via al risanamento di quasi solo
tasse non è stata una necessità,
come Monti ripete oggi, ma una
scelta deliberata. Persino il pre-
sidente della Bce Draghi in
un’intervista al Wall Street Jour-
nal l’ha bocciata come «cattivo
consolidamento», in opposizione
ad una via «buona», perché me-
no recessiva, basata principal-
mente su tasse più basse e ridu-
zioni di spesa.
Ma ammesso e non concesso
che Monti non abbia potuto fa-
re a meno di cedere ai veti con-
trapposti delle forze politiche,
dopo le sue dimissioni e la sua
salita” in campo ha avuto fi-
nalmente l’occasione di presen-
tare la sua “agenda”, senza con-
dizionamenti di sorta, eppure
non ha saputo offrire che un
programma generico, privo di
proposte concrete, corredate di
numeri, che ci saremmo aspet-
tati da chi conosce in profondità
la finanza pubblica.
Le marce indietro delle sue ul-
time apparizioni televisive sono
tardive e poco credibili. «Fosse
per me non l’avrei messo, biso-
gna valutare seriamente se to-
glierlo», osserva sul redditome-
tro, ideato sotto il governo
Berlusconi-Tremonti ma elabo-
rato nel corso di tutto il 2012. In
13
mesi Monti avrebbe potuto
bloccarlo con una telefonata, al-
meno dire una parola, invece di
mostrarsi pappa e ciccia con Be-
fera. Guarda caso proprio in
campagna elettorale, quando non
può più fermarlo, cambia idea.
Adesso una riduzione delle tasse
sarebbe possibile addirittura in
«
molto poco tempo», e «voglio
anch’io che l’Imu sia ridotta»,
confessa Monti, quando nella
conferenza stampa del 23 dicem-
bre era «da pazzi» solo pensare
di abolirla sulla prima casa. Dice
di non aver «mai pensato ad una
patrimoniale» e di voler evitare
il punto in più di Iva previsto a
luglio, mentre l’aumento del ca-
rico fiscale sui «grandi patrimo-
ni» e i consumi è scritto nero su
bianco sulla sua agenda. Diceva
di essere sceso in campo per «di-
fendere il lavoro fatto», ma oggi
ammette che «molte cose devono
essere oggetto di una revisione».
Non solo la politica fiscale, ma
anche la riforma delle pensioni:
non ha «preclusioni» a modifi-
carla, fa sapere al Pd.
Monti, infine, sostiene di non
aver accettato l’offerta di Berlu-
sconi di federare i “moderati”
«
perché all’Italia serve unire i ri-
formatori», ma poi ha imbarcato
Fini e Casini (con famiglia al se-
guito), non riuscendo quindi a ri-
modulare l’offerta politica sul-
l’asse riformatori/conservatori
anziché sul logoro asse destra-si-
nistra. E piacerà la sua nuova ve-
ste di candidato combattivo, che
lascia il fioretto e impugna la
roncola contro Berlusconi, ai cit-
tadini che ne avevano apprezzato
lo stile sobrio e la distanza dalla
mischia politica?
FEDERICO PUNZI
II
POLITICA
II
Il ministro Clini
ha promesso
la rimozione
della Concordia
entro settembre
ma non è stato deciso
neanche il porto
nel quale disarmarla
segue dalla prima
La foto de-Vasto
(...)
Di qui la necessità di sollecitare Bersani
a pronunciare una parola chiara in campagna
elettorale sull’ipotesi vendoliana. Una parola
che non può essere solo un’assicurazione ma
deve trasformarsi in un impegno preciso e
concreto. Perché qualche dubbio in proposito
è fin troppo fondato. Non è forse vero che
le primarie hanno prodotto lo spostamento
a sinistra del Pd? E non è altrettanto certo
che i “giovani turchi” bersaniani, quelli che
non hanno esitato a fare piazza pulita dei li-
beral, dei renziani e di chiunque non fosse
sulla linea Fassina-Camusso, potrebbero ce-
dere facilmente al richiamo della foresta pro-
vocato dalla suggestione di dare vita ad un
governo di sinistra-sinistra privo di qualsiasi
badante o protettore di estrazione moderata
e riformista?
Non va dimenticato che la lunga marcia
di Bersani per la conquista definitiva della
leadership del Pd è partita con la famosa
foto di Vasto. Quella che lo vedeva a fianco
di Vendola e Di Pietro. Non è affatto im-
pensabile, quindi, che pur di concludere la
marcia a Palazzo Chigi lo stesso Bersani
sia disposto a farsi fotografare a braccetto
con Vendola ed Ingroia.
ARTURO DIACONALE
La rivincita del Cav
(...)
Eppure, insomma, il Cavaliere c’è... e di
colpo la campagna elettorale si è come im-
pennata, ha cambiato strada e impresso un
vento diverso, una direzione nuova.
E gli altri sono di colpo sembrati inadatti,
unfit
.
Cosicchè, le truppe stanche e smorte
rassegnate alla sconfitta senza neppure
combattere, hanno rialzato il capo, rimesso
una marcia più veloce alla stanco declino,
all’inarrestabile default. Certo, la imma-
nente e perenne necessità di un un uomo
solo al comando del Pdl (o di ciò che ne re-
sta) è la prova provata che senza di lui non
ci sarebbero neppure i resti del Pdl e nepure
le liste d’appoggio. Ma neppure quella ob-
bligatoria presenza, in una democrazia, di
una voce antagonista che non sia quella
dello sbraitamento grillesco o della forca
del riverniciato partito delle toghe. C’era
un vuoto e c’erano gli astenuti, c’era e in
parte c’è ancora una massa imponente di
delusi e di illusi, anche, soprattutto da lui
,
dalla Lombardia alla Sicilia.
Un vuoto che la politica non tollera, esat-
tamente come non fu tollerato in quel 1994
quando scomparvero su azione giudiziario-
giustizialista, i cinque partiti democratici, e
lui lasciò la “trincea del lavoro per scendere
in campo” in nome, allora del’antipolitica,
della società civile (proprio così) del paese
che lavora e che produce. Usò lo strumento
di cui era ed è il re indiscusso ma sottovalu-
tato perchè “di plastica” e vinse. Seppe col-
mare un cratere svuotato dall’annientamento
altrui con una proposta politica. La televi-
sione come mezzo principe al servizio di una
progetto che non si è realizzato,di un partito
liberale di massa che non c’è, di brandelli di
realizzazioni che sono il bagaglio emblema-
tico di un’esperienza che, pure, ha segnato
un vetennio. E adesso,è ancora questa tv che
si prende la rivincita ed è sempre lui che riem-
pie un vuoto, ma questa volta il suo, un vuo-
to a volte colpevole a volte costretto, un vuo-
to dentro il quale i facili entusiasmi
bersaniani di una vittoria a portata di mano
sembrano oggi mortificati: perché ciò che
conta è non darsi per vinto, ciò che vale è
rialzarsi, l’eroe non può arrendersi.
A differenza del neanche quarantenne e
vincitore morale Renzi, un ultresettantenne
dato per
missing
,
non si ritira nell’orticello
di casa, ma si veste dell’armatura fornitagli
dall’avversario santoriano per battersi contro
tutto e contro tutti.
Perchè anche l’eroe può cadere. Ma in
piedi.
PAOLO PILLITTERI
Il pifferaiomagico di Arcore
e il grande bluff del Prof
Il governoMonti
naufraga al Giglio
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MERCOLEDÌ 16 GENNAIO 2013
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