Page 5 - Opinione del 18-10-2012

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ESTERI
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La“moderatrice”tifaObama
Siamo in pienoMedia Evo
di
STEFANO MAGNI
ome fai a vincere una partita,
se l’arbitro stesso, non solo ti
annulla i gol, ma alla fine si mette
a giocare con l’altra squadra? La
metafora calcistica, che ogni italiano
capisce, fa toccare con mano come
si sia svolto il secondo dibattito pre-
sidenziale fra Barack Obama e Mitt
Romney alla Hosftra University
(
stato di New York). La moderatri-
ce Candy Crowley, della Cnn, si è
impropriamente rivolta al candidato
repubblicano con un anonimo “Mr.
Romney” (il regolamento prescrive
di chiamare “governatore” un ex
governatore), si è messa a riformu-
lare le domande del pubblico e... ha
dato ragione a Barack Obama, su
una risposta fra le più decisive.
Il sospetto che la giornalista del-
la Cnn fosse di parte c’era sin da
subito. Durante la campagna elet-
torale di Obama del 2008 era an-
data ad assistere alla sua inaugura-
zione, non perché in servizio, ma
da privata cittadina. Quando il pre-
sidente venne accusato di aver fatto
trapelare segreti di Stato (la “kill
list” dei terroristi), lei lo giustificò
così: «Di solito si chiude un occhio
su un presidente che fa filtrare ma-
teriale confidenziale». La “modera-
trice”, nei giorni precedenti il dibat-
tito, già aveva fatto sapere che
avrebbe violato le regole di ingag-
gio: ha anticipato di voler interve-
C
nire con sue domande ai candidati.
Nel regolamento non c’era scritto
che il moderatore non potesse svol-
gere anche il ruolo del fact-checker
(
accertatore dei fatti esposti durante
il dibattito). Lei ha approfittato di
questa lacuna… per fare del puro
fact-checking a favore di Obama.
È andata così: mentre Romney rim-
proverava a Obama l’incapacità di
riconoscere un atto terroristico die-
tro all’uccisione dell’ambasciatore
Christopher Stevens a Bengasi,
Obama giurava di aver parlato su-
bito di terrorismo. La Crowley è in-
tervenuta a suo favore, conferman-
do che Obama dicesse il vero.
Ma… è vero? Non proprio, stando
alle parole pronunciate, allora, da
Obama. Il 12 settembre, 24 ore do-
po l’uccisione dell’ambasciatore a
Bengasi, il presidente ha pronuncia-
to un discorso in cui, prima di tutto,
chiedeva scusa per l’oltraggio a
Maometto (il pretesto per l’attacco):
«
Sin dalla nostra fondazione, gli
Stati Uniti sono una nazione che ri-
spetta tutte le fedi. Noi respingiamo
ogni denigrazione al credo religioso
altrui». Poi ricordava gli attacchi
dell’11 settembre. E infine ha pro-
nunciava la generica frase: «Nessun
atto terroristico minerà la risolutez-
za di questa grande nazione». Ri-
ferito all’11 settembre, probabil-
mente. È ben diverso dal
riconoscere che l’attacco di Bengasi
fosse un atto terroristico pianificato
in anticipo. Per ben due settimane
l’amministrazione, ha chiaramente
parlato dei fatti di Bengasi come di
evento spontaneo”. La Crowley,
però, ricorda diversamente.
Il caso Crowley non va sottova-
lutato. Non si tratta solo di gridare
arbitro venduto!” quando il tuo
candidato perde. Si deve piuttosto
aprire una seria riflessione sul ruolo
politico dei media. A parte il mo-
deratore del primo dibattito, Jim
Lehrer, sia Martha Raddatz che
Candy Crowley hanno giocato un
ruolo attivo”. La maggioranza de-
gli altri media, le premiano proprio
per i loro interventi a gamba tesa.
È un nuovo modo di fare giornali-
smo? A questo punto no: ci trovia-
mo di fronte a un gruppo politico,
che fa campagna elettorale usando
i media.
Chiese unite contro le Pussy Riot
K
Benedetto XVI e il Consiglio delle Conferenze Episcopali
Europee hanno espresso solidarietà alla Chiesa ortodossa russa
sul caso delle Pussy Riot, detenute per atti dissacranti
Tutti i referendum
dell’Election Day
Una giornalista Cnn,
teoricamente neutrale,
che risponde al posto
del presidente e viola
le regole, viene premiata
dai mass media.
È questo il nuovo modo
di fare giornalismo?
Complottista e anti-sionista
il nuovo inviato Usa all’Osce
entre in Italia ci si impegna
frequentemente a spendere
più soldi (pubblici) possibili, diver-
sificando la data di qualsiasi elezio-
ne locale, o nazionale, negli Stati
Uniti si prova, fin dalla fondazione,
a risparmiare. È anche per questo
che il 6 Novembre, giorno dell’Elec-
tion Day, i cittadini americani sa-
ranno chiamati a esprimersi anche
per una moltitudine di referendum
e proposte di legge locali.
Al contrario di quello che suc-
cede in Italia, negli Usa la demo-
crazia diretta vale anche in materia
fiscale.
In Arizona i riflettori sono pun-
tati sulla “Proposition 204”: man-
tenere o abolire un recente aumen-
to dell’IVA, di un punto
percentuale, al fine di finanziare il
sistema educativo locale?
Comprensibili gli schieramenti.
M
Da un lato i lavoratori della scuola,
e dell’indotto dell’intera industria.
Dall’altro commercianti, aziende e
contribuenti locali non troppo con-
vinti. Tra questi, l’ex amministra-
tore delegato di Intel, Craig Barrett,
il quale ha recentemente dichiarato
che un tipo di finanziamento del
genere, separato da un meccanismo
di premi e incentivi all’efficienza,
non può funzionare. Ma le inizia-
tive di democrazia diretta non si
fermano qui. In California i quesiti
sono ben 11 e si distribuiscono sui
temi più vari, dall’utilizzo di eti-
chette particolari per gli OGM al-
l’introduzione dell’obbligo di lavoro
per i detenuti. Anche i quesiti in
materia di diritti civili e di libertà
hanno occupato un posto di primo
piano. In Maine si consultano gli
elettori per confermare la legge di
autorizzazione ai matrimoni omo-
sessuali. In Massachusetts e in Co-
lorado si vota per legalizzare la ma-
rijuana, e in Montana per vietarla.
Una cosa è certa: nelle demo-
crazie occidentali, l’uso del referen-
dum può essere un vantaggio. Uno
Stato più vicino alle esigenze del
cittadino-contribuente può e do-
vrebbe quindi esistere, ma ad alcu-
ne condizioni: dovrà essere decen-
tralizzato, trasparente, e aperto ai
cambiamenti che la società, prima
ancora che il Parlamento, vuole
portare avanti.
ELISA SERAFINI
Obama mancava solo un con-
sulente islamista per i diritti
umani. Magari da mandare a Var-
savia alla prossima riunione Onu
in materia. Adesso la lacuna è stata
colmata, proprio in piena campa-
gna elettorale, con l’ennesimo au-
togol che ha un nome e un cogno-
me: direttore Salam Al Marayati. È
attualmente il direttore del Muslim
Public Affairs Council. In passato
ha affermato che per gli attentati
alle Torri Gemelle erano da sospet-
tare in primo luogo gli ebrei. L’am-
ministrazione Obama lo ha scelto
per partecipare alla annuale confe-
renza sui diritti umani preparata
dalla Organizzazione per la Sicu-
rezza e la Cooperazione in Europa
(
Osce). Egli ha detto, ai partecipanti
dell’Osce a Varsavia, che «l’incita-
mento all’odio che intende degra-
dare, intimidire, o incitare alla vio-
lenza nei confronti di qualcuno in
base alla sua religione, è veramente
dannoso». Dieci anni fa forse non
ne era ancora così convinto.
Infatti il New York Times, in un
articolo dell’epoca, riportò le sue
incredibili frasi pronunciate a una
radio statunitense poco dopo l’11
settembre: «Al Marayati disse una
volta un conduttore radiofonico,
Se dovessimo guardare i sospetti
dietro gli attacchi dell’11-9, si do-
vrebbe guardare ai gruppi che pos-
sono trarre i maggiori benefici da
questo tipo di incidenti, e credo che
A
dovremmo mettere lo Stato di
Israele sulla lista dei sospetti, perché
credo che quanto è successo distol-
ga l’attenzione da ciò che sta acca-
dendo nei territori palestinesi, in
modo che possa andare avanti con
la loro aggressione e occupazione
e con le politiche di apartheid”».
Solo due anni prima di quella
dichiarazione un altro (oggi ex) de-
putato democratico, Dick Ge-
phardt, aveva proposto Al Mara-
yati come membro di una
commissione che si sarebbe dovuta
occupare di “riesaminare le politi-
che degli Stati Uniti contro il terro-
rismo”.
Nel suo curriculum di difensore
dei diritti umani si registra anche
una richiesta da parte del suo Mu-
slim Public Affairs Council (Mpac)
affinché gli Stati Uniti rimovessero
Hamas e Hezbollah dalla lista dei
gruppi terroristici banditi in Ame-
rica.
Inoltre il “Progetto Indagine sul
Terrorismo” ha scoperto che al Ma-
rayati, in passato, ha definito gli at-
tacchi di Hezbollah “legittima re-
sistenza”.
Recentemente risulta alle crona-
che che egli abbia anche criticato
l’arresto di 11 musulmani facino-
rosi che avevano urlato epiteti raz-
zisti contro l’ambasciatore israelia-
no Michael Oren davanti
all’Università della California a Ir-
vine, impedendogli di parlare per
20
minuti prima che la polizia lo
scortasse fuori dall’edificio. Persino
John Block (come riferisce il sito
israeliano Arutz Sheva, che è stato
quello che ha scoperto l’ennesima
trovata di Obama) ex funzionario
dell’amministrazione Clinton che
ora è amministratore delegato del
Progetto Israele, ha stigmatizzato
la scelta di Obama, con le parole
più semplici: «È inspiegabile che
una persona che ha accusato Israele
per gli attacchi dell’11 settembre e
sostenuto la de-criminalizzazione
per le organizzazioni terroristiche,
Hamas e Hezbollah, che hanno uc-
ciso più americani di qualsiasi altro
gruppo terroristico in tutto il mon-
do ad eccezione di al Qaeda, sia
stato scelto per rappresentare gli
Stati Uniti».
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 18 OTTOBRE 2012
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