Page 7 - Opinione del 19-10-2012

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SOCIETÀ
II
Lamorte del patto stato-mafia
allafine dellaPrima repubblica
di
RUGGIERO CAPONE
lle ore 13 del 17 luglio 2012,
Claudio Martelli (guardasigilli
nel 1991) dichiara al tiggì de La7
che «tra stato e mafia altro che
trattativa, c’è o ci fu conniven-
za...». Una dichiarazione che lascia
trapelare come il Psi (partito di ri-
ferimento di Martelli) fosse fuori
dall’antico gioco tra Democrazia
cristiana e mafia. Che il patto tra
stato e mafia (pardon tra Dc e ma-
fia) fosse fondativo nella storia
della repubblica italiana, lo ave-
vano già denunciato Peppino Im-
pastato e Umberto Santino (fon-
datore del centro documentazione
sulla mafia intitolato alla memoria
di Impastato). Anzi, in una pub-
blicazione di Giuseppe Montalba-
no (studente e poi ricercatore alla
scuola Normale di Pisa) c’è Santi-
no che rammenta come «il patto
stato-mafia vada declinato al plu-
rale, può essere tracciato in ma-
niera trasversale lungo l’intero ar-
co della storia della repubblica:
diversi sono invece i rapporti di
forza che si sono delineati dalla
Liberazione ai giorni nostri, come
differenti sono le interpretazioni
date dagli studiosi sulla natura del
fenomeno».
Ovviamente sia Montalbano
che Santino si riferiscono alla ma-
fia siciliana, e traggono dalle di-
chiarazioni del pentito Tommaso
Buscetta (uomo di Cosa Nostra)
uno schema del rapporto che si in-
staura nel dopoguerra in Sicilia,
dopo la parentesi indipendentista
e col compiersi dell’egemonia de-
mocristiana. È evidente che il pat-
to stato-mafia denunciato dall’ex
guardasigilli Martelli sia un feno-
meno antico, ed emerso tra fine
anni ‘80 ed il ‘92 perché, al crepu-
scolo della Prima repubblica, la
Diccì non riusciva più ad evitare
venisse infranta la riservatezza su
segreti di stato alla base del regime
democratico.
«
Un rapporto di sudditanza
della politica a un sistema di po-
tere che ha trovato dopo lo sbarco
degli alleati un terreno fertile su
cui riattecchire», osserva Giuseppe
Montalbano. Agli atti del Centro
documentazione Impastato risulta
del resto che, in data 26 aprile
1984,
lo stesso primo presidente
della Regione Sicilia, l’avvocato
Giuseppe Alessi, abbia pubblica-
mente esposto a Caltanisetta (du-
rante un convegno sul dopoguerra
A
in Sicilia) la storia dello “scontro
col partito del Vallone”: un insie-
me di comuni del nisseno, patria
dei capimafia più potenti del do-
poguerra. In quell’occasione è sta-
to Giuseppe Alessi (fondatore delle
Dc in Sicilia) a parlare di asservi-
mento a Calogero Vizzini, uomo
che ebbe un ruolo centrale insieme
alla Chiesa siciliana (imperniata
nella figura di monsignor Jacono,
allora vescovo di Caltanissetta)
nella stesura del patto stato-mafia
dopo il tramonto del milazzismo
(
politica indipendentista).
«
Questo rapporto interattivo
comincia con la formazione dello
Stato unitario ed è preceduto da
una lunga fase di incubazione
(
quelli che chiamo fenomeni pre-
mafiosi sono documentabili fin da
XVI secolo) - spiega Umberto San-
tino -. La mafia nell’immediato
dopoguerra è un soggetto decisivo
nella nomina di sindaci e ammini-
stratori. Quindi il problema non
è solo Caltanissetta, come nel-
l’analisi di Alessi, è l’assetto di po-
tere nazionale e regionale, con l’af-
fermazione del centrismo, cioè
della supremazia democristiana:
non vedo pertanto una mafia on-
nipotente che detta le leggi alla po-
litica e la politica che obbedisce
ed esegue. Direi piuttosto che c’è
un matrimonio consensuale - pre-
cisa Santino - che consente all’as-
setto politico di riprodursi e per-
petuarsi e alla mafia di prosperare
e di inserirsi in posizione privile-
giata dentro un quadro sociale in
mutamento, con la spesa pubblica
che diventa la risorsa fondamen-
tale, una volta ridimensionata
l’agricoltura e sviluppatosi il set-
tore terziario-parassitario».
Secondo Santino sulla “tratta-
tiva stato-mafia” la verità starebbe
nella «convivenza pacifica tra ma-
fia e politica governativa che dura
fino alla fine degli anni ‘70 e ai
primi anni ‘80, quando l’accumu-
lazione illegale straripa e la mafia
chiede molto di più, abbattendo
gli ostacoli che incontra al suo
processo di espansione, anche al-
l’interno dello schieramento al po-
tere». Così per Santino la tratta-
tiva
dell’89-’92
andrebbe
inquadrata nella «lievitazione
dell’accumulazione illegale, che
porta a una lievitazione della ri-
chiesta di spazi di potere, e si mi-
schia con la volontà di dominio
dei corleonesi, fino ad allora pa-
renti poveri della mafia cittadina:
i corleonesi impongono una ditta-
tura monarchica a un’organizza-
zione tradizionalmente repubbli-
cana e colpiscono a morte anche
chi all’esterno si oppone o non è
affidabile». «Vincono la guerra in-
terna ma con il delitto Dalla Chie-
sa e con le stragi del ‘92 e del ‘93
-
spiega Santino - suscitano effetti
boomerang: la legge antimafia, ap-
provata dieci giorni dopo il delitto
Dalla Chiesa, il maxiprocesso, gli
arresti e le condanne».
E che la “trattativa stato-ma-
fia” fosse un affare ereditato da
lontano emerge nel 1992: sono
proprio le parole di Giulio Andre-
otti, e nell’ormai storica intervista
a
Panorama
,
a rivelarci che con
l’omicidio di Salvo Lima (Diccì an-
dreottiano della prima ora) finiva
un mondo, forse lo stesso tacito
patto tra stato e mafia. In quel tra-
gico marzo del 1992, sia Giorgio
La Malfa che Leoluca Orlando
avevano detto «Lima non può es-
sere accostato a vittime della mafia
come Dalla Chiesa, La Torre, Pier-
santi Mattarella...». Frase che An-
dreotti bollò come una calunnia
verso il suo amico Lima, ed a ca-
davere ancora caldo. «Mentre nes-
suno ricorda che Lima è stato
l’unico a fare il piano regolatore
per Palermo - dichiarava Andreotti
a Panorama -. E che dopo 40 anni
di politica non solo nessuno era
riuscito a intaccarne la forza e la
figura, ma è tuttora in piedi il pro-
cesso per calunnia, per quel tenta-
tivo di colpirlo alle spalle con due
pentiti. Grazie all’onestà di un giu-
dice il tentativo è stato smasche-
rato. Ma adesso che Lima è morto
è necessario che la pagina proces-
suale non sia chiusa».
Maurizio Chierici rammenta,
sul
Corriere della Sera
del 14 mar-
zo 1992, come «Orlando parago-
na l’omicidio Lima a quello del
banchiere Roberto Calvi, presiden-
te del Banco Ambrosiano». Un
omicidio che indica la fine d’un
tempo e dei relativi accordi? Le
parole di Andreotti sono precise e
pesanti. «Sono il sintomo di un re-
gime che non riesce a sopportare
il peso del passato. Un segno dei
tempi. Come dice Goethe, Alla fine
dipendiamo dalle creature che ab-
biamo creato». «L’esperienza della
Dc è emblematicamente quella di
Andreotti - commenta Chierici sul
Corriere
-,
e condizionata dalle
troppe illegalità alimentate e so-
stenute in nome di una malintesa
carità di partito. Mentre i dirigenti
della Democrazia cristiana sem-
brano intenti a difendere la parte
peggiore del loro passato, c’è un
patrimonio di onestà, di libertà, di
democrazia che deve trovare spa-
zio fuori dagli angusti apparati di
partito”. E così, rivoltando come
un calzino il teorema della “trat-
tativa stato-mafia”, potrebbe
emergere che quelle stragi e quegli
accordi trapelati sono il frutto del-
lo sfaldamento d’un accordo tra
ex potenti: la Diccì non era più
quella del 1950, e la mafia ormai
aveva cambiato pelle, dimenticato
la lezione di Lucky Luciano.
Quarta puntata – 4 continua
Che la“trattativa
stato-mafia”fosse
un affare ereditato
da lontano emerge
nel 1992: sono proprio
le parole di Giulio
Andreotti, nell’ormai
storica intervista
a Panorama, a rivelarci
che con l’omicidio
di Salvo Lima (Diccì
andreottiano della prima
ora) finiva un mondo,
forse lo stesso tacito
patto tra stato e mafia.
In quel tragico marzo
del 1992, sia Giorgio
LaMalfa che Leoluca
Orlando avevano detto
«
Lima non può essere
accostato a vittime della
mafia come Dalla
Chiesa, La Torre,
Piersanti Mattarella».
Frase che Andreotti bollò
come una calunnia
verso il suo amico
Lima, e a cadavere
ancora caldo
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VENERDÌ 19 OTTOBRE 2012
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