Pagina 5 - Opinione del 18-8-2012

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ESTERI
II
Parla Davis: l’Obama del sud
passato tra i repubblicani
di
ALESSANDRO TAPPARINI
uella dell’ex democratico che
interviene alla convention
nazionale repubblicana è una an-
tica tradizione: è rimasto storico,
ad esempio il discorso che Jeane
Kirkpatrick, la madrina dei neo-
conservatori – nominata da Rea-
gan nel 1981 ambasciatrice ame-
ricana all’Onu benché ancora
iscritta al partito democratico -
tenne nel 1984, alla convention
nazionale repubblicana per la rie-
lezione di Reagan. In polemica
con le posizioni assunte dal suo
partito alla convention di San
Francisco, Kirkpatrick prese la pa-
rola tra i repubblicani per esecrare
la tendenza dei democratici a
Bla-
me America First
, ad incolpare in-
nanzitutto l’America di tutti i mali
del mondo. Nella storia più recen-
te c’è il caso di Zel Miller, il sena-
tore democratico della Georgia
che alla convention nazionale del
1992 per la candidatura di Bill
Clinton alla Casa Bianca aveva
avuto l’onore di tenere il discorso
inaugurale, il
keynote speech
e che
12 anni dopo si esibì come
key-
note speaker
alla convention re-
pubblicana del 2004 per la riele-
zione di George W. Bush.
Quest’anno il democratico deluso
che parlerà pro Romney e contro
Obama si chiama Artur Davis:
afroamericano, cresciuto da una
Q
madre single come Obama, avvo-
cato quarantaquattrenne laureato
ad Harvard, è stato un parlamen-
tare democratico per quattro man-
dati consecutivi, dal 2003 al 2011,
eletto nel settimo distretto del-
l’Alabama, sempre con almeno il
75% dei voti, per due volte addi-
rittura senza rivali. Nel 2008 Da-
vis fu tra i primi supporter di
Obama fuori dall’Illinois, fu un
co-chair
, un dirigente della sua
campagna elettorale, e fu fra gli
oratori della Convention Nazio-
nale Democratica di Denver che
ne consacrarono la fortunata can-
didatura presidenziale (in perfetto
stile Obamiano tenne un discorso
autobiografico, ricordando di aver
guardato la convention del 1988
sul televisore della camera di un
motel perché la sua famiglia era
stata sfrattata). Poi, qualcosa é an-
dato storto. Nel 2010 Davis ri-
nunciò a ricandidarsi al Congresso
per tentare invece di divenire il
primo governatore nero dell’Ala-
bama. In un’intervista dichiarò
che Obama sarebbe stato il suo
modello in quella nuova sfida. La
sua scelta riscosse il plauso dei
media e subito egli venne etichet-
tato come “l’Obama dell’Alaba-
ma”. Ma alle primarie democra-
tiche per la candidatura a
governatore, nonostante i sondag-
gi lo dessero in vantaggio, egli fu
battuto con un umiliante 37%, e
dovette cedere il passo al compa-
gno di partito Ron Sparks, bianco
e più di sinistra. Dopo quella di-
sfatta Davis lasciò l’Alabama e si
trasferì in Virginia; più che il par-
tito, pareva intenzionato ad ab-
bandonare la politica attiva. E in-
vece in primavera a sorpresa ha
annunciato che intende passare al-
l’altro partito; ieri il suo nome è
apparso tra quelli degli oratori al-
la convention di Tampa. Prevedi-
bili gli argomenti del suo interven-
to: Obama non ha portato il
cambiamento promesso, si è di-
mostrato il solito politicante ca-
pace solo di aumentare le tasse,
non ha saputo combattere la di-
soccupazione. Presto si saprà se
alla convention democratica un
repubblicano deluso avrà un ruolo
analogo.
Pussy Riot: un verdetto che farà discutere
K
Tre componenti della punk band femminile sono state con-
dannate oggi a due anni di carcere dopo essere state riconosciute
colpevoli del reato di teppismo motivato dall’odio religioso.
Johnson ritorna
a picconare i Tory
Afroamericano, cresciuto
da una madre single
come il presidente,
laureato ad Harvard,
ex parlamentare
democratico. Sarà
uno dei protagonisti
della convention del Gop
Ahmadinejad non fa paura
Israele è pronto ad attaccare
oris Johnson (forse) questa
volta fa sul serio. La Londra
di cui è sindaco ha appena salu-
tato il Giochi Olimpici e, se dalle
parti di Westminster il primo mi-
nistro David Cameron ha in pro-
gramma di dare una aggiustatina
al suo governo, il primo cittadino
Johnson ha infilato una stoccata
che avrà strappato qualche sono-
ro applauso nel partito conserva-
tore.
Detta fuor di metafora: ha in-
vitato Cameron a smetterla di fa-
re la “fighetta” sull’economia, di
non essere troppo timoroso e di
sistemarla. Puntando ad esempio
su un piano concreto per le infra-
strutture: Johnson ha infatti in
mente un nuovo aeroporto da co-
struire lungo il Tamigi, in prossi-
mità dell’estuario del fiume che
attraversa la capitale britannica.
Dichiarazioni raccolte dall’
Eve-
ning Standard
, free press che re-
gistra una diffusione superiore al-
le 600.000 copie.
Il governo britannico lo scorso
mese ha rimandato la pubblica-
zione di un report sullo stato del-
le cose per quanto riguarda il si-
stema dei trasporti inglesi, mentre
Justine Greening, che ricopre il
ruolo di
transport secretary
, se-
condo le voci che giungono dal-
l’interno dell’establishment con-
servatore, si sarebbe fermamente
opposta ad una nuova superstra-
B
da che colleghi Heathrow con
Londra, opzione presa invece in
seria considerazione sia da Ca-
meron che da George Osborne,
il
chancellor
– ovvero il ministro
dell’Economia britannico.
Sull’onda della popolarità che
lo accompagna all’indomani della
fine dei Giochi (gli ultimi sondag-
gi effettuati tra i laburisti lo in-
dicano infatti come l’avversario
più pericoloso per il segretario
della sinistra d’Oltremanica, Ed
Miliband), Johnson non ci pensa
nemmeno a mollare l’osso, e alla
domanda se abbia intenzione di
tornare in Parlamento risponde
che al momento non ha alcuna
intenzione di interrompere il suo
secondo mandato come sindaco
di Londra. Ma la prossima mossa
sarà proprio quella: tornare nella
House of Parliament
.
Rimane da capire con che gra-
do, se da semplice deputato o co-
me leader – della maggioranza o
dell’opposizione, è tutto da vede-
re. Che Boris Johnson sia il can-
didato più accreditato per sfidare
Cameron alla guida del partito
sembra però ormai essere una co-
stante.
Perché ciò accada occorre che
il primo rientri appieno nel giro
parlamentare, cosa che gli è im-
possibile stando nel suo ufficio
di sindaco londinese.
DARIO MAZZOCCHI
olto di mezzo Israele cosa re-
sta? Il vuoto. Mahmoud Ah-
madinejad venerdì dichiara che gli
ebrei sono un insulto per l’umanità,
un «tumore canceroso» che deve
essere fermato prima che si diffon-
da. Il presidente iraniano fa la voce
grossa ormai da anni, ma di fatti
se ne sono visti pochi. Anche delle
sue strategie di comunicazione si è
parlato molto, di come utilizzi la
politica antisraeliana per legittima-
re il potere del suo governo in pa-
tria. Ma a questo punto il vero no-
do da sciogliere riguarda gli odiati
nemici: il popolo israeliano. Il fatto
è facilmente spiegabile. Se hai un
vicino di casa che non ti lascia vi-
vere, che minaccia i tuoi cari, che
rovista nella tua spazzatura e ruba
i tuoi giornali fuori dal portone,
cosa fai? Puoi ignorarlo, dato che
si tratta di un pazzo furioso, ma
alla lunga inizi a pensare che forse
sarebbe meglio dargli una bella le-
zione in modo da poter vivere sen-
za inutili preoccupazioni. La que-
sitone irano-israeliana si avvicina
molto a questo quadro ed ecco
perché, ad oggi, Tel Aviv è stanca
delle continue ingiurie iraniane.
Ahmadinejad parla all’Univer-
sità di Teheran in occasione delle
celebrazioni per l’ultimo giorno del
Ramadan. «Oggi ci opporremo al
sionismo e al regime per proteggere
i diritti umani e difendere la dignità
delle persone». In Iran, l’ultimo ve-
T
nerdì di questa ricorrenza è noto
come la Giornata del Giudizio e
nel tempo è diventata a tutti gli ef-
fetti il giorno in cui gli arabi espri-
mono il loro dissenso contro lo sta-
to di Israele sostenendo la causa
palestinese. O, usando le parole del
presidente iraniano: «il momento
di unità per rimuovere il tumore
sionista dalla società». Israele con-
sidera l’Iran una minaccia. Su que-
sto non ci sono dubbi, ma la situa-
zione si complica ulteriormente se
introduciamo due nuovi ingredienti
nel calderone mediorientale: im-
plementazione del programma nu-
cleare e posizione degli Stati Uniti
d’America. La politica del presi-
dente Obama, il bastone e la carota
delle sanzioni hanno allungato i
tempi del programma, fanno gua-
dagnare qualche anno in attesa che
qualcosa a Teheran cambi. Il caso
o un nuovo regime potrebbero ri-
solvere il problema, ma Washin-
gton scarseggia di soluzioni reali
ed è qui che si inserisce la linea du-
ra di Gerusalemme.
Convivere con la paura di un
avversario dotato di armi nucleari
è troppo da sopportare. Questo è
il senso delle dichiarazioni del pri-
mo ministro israeliano, che torna
a ipotizzare un attacco preventivo
contro le centrali iraniane. Benja-
min Netanyahu, in diversi incontri
a porte chiuse, ha ripetuto che
Israele deve riadattare la strategia
utilizzata già nel 1981, quando
bombardò il reattore iracheno di
Osirak. Allora come adesso, l’in-
telligence e i militari si opposero
ritenendo che la mossa migliore
fosse ritardare il programma di un
paio d’anni. Sostenevano che nel
lungo periodo nulla sarebbe cam-
biato e che i rischi operativi erano
troppo alti. Esattamente ciò di cui
si parla ora. Il primo ministro ri-
tiene invece che un’azione militare
sia legittima e che l’attendismo po-
trebbe lasciare spazio a imprevisti
che finirebbero di complicare la si-
tuazione. «Un attacco immediato
potrebbe mostrare alle opposizioni
iraniane quanto il regime sia vul-
nerabile, e accelerare il cambiamen-
to». La priorità del premier resta
una: difendere Israele.
MICHELE DI LOLLO
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 18 AGOSTO 2012
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