na guerra nel Mali non pote-
va e non può essere solo un
conflitto locale. Dal momento in
cui la Francia ha affrontato i guer-
riglieri di Al Qaeda e i loro alleati
nel Paese africano, tutta la rete del
terrore, ovunque nel mondo, inizia
a rispondere contro i francesi.
La prima crisi drammatica si è
aperta in Somalia, dove un agente
dell’intelligence francese, dopo un
fallito tentativo di salvataggio, è
stato sgozzato dai suoi rapitori. Si
chiamava Denis Allex, era stato
catturato dai guerriglieri Shebaab
(
i guerriglieri islamici somali, alleati
di Al Qaeda) tre anni e mezzo fa.
I francesi avevano cercato di libe-
rarlo, con un blitz scattato contem-
poraneamente all’inizio delle ope-
razioni militari nel Mali. L’attacco
è stato respinto dagli Shebaab. Due
militari sono morti nell’operazione
e gli jihadisti hanno fotografato e
fatto circolare su Twitter le maca-
bre immagini dei loro cadaveri. Al-
lex era ancora vivo, ma il fallito
blitz e il contemporaneo intervento
in Mali hanno fatto sì che i rapi-
tori votassero “all’unanimità” la
sua condanna a morte. L’esecuzio-
ne è stata annunciata ufficialmente
l’altro ieri, con tanto di rivendica-
zione pubblica: «L’ostaggio è vivo
ma abbiamo deciso di giustiziarlo
per la politica francese di oppres-
sione dei musulmani nel mondo,
la sua politica di oppressione del-
U
l’islam sul suo territorio e le ope-
razioni militari in Afghanistan e in
Mali». «Non cederemo» è la rispo-
sta del presidente François Hollan-
de, che spiega: «Avevo deciso
l’operazione (di salvataggio, ndr)
settimane fa, era prevista per quel
giorno, più esattamente per quella
notte - ha raccontato il presidente
-
avrebbe potuto riuscire, sarebbe
dovuta riuscire. Tuttavia, per quan-
to siano pesanti le conseguenze,
perché c’è stata la morte, l’assas-
sinio dell’ostaggio e i due soldati
uccisi, rivendico pienamente questa
operazione. È un messaggio che in-
viamo: la Francia non può accet-
tare che suoi cittadini siano dete-
nuti».
Ma intanto si apriva un’altra
crisi, dalle conseguenze ancora pre-
vedibili, in un altro Paese forte-
mente penetrato da Al Qaeda: l’Al-
geria. Anche qui le date tornano:
tre giorni dopo l’inizio delle ope-
razioni militari nel Mali, guerri-
glieri dell’Aqmi (Al Qaeda nel Ma-
ghreb Islamico) hanno assaltato
un pullman che trasportava impie-
gati a un impianto di estrazione
del gas della Bp ad Amenas, ucci-
dendo subito due suoi passeggeri
(
un inglese e un algerino). Dopo
che quell’attacco era stato respinto
dalle forze di sicurezza, i terroristi
di Aqmi hanno attaccato l’impian-
to, riuscendo a catturare 20 uomini
(
secondo le autorità di Algeri) o 41
(
secondo i sequestratori). Fra i pri-
gionieri tenuti in ostaggio non
c’erano solo francesi, ma anche in-
glesi, americani, giapponesi, nor-
vegesi. Gli algerini hanno cercato
di risolvere la questione con me-
todi militari, attaccando con l’eser-
cito l’impianto della Bp. Ed è stato
un disastro: almeno 35 ostaggi e
15
terroristi uccisi nell’azione.
Questi episodi potrebbero es-
sere solo un “antipasto”: i terro-
risti di Al Qaeda operano anche
in Europa. La Francia (e non so-
lo) potrebbe essere il luogo dei
prossimi attentati.
(
ste. ma.)
II
ESTERI
II
Armi,Obama vuol controllare anche il pensiero
di
STEFANO MAGNI
lla presenza dei bambini so-
pravvissuti alla strage della
scuola elementare Sandy Hook, il
presidente Barack Obama ha an-
nunciato solennemente le nuove mi-
sure restrittive sul possesso di armi.
Dopo una breve e intensa trattativa
condotta dal vicepresidente Joe Bi-
den con i gruppi interessati (dalla
National Rifle Association alle or-
ganizzazioni in difesa delle vittime),
Obama ha agito, il più possibile, in
modo unilaterale emettendo 23 or-
dini presidenziali che entreranno in
vigore senza passare neppure dal
Congresso. E poi ha proposto cin-
que leggi che dovranno essere ap-
provate dall’organo legislativo.
I 23 ordini presidenziali non so-
no destinati a sollevare alcuna po-
lemica costituzionale: rientrano tutti
nelle prerogative del capo dello Sta-
to. Nemmeno i conservatori li pos-
sono legalmente contestare. Tuttavia
includono inquietanti spunti per un
maggior controllo, anche mentale,
dei cittadini americani. Alcuni erano
prevedibili e incontestabili e mirano
a potenziare le indagini per preve-
nire le violenze commesse con armi
da fuoco. Il Dipartimento della Giu-
stizia è incaricato di analizzare me-
glio le informazioni sulle armi che
risultino perdute o rubate. Sono in-
cluse anche direttive per migliorare
la sicurezza tecnologica delle pistole
e dei fucili regolarmente venduti.
Ma da qui in poi inizia la sfilza di
controlli sulla salute mentale dei cit-
tadini americani. I dipartimenti del-
A
l’Istruzione e della Sanità sono in-
fatti invitati ad avviare uno studio
sulla mente, per cercare di indivi-
duare e rimuovere le cause della vio-
lenza e identificare gli individui po-
tenzialmente più pericolosi. Il
presidente, ad esempio, affida al
procuratore generale di rivedere la
classificazione di individui a cui do-
vrebbe essere vietato il possesso di
armi. Già era inclusa nella lista una
serie di categorie di persone: recidivi,
immigrati irregolari, persone giudi-
cate mentalmente instabili. Aggiun-
gendo altre categorie, l’arbitrio del
governo diventa ancora più ampio:
sarà un funzionario a decidere chi
è pericoloso e chi è innocuo. Il pro-
curatore generale è una carica poli-
tica. E viene il dubbio che un pro-
curatore democratico inizi a
considerare “pericolosi” i membri
del Tea Party (contro i quali si sca-
tena da anni una forte campagna
mediatica), le milizie di destra, le as-
sociazioni per la difesa del Secondo
Emendamento, cioè del diritto di
portare armi. Oltre al Secondo, ini-
zia ad essere messo in discussione
anche il Primo Emendamento (li-
bertà di espressione) della Costitu-
zione: il presidente ha infatti ordi-
nato ai Centers for Disease Control
di studiare le cause della violenza
investigando anche sull’impatto che
hanno sulla mente i videogiochi
violenti”, i film d’azione, le imma-
gini più disturbanti. Queste dispo-
sizioni creano un precedente per un
controllo molto più ampio su tutto
ciò che abbia contenuti ritenuti “pe-
ricolosi”. E non ci si poteva atten-
dere altro, d’altronde, da un’ammi-
nistrazione che ha subito dato la
colpa a un video su Maometto per
l’uccisione dell’ambasciatore in Li-
bia. Ma chi controlla il controllore?
I Democratici, così come i Repub-
blicani, sono condizionati (legalmen-
te) dalle lobby, che raccolgono fondi
per i politici. Dunque, come e in ba-
se a quali criteri verranno scelti pro-
dotti dai contenuti “pericolosi”? I
Democratici avranno la faccia tosta
di attaccare anche i produttori e i
registi di film d’azione di Hollywo-
od, loro maggiori sponsor elettorali?
E poi: definiscimi “pericoloso”. I
conservatori, da che mondo e mon-
do, hanno sempre voluto censurare
il sesso. I democratici vogliono ban-
dire le scene di violenza. L’ideologia
entrerà a gamba tesa in questo di-
battito. Ci sarà sicuramente chi si
affretterà a proibire i suoi oggetti
dell’odio, nel nome della sicurezza
dei cittadini e della prevenzione della
violenza.
Oltre ai suoi 23 ordini, il presi-
dente chiede al Congresso di intro-
durre cinque nuove leggi, come ab-
biamo visto. La prima intende
vietare il commercio di armi d’as-
salto “di tipo militare”, a partire da
quelle che sono state usate nelle stra-
gi più recenti. La seconda intende
limitare il numero e la qualità di
munizioni che un negozio di armi
può legalmente vendere. I caricatori
dovranno contenere non più di 10
proiettili e sarà bandita la vendita
di pallottole perforanti. La terza
vuol imporre controlli sulla salute
mentale dei clienti in tutti i negozi
e luoghi in cui si vendono armi. Poi
si chiede l’inasprimento delle pene
per i trafficanti di armi. E infine il
presidente chiede al Congresso di
rinnovare l’incarico del capo della
Atf, l’ufficio federale per il controllo
di alcolici, tabacco e armi.
Obama sa che la battaglia in
Congresso sarà dura e premette che
i suoi avversari, di fatto, non hanno
diritto di parola. Lo lascia intendere,
quando afferma che: «Ci saranno
media, politici e gruppi di pressione
che metteranno in guardia da un
presunto assalto totale alla libertà.
Non perché ciò sia vero, ma per ali-
mentare paure, consensi e interessi
personali. E, dietro le quinte, faran-
no tutto il possibile per fermare ogni
riforma di buon senso e far sì che
niente cambi». Questo, detto alla
presenza dei bambini scampati al
massacro di Sandy Hook, altro non
è che un argomento per intimida-
zione: se non sei d’accordo con me,
sei solo un povero mostro egoista.
La serenità con cui verrà affrontato
il dibattito in Congresso si può solo
immaginare.
Resta, però, una sola domanda:
ma tutte queste leggi… servono? I
conservatori hanno qualche dubbio
in merito. E non solo per fare gli in-
teressi delle (legali e legittime) lobby
delle armi. La peggior strage di ter-
rorismo interno americano, quella
di Oklahoma City, è stata compiuta
con esplosivo ricavato da fertiliz-
zanti. Nessuna legge può proibire
agli agricoltori statunitensi il loro
uso. Con le regole proposte da Oba-
ma, saranno sottoposti a maggiori
controlli i cittadini che acquistano
regolarmente (e denunciano alle au-
torità) le loro armi per la difesa per-
sonale. Ma i criminali, come non
sono controllati ora, non lo saranno
nemmeno dopo l’introduzione delle
nuove norme. In compenso avranno
più possibilità di rapinare o uccidere
innocenti cittadini disarmati. Nes-
suno può dimostrare con certezza
quanto un film o un videogioco pos-
sano distorcere la mente di una per-
sona, trasformandola in un poten-
ziale assassino. Se, da umani, siamo
dotati di libero arbitrio, non è pos-
sibile trovare scontate correlazioni
fra cause ed effetti sul nostro com-
portamento. Avremmo semplice-
mente più censure, ma nessuno po-
trà impedire a un futuro Breivik di
leggere e citare filosofi liberali e poi
compiere una strage.
Se i francesi attaccano inMali
Al Qaeda risponde ovunque
FreedomHouse
boccia l’ex Urss
Chi e come può definire
con certezza una persona
pericolosa”prima
che commetta un reato?
Chi dice che film e giochi
violenti possano
trasformare un individuo
pacifico in un assassino?
K
Denis ALLEX
ell’ultimo rapporto di Free-
dom House sulla libertà nel
mondo, l’area ex sovietica risulta
essere la regione più repressiva del
mondo. Peggio ancora del Medio
Oriente. L’organizzazione statuni-
tense che stila, annualmente, la clas-
sifica degli Stati in base al loro ri-
spetto dei diritti civili e politici,
relega in fondo, assieme a Cuba e
alla Corea del Nord, quasi tutte le
repubbliche dell’ex “impero rosso”.
E la tendenza è negativa: peggiora-
no invece che migliorare. Le uniche
felici eccezioni sono Estonia, Let-
tonia e Lituania, all’altezza delle
democrazie occidentali. Migliora-
menti netti si registrano anche in
Georgia, che, da un decennio, aspi-
ra ad entrare nell’Ue. Sensibili au-
menti di libertà si riscontrano anche
in Moldavia (la repubblica sospesa
fra Ucraina e Romania) e in Arme-
nia. Ma il resto della regione, a par-
tire dalla Russia, è una gabbia di
repressione. La bocciatura netta
della grande federazione guidata
da Putin e Medvedev, quest’anno
arriva soprattutto per l’espulsione
degli operatori di Usaid, considerati
come degli “agenti stranieri”. La
campagna anti-americana di Putin
si è spinta fino al divieto di adottare
bambini russi da parte di famiglie
statunitensi, in quella che è già stata
battezzata (senza troppe ironie) “la
guerra fredda degli orfani”. La
Russia resta nel mirino delle asso-
N
ciazioni dei diritti umani anche per
la costante repressione sui movi-
menti di opposizione e persino su
cittadini “anticonformisti”, come
il gruppo di ragazze punk Pussy
Riot, condannate, senza sconto al-
cuno, a due anni di lavori forzati.
Proprio ieri, a una delle tre arresta-
te, Maria Aliokhina è stato negato
il permesso di dilazionare la pena
per accudire il figlio di 5 anni. Ma
la Russia non è sola: è male accom-
pagnata dalle altre repubbliche ex
sovietiche. La libertà politica, se-
condo Freedom House, sta scom-
parendo dall’Ucraina governata dal
presidente post-sovietico Viktor Ya-
nukovich. È in declino anche nel
più tranquillo Kazakhstan, a causa
della censura imposta ai media e
alla dura repressione delle recenti
proteste dei lavoratori. Bielorussia,
Turkmenistan e Uzbekistan sono
nella “hall of infame” degli Stati
più repressivi del mondo, allo stesso
livello di luoghi ameni quali la Co-
rea del Nord, la Somalia e la Siria.
Anche nella classifica dei territori
contesi (Stati non riconosciuti in-
ternazionalmente) spicca, per re-
pressione, l’Ossezia del Sud, auto-
proclamatosi indipendente dopo
l’invasione russa della Georgia nel
2008.
Anche a ventun anni dal
crollo del regime comunista, la via
della libertà è ancora lunga e diffi-
cile. E spesso torna indietro.
MARIA FORNAROLI
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 18 GENNAIO 2013
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