è arrivato un po’ in ritardo,
Pier Luigi Bersani,
conduca-
tor
del Partito democratico. L’ex
ministro dello Sviluppo economi-
co, va detto, non brilla per dina-
mismo politico, al punto che i suoi
potenziali elettori – che al momen-
to sono la maggioranza dei citta-
dini - di frequente si chiedono che
fine abbia fatto, fiduciosi che, di
tanto in tanto, se ne esca con un
colpo di classe. In ritardo è arri-
vato sul dare la dovuta importan-
za al magistrato in aspettativa An-
tonio Ingroia e alla sua lista
Rivoluzione Civile, soggetto cui è
sempre più doveroso riconoscere
il giusto credito.
Un credito che da subito, inve-
ce, ha ritenuto indispensabile con-
cedere l’alleato forte di Bersani,
quel Nichi Vendola (Sinistra Eco-
logia Libertà) che ha avvertito il ri-
schio di ritrovarsi con un pugno di
mosche nella conquista di un con-
gruo numero di seggi in Senato per
il quale l’attuale legge elettorale
prevede un premio di maggioranza
distribuito su base regionale. Il che
rende l’esito tutt’altro che scontato,
nonostante si navighi sicuri – come
ad oggi fa il centrosinistra - verso
la colonizzazione della Camera dei
deputati.
Quindi, Vendola proiettato ver-
so Ingroia e il leader del Pd impe-
gnato a corteggiare Mario Monti
e compagnia. Dicotomia che rischia
di far bisticciare i due capi della si-
nistra ancor prima di cominciare
a fare sul serio. A conti fatti, sem-
pre per quanto concerne la sfida
per Palazzo Madama, ha ragione
Vendola. In Campania, Sicilia,
Lombardia e Veneto la coalizione
data già per vincente delle elezioni
del 24 e 25 febbraio, non può af-
fatto scherzare. Bersani, quindi, s’è
svegliato: prima ha lanciato l’ap-
pello a non disperdere il voto, sol-
C’
lecitazione piuttosto generica, che
non basta a illuminare elettori già
disincantati per colpa del caos che
regna nel contesto politico attuale;
poi ha capito di doversi spingere
più nello specifico e ha cominciato
a pensare – senza però confessarlo
a un patto di desistenza. In parole
povere ha fatto intendere a Ingroia
approfittando dell’ospitata di
martedì sera a “Ballarò” - la neces-
sità che rinunci in modo volontario
a schierare le sue truppe nelle suc-
citate e influentissime circoscrizioni.
Obiettivo il bene comune, vale a
dire non correre il rischio di rega-
lare poltrone al Popolo della Liber-
tà, già in risalita nei sondaggi.
Bersani, in sostanza, si ritrova
costretto a «fare i conti con la ma-
tematica» per evitare un
harakiri
che avrebbe del clamoroso. Ma do-
vrà lavorarci sopra e farsi perdo-
nare di avere, nei giorni scorsi,
snobbato il togato palermitano, al
quale non ha risposto nemmeno
agli sms che il suddetto gli aveva
inviato per dare il via a un piano
anti-Berlusconi. Se il leader del Pd
non ammette la necessità di colla-
borare con Rivoluzione Civile, al-
lora Ingroia avrà diritto di respin-
gere telefonate.
STEFANO MARZETTI
di
FEDERICO PUNZI
ul grado di oppressione e re-
pressione fiscale a cui sono sot-
toposti gli italiani non esistono
vergini o innocenti. Sul reddito-
metro ci sono in evidenza le im-
pronte digitali sia del precedente
governo, soprattutto del ministro
Tremonti, che dell’attuale. Conce-
pito dal governo Berlusconi, con
il decreto legge 78 del luglio 2010,
lo strumento è stato elaborato, af-
finato e infine varato, lungo tutto
il 2012, cioè da Monti. È vero,
quindi, che già in quel decreto si
prevedeva che la «determinazione
sintetica» del reddito da parte
dell’Agenzia delle entrate potesse
essere fondata non solo sulle spese
effettivamente sostenute, ma anche
induttivamente, «mediante l’ana-
lisi di campioni significativi di con-
tribuenti, differenziati anche in
funzione del nucleo familiare e
dell’area territoriale di apparte-
nenza». In pratica, uno “studio di
settore” per famiglie basato su me-
die statistiche di spesa tratte del-
l’Istat o altri enti statistici. Risulta
evidente come possano essere mol-
ti i casi in cui il reddito così pre-
sunto non corrisponda al vero, la-
sciando però al contribuente
l’onere della prova a discarico.
Una rete a strascico, insomma, con
i poveri tonni chiamati a giustifi-
carsi per essere stati pescati.
È anche vero, però, che quello
stesso articolo 22 stabiliva che il
«
contenuto induttivo di elementi
indicativi di capacità contributiva»
avrebbe dovuto essere individuato,
«
con periodicità biennale», con
un apposito decreto attuativo.
Proprio quello preparato sotto il
governo Monti nell’ultimo anno,
varato alla vigilia di Natale e pub-
blicato nella Gazzetta ufficiale il
4
gennaio 2013, dopo la sceno-
S
grafica presentazione di Befera il
20
novembre scorso. Dunque, che
adesso Monti venga a dirci «fosse
per me non l’avrei messo, bisogna
valutare seriamente se toglierlo»,
è francamente di un’ipocrisia ri-
voltante. Non è passato un anno,
non sono passati sei mesi, ma solo
dieci giorni e volendo, essendo an-
cora presidente del Consiglio, sep-
pure dimissionario, potrebbe an-
cora sospenderlo. Ha avuto tredici
mesi per rendersi conto del “mo-
stro” che stava prendendo forma
e non sono mancate sul tema po-
lemiche pubbliche più o meno gar-
bate. Avrebbe potuto intervenire
per modificare il redditometro
proprio con lo strumento del de-
creto attuativo, o addirittura bloc-
carlo, con una semplice telefonata,
o almeno dire una parola, invece
di mostrarsi pappa e ciccia con Be-
fera, salvo poi cercare di passare
come quello che cade dalle nuvole,
che non lo voleva, guarda caso
proprio a ridosso delle elezioni.
La realtà è che Monti condi-
vide pienamente con Berlusconi
e Tremonti la responsabilità po-
litica del redditometro: ci ha mes-
so la faccia quando sembrava po-
polare mostrare il muso duro
contro gli evasori, sta cercando
di toglierla ora che i sondaggi
mostrano il contrario. E non è,
purtroppo, l’unico suo tentativo
di fuggire dalle proprie recentis-
sime scelte politiche. Prima ha
raddoppiato il gettito dell’Imu
prevista dal governo del Cavalie-
re, introducendo la tassa anche
sulla prima casa, e lo scorso 23
dicembre ha ammonito che sareb-
be “da pazzi” pensare di abolirla,
minacciando che dopo un anno
andrebbe reintrodotta raddoppia-
ta, salvo poi, in questi giorni di
campagna elettorale, promettere
anche lui di volerla ridurre. Dice
di non aver «mai pensato a una
patrimoniale» e di voler evitare
il punto in più di Iva previsto da
luglio, eppure l’aumento del ca-
rico fiscale sui «grandi patrimo-
ni» e i consumi è scritto nero su
bianco sulla sua agenda.
E, a proposito, secondo quanto
riferisce il Corriere, starebbe lavo-
rando in gran segreto ad
un’“agenda 2”. Dev’essersi reso
conto del clamoroso vuoto pro-
grammatico della prima. Previsto
nella serata di ieri un incontro con
Befera, chissà se Monti intenderà
sfruttarlo per un nuovo goffo ten-
tativo di dissociazione dal reddi-
tometro. Intanto, per prima cosa,
vorremo sapere quanto è costato
il suo sviluppo e quanto costerà,
ogni anno, la sua applicazione.
Abbiamo sì bisogno di una nuova
offerta politica, ma non di un “al-
trocolpista” in più, di quelli che è
sempre colpa degli altri.
II
POLITICA
II
K
Mario MONTI
segue dalla prima
Monti il cannibale
(...)
con la sinistra data per sicura vin-
cente, non è di svuotare il bacino eletto-
rale del Cavaliere ma di cannibalizzare i
suoi stessi alleati trasformandoli da pro-
tagonisti in comparse della scena pubbli-
ca nazionale.
L’errore fatto dai leader dell’Udc e di Fli
è stato di appiattirsi totalmente sulla linea
di Monti perdendo qualsiasi identità e
specificità politica. Ed il prezzo di questo
sbaglio non è solo in termini di voti che,
logicamente, non si fermano sugli imita-
tori ma si rivolgono all’originale. È in ter-
mini anche di prospettive personali. Ca-
sini, che solo qualche mese fa non
nascondeva l’ambizione di poter correre
per il Quirinale, oggi non viene preso in
considerazione neppure per un posto in
un ipotetico governo Bersani-Monti e ri-
schia di assumere il ruolo di mesto liqui-
datore dell’Udc. E Fini, che avrebbe vo-
luto tornare alla Farnesina o assumere
comunque un qualche ruolo istituzionale,
scopre con angoscia la possibilità di en-
trare nella nuova legislatura nel ruolo di
principale rottamato del vecchio panora-
ma politico per mano non dell’odiato Ca-
valiere ma dell’osannato Professore.
Si dirà che neppure due navigati profes-
sionisti della politica come loro avrebbero
potuto mai prevedere una sorte del ge-
nere. Il chè è vero. Ma è anche la dimo-
strazione che i professionisti sono usurati.
E vanno messi in pensione!
ARTURO DIACONALE
Il sogno e l’incubo
Un suicidio, perfetto, insomma. E forse -
come si mormora dalle parti dello Scudo
crociato - voluto. Non ci azzardiamo ad
asseverare questa ipotesi. Fatto sta, co-
munque, che dopo l’abbraccio con Monti,
tutto è cambiato nell’Udc. A cominciare
dai rapporti di forza. Offerta la piazza
principale dell’aggregazione centrista al
premier, Casini (per non parlare di Fini
la cui tendenza all’autoannientamento mai
riusciremo a capire) si è, insomma, rita-
gliato uno spazietto sicuro per se stesso,
ma assolutamente inadeguato per i suoi
sodali i quali, tanto sotto Prodi che sotto
Berlusconi, lo hanno seguito senza ten-
tennamenti e, dunque, qualcosa di più si
aspettavano.
Bene o male un 6% se lo meritavano.
Non avevano però fatto i conti con la po-
litica, la quale ha delle regole inviolabili.
La più importante delle quali recita più o
meno così: non chiamare a beccare nel
tuo cortile chi è più affamato di te. Casini,
da vecchio democristiano, non l’ignora,
ma se n’è bellamente impipato poiché
punta a “contare” con Monti, magari dan-
do una mano a Bersani, piuttosto che re-
stare nel recinto dell’irrilevanza. Il ragio-
namento potrebbe anche funzionare, a
condizione che prenda i voti. E su questa
roccia s’infrange il progetto di Casini.
Deve arrivarci alla meta, ma se i cosiddetti
portatori di voti” si defilano, per fare li-
ste magari ben pettinate, come vuole
Monti, l’Udc è destinato a rimpicciolirsi,
se non a sparire, in quanto molti di coloro
che lo votavano riterranno più utile far
convergere i loro suffragi sulla lista “ci-
vica” del leader della coalizione. Oppure
se ne terranno a debita distanza reputan-
do Monti responsabile del l’impoverimen-
to e della recessione. Ecco come muore
un partito. Un po’ per l’interesse di una
piccola nomenklatura, un altro po’ per la
forza di alleati che sono in realtà compe-
titori. Andrà a finire che l’Udc si squaglie-
rà e Monti non vincerà. A Fini, sempre
più incupito e solo, non resterà che con-
templare un sogno diventato incubo.
GENNARO MALGIERI
Sullo stato di polizia fiscale
nessuno è senza macchia
Bersani (in ritardo)
ora insegue Ingroia
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GIOVEDÌ 17 GENNAIO 2013
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