II
POLITICA
II
Colle intercettato, il“no”garantista dellaConsulta
na sentenza costituzionale ri-
guardante materie controver-
se di natura procedurale penale
estesa da Giuseppe Frigo è per
definizione una sentenza esem-
plare. E non fa eccezione la prima
dell’anno 2013 con cui la Corte
Costituzionale ha stabilito che le
intercettazioni casuali contenenti
conversazioni del Capo dello Sta-
to Giorgio Napolitano vanno di-
strutte senza alcuna udienza ca-
merale. Tuttavia siccome Frigo è
stato affiancato nella redazione
da altro giudice, cioè Gaetano Sil-
vestri, vi sono elementi che per
proteggere Napolitano, introdu-
cono concetti abbastanza insoliti
se non pericolosi rispetto alle fun-
zioni non riconosciute letteral-
mente dalla Costituzione come
prerogative della presidenza della
Repubblica. Ad esempio è molto
controverso questo passo, che po-
trebbe fare gridare allo scandalo
politici come Marco Pannella, da
sempre nemici dell’estensione
materiale” della nostra Costitu-
zione: «Per svolgere efficacemente
il proprio ruolo di garante del-
l’equilibrio costituzionale e di
magistratura di influenza”, il
Presidente deve tessere costante-
mente una rete di raccordi allo
scopo di armonizzare eventuali
posizioni in conflitto ed asprezze
polemiche, indicare ai vari titolari
di organi costituzionali i principi
in base ai quali possono e devono
essere ricercate soluzioni il più
possibile condivise dei diversi
problemi che via via si pongono».
U
È indispensabile, in questo
quadro, che il Presidente affian-
chi continuamente ai propri po-
teri formali, che si estrinsecano
nell’emanazione di atti determi-
nati e puntuali espressamente
previsti dalla Costituzione, un
uso discreto di quello che è stato
definito il “potere di persuasio-
ne”, essenzialmente composto di
attività informali, che possono
precedere o seguire l’adozione,
da parte propria o di altri organi
costituzionali, di specifici prov-
vedimenti, sia per valutare, in via
preventiva, la loro opportunità
istituzionale, sia per saggiarne,
in via successiva, l’impatto sul si-
stema delle relazioni tra i poteri
dello Stato. Le attività informali
sono pertanto inestricabilmente
connesse a quelle formali».
Se le parole hanno un signifi-
cato, chi dei due relatori ha scritto
questo passo, che tutto sommato
poco c’entra con il giusto ragio-
namento con cui si è sbattuta la
porta in faccia a Ingroia e alla
procura di Palermo che pretende-
vano di intercettare Napolitano
solo perchè nessuna norma costi-
tuzionale afferma di vietarlo, sem-
bra non rendersi conto di avere
messo nero su bianco il principio
della possibilità del capo dello sta-
to di andare oltre le funzioni che
gli riconosce la Costituzione. E
che non implicano alcun potere di
esternazione e di “moral sausion”
essendo lui il garante e non l’ar-
bitro.
Questo passo prefigura di fatto
un’istituzionalizzazione ermeneu-
tica di poteri para presidenziali
per un Capo dello Stato di una re-
pubblica parlamentare senza che
si sia cambiata la Costituzione ad
hoc con le procedure previste.
In realtà la vera spiegazione è
in questo passo delle motivazioni
: «
Esiste piuttosto un’altra norma
processuale – cioè l’art. 271, com-
ma 3, cod. proc. pen., invocato dal
ricorrente – che prevede che il giu-
dice disponga la distruzione della
documentazione delle intercetta-
zioni di cui è vietata l’utilizzazione
ai sensi dei precedenti commi del-
lo stesso articolo, in particolare e
anzitutto perché «eseguite fuori
dei casi consentiti dalla legge»,
salvo che essa costituisca corpo di
reato. Per le ragioni fin qui illu-
strate, le intercettazioni delle con-
versazioni del Presidente della Re-
pubblica ricadono in tale ampia
previsione, ancorché effettuate in
modo occasionale».
Sono comprese in questo arti-
colo anche le conversazioni tra av-
vocato e cliente disposte in ma-
niera preventiva per acquisire
notizie di reato con il metodo a
strascico. Cambia solo il metodo
di distruzione che nel caso del pre-
sidente della repubblica, per gli
ovvi motivi di stato che presiedo-
no al segreto delle conversazioni,
non va fatto in contraddittorio
delle parti e neanche per iniziativa
del pm, ma con un rito che preve-
de la decisione del giudice su pro-
posta conforme della pubblica ac-
cusa.
La parte più ragionevole per
confutare le pretese della procura
di Palermo, che lamenta la man-
canza in Costituzione di alcun ri-
ferimento al Capo dello Stato in
materia di intercettazioni è questa:
Non sarebbe, in effetti, rispon-
dente ad un corretto metodo in-
terpretativo della Costituzione
trarre conclusioni negative sull’esi-
stenza di una tutela generale della
riservatezza delle comunicazioni
del Presidente della Repubblica
dall’assenza di una esplicita dispo-
sizione costituzionale in proposito.
Nessuno, ad esempio, potrebbe
dubitare della sussistenza delle im-
munità riconosciute alle sedi degli
organi costituzionali, solo perché
non è prevista in Costituzione e
rimane affidata esclusivamente
all’efficacia dei regolamenti di tali
organi, ove invece è sancita in mo-
do esplicito. Questa Corte ha già
chiarito che alle disposizioni con-
tenute nella Costituzione, volte a
salvaguardare l’assoluta indipen-
denza del Parlamento, «si aggiun-
gono poi, svolgendone ed appli-
candone i principi, quelle dei
regolamenti parlamentari», da cui
«
si suole trarre la regola della così
detta “immunità della sede” (va-
levole anche per gli altri supremi
organi dello Stato) in forza della
quale nessuna estranea autorità
potrebbe far eseguire coattivamen-
te propri provvedimenti rivolti al
Parlamento ed ai suoi organi».
Lo stesso discorso vale a mag-
gior ragione per la presidenza del-
la Repubblica, che la Costituzione
prevede possa essere messa sotto
accusa solo per alto tradimento
e attentato alla Costituzione. E
da parte della stessa Consulta,
che ha il potere di rimuovere
provvisoriamente l’inquilino pro
tempore dalla carica e, solo dopo,
di ordinare indagini su questi rea-
ti. Non di certo da parte di qual-
che pm in cerca di visibilità me-
diatica e politica.
DIMITRI BUFFA
La Corte Costituzionale
permette al Quirinale
il confronto informale
con le forze politiche
La motivazione
sotterranea”
è che così facendo
si evitano intromissioni
Il partito, luogo osceno per cervelli all’ammasso
he la forma partito fino ad oggi
sia stata un elemento connatu-
rato a ogni regime democratico è
fuor di dubbio. È però assolutamen-
te arbitrario inferire da questo dato
di fatto che essa sia un elemento im-
prescindibile della democrazia e
non, invece, solo una sua manife-
stazione contingente e dunque su-
scettibile di essere storicamente su-
perata. D’altronde è nella natura
umana considerare ciò che è fami-
liare come necessario e quindi non
sottoporlo ad un esame attento per
verificarne la validità nel tempo.
Simone Weil nel suo Manifesto
per la soppressione dei partiti poli-
tici del 1940 scriveva come il sem-
plice fatto che i partiti «esistano non
è in alcun modo un motivo per con-
servarli. Soltanto il bene è un moti-
vo legittimo di conservazione». Ca-
ratteristica di ogni partito è
l’esercizio di «una pressione collet-
tiva sul pensiero di ognuno degli es-
seri umani» che ne prendono parte.
«
Immaginiamo - aggiungeva infatti
la filosofa francese - il membro di
un partito, deputato, candidato al
parlamento o semplicemente mili-
tante, che prenda in pubblico il se-
guente impegno: “ogniqualvolta esa-
minerò un qualunque problema
politico o sociale, mi impegno a
scordare completamente il fatto che
sono membro del mio gruppo di
appartenenza, e a preoccuparmi
esclusivamente di discernere il bene
pubblico e la giustizia”. Questo lin-
guaggio sarebbe accolto in modo
molto negativo. I suoi, e anche molti
altri, lo accuserebbero di tradimen-
C
to. I meno ostili direbbero: “perché
allora, ha aderito a un partito?”,
ammettendo così ingenuamente che
entrando in un partito si rinuncia a
cercare unicamente il bene pubblico
e la giustizia».
Che l’adesione ad un partito co-
stituisse una rinuncia all’autonomia
di giudizio e una forma di prostitu-
zione intellettuale, una conformistica
accettazione del preilluminista prin-
cipio di autorità era ben chiaro alla
Weil; «un uomo che aderisce a un
partito ha verosimilmente visto
nell’azione e nella propaganda di
quel partito cose che gli sono parse
giuste e buone. Ma non ha mai stu-
diato la posizione del partito rela-
tivamente a tutti i problemi della vi-
ta pubblica. Entrando a far parte
del partito, accetta posizioni che
ignora. Sottomette così il suo pen-
siero all’autorità del partito. Quan-
do, poco a poco, conoscerà le posi-
zioni che oggi ignora, le accetterà
senza esaminarle. Se un uomo di-
cesse, richiedendo la sua tessera di
membro: “Sono d’accordo con il
partito su questo, questo e quest’al-
tro punto. Non ho studiato le sue
altre posizioni e riservo interamente
la mia opinione fino a che non ne
avrò portato a termine lo studio”,
lo si pregherebbe probabilmente di
ripassare in seguito».
Che ogni partito, in quanto volto
a drenare consensi e voti, fosse co-
stituzionalmente impedito a perse-
guire il perfezionamento morale del-
la persona, perfezionamento
possibile solo lì dove regna indipen-
denza di giudizio e autonomia di
pensiero, sarebbe stato ben chiaro
dalle nostre parti all’azionista e poi
radicale Ernesto Rossi che nel giu-
gno 1950 sul «Mondo» di Pannun-
zio denunciava come «le grandi
masse non si conquistano con i ra-
gionamenti, ma facendo appello agli
istinti e ai sentimenti più elementari,
con i metodi di imbonimento con i
quali vengono indotte a entrare nel
baraccone delle meraviglie, ad af-
follare la piazza in cui è impiccato
un “traditore del popolo” […]: slo-
gan di poche martellanti parole, car-
telloni a colori piatti, promesse ir-
realizzabili, suoni di trombe,
sventolio di bandiere». Anche, ma
non solo, da qui, Rossi faceva di-
scendere la necessità di «un ordina-
mento che garantisca le libertà civili
e politiche senza richiedere l’inter-
vento delle macchine per fabbricare
voti», cioè i partiti.
Flores D’Arcais, nelle pagine in-
troduttive alla recentissima raccolta
di scritti di Rossi, “Contro l’indu-
stria dei partiti”, non si spinge fino
a tal punto, prospettando una serie
di riforme che sarebbero comunque
un refolo di aria pulita nel lezzo
della palude partitocratica nostra-
na; risorse «in natura» piuttosto
che il finanziamento dei partiti, li-
mite dei due mandati elettivi per i
parlamentari, regime più severo
delle incompatibilità, riduzione dra-
stica del numero degli eletti (su
quest’ultimo punto nutriamo pe-
raltro qualche dubbio; esso sarebbe
certamente idoneo a diminuire i co-
sti della politica ma non, a diffe-
renza degli altri, ad incrementarne
necessariamente la qualità).
Eppure, riteniamo che sia oramai
praticabile il programma «massi-
mo» avanzato da Simone Weil.
Pur ammettendo che i partiti ab-
biano svolto una funzione positiva
nella costruzione dei regimi demo-
cratici (ad esempio negli anni del re-
gime change postbellico), oggi il lo-
ro ruolo ci appare storicamente e
moralmente esaurito. Moralmente
perché per loro natura refrattari a
sviluppare il senso critico; c’è infatti
forse uno spettacolo intellettualmen-
te più osceno di quello offerto da
una sede di partito, necessariamente
abitata da individui intenti a rassi-
curarsi vicendevolmente sulla bontà
delle loro posizioni e sulla malvagità
di quelle dell’avversario? Che lo Sta-
to, piuttosto, offra ai suoi cittadini
piazze, agorà, dove la comunità pos-
sa discutere liberamente invece che
recinti partitici dove portare il cer-
vello all’ammasso.
Storicamente, poi, i partiti non
sono più necessari alla democrazia
rappresentativa, anzi ne ostacolano
il potenziamento. La rivoluzione di-
gitale, l’iDemocracy, come scrive il
conservatore ma libertario deputato
britannico Douglas Wilson Carswell
in The End of Politics and the Birth
of iDemocracy, scardineranno molte
delle mediazioni parassitarie tra cit-
tadini ed eletti.
Per quale ragione, ad esempio,
se non la volontà dei partiti di mo-
nopolizzare la rappresentanza po-
litica, è necessario ancora oggi rac-
cogliere le firme (e quindi ‘passare’
attraverso le forche caudine parti-
tiche) per potersi candidare alle
elezioni?
La tecnologia informatica, infat-
ti, già oggi permetterebbe a coloro
che intendono presentarsi alle ele-
zioni di qualsiasi livello (nazionale
e locale) di stilare una scheda con-
tenente profilo personale e program-
ma elettorale e di caricare tale sche-
da in un database istituzionale.
Ai comizi elettorali gli aventi di-
ritto al voto potrebbero votare uno
tra quei candidati che avranno in-
serito per tempo la propria scheda
nel database. Sarebbero poi eletti i
più votati per un numero pari ai
seggi in palio.
Si obietterà; ma non si rischia
così di eleggere candidati con i pro-
grammi più improbabili e populisti?
Certamente, ma l’attuale mediazio-
ne partitica ci ha preservato forse
da questa degenerazione o non ci
ha regalato piuttosto il quarto de-
bito pubblico più alto al mondo?
LUCATEDESCO
Fino ad oggi la forma
partito è stata elemento
strutturale di ogni regime
democratico. Sarebbe
sbagliato, però, credere
che questa caratteristica
debba essere strutturale
della democrazia in sé
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 17 GENNAIO 2013
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