Direttore ARTURO DIACONALE
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Mercoledì 19 Dicembre 2012
delle Libertà
Il paracadute privilegiato di Antonio Ingroia
ntonio Di Pietro ha raggiunto
la notorietà con le inchieste su
Mani Pulite e successivamente ha
pensato bene di mettere a frutto l’at-
tività effettuata come magistrato
fondando un partito e dedicandosi
all’attività politica. Luigi De Magi-
stris ha conquistato le prime pagine
dei giornali scatenando una furibon-
da polemica con il Consiglio supe-
riore della magistratura e con il vi-
cepresidente dell’epoca, Nicola
Mancino. Ha utilizzato l’effetto me-
diatico prodotto dalla vicenda, si è
vestito da Masaniello e, con una vi-
brante campagna elettorale condotta
all’insegna della protesta contro i
poteri tradizionali, è riuscito a di-
A
ventare sindaco di Napoli. I loro
esempi, ovviamente, non sono rima-
sti isolati. Al contrario, hanno tro-
vato numerosi imitatori pronti a te-
saurizzare la propria attività di
magistrato per costruire delle bril-
lanti carriere politiche.
Ora tocca ad Antonio Ingroia se-
guire le orme di Di Pietro, De Ma-
gistris e compagnia bella. L’ex pm
della procura di Palermo, dopo aver
raggiunto l’apice della popolarità
con la pesante contestazione mossa
nei confronti del presidente della
Repubblica a proposito del coinvol-
gimento di Nicola Mancino nell’in-
chiesta sul presunto patto tra mafia
e stato, si prepara a gettarsi nella
mischia della prossima campagna
elettorale come capolista del Movi-
mento Arancione fondato da De
Magistris e Leoluca Orlando e pron-
to ad apparentarsi con l’Italia dei
Valori e con Rifondazione comuni-
sta. La notizia non deve preoccupare
o suscitare alcuna irritazione. Al
contrario, deve far tirare un sospiro
di sollievo. Finalmente finisce il ri-
dicolo balletto del magistrato che
rivendica il diritto di cittadino ad
esprimere liberamente la propria
opinione salendo sulla cattedra pri-
vilegiata del proprio ruolo di toga
totalmente
legibus soluta
. Finalmen-
te il super-eroe della procura di Pa-
lermo, provvisto dei super-poteri che
l’autonomia, l’indipendenza e la di-
screzionalità nell’obbligatorietà
dell’azione penale gli assicurano, di-
venta un cittadino normale con gli
stessi diritti e gli stessi doveri di di
ogni altro comune abitante del no-
stro paese. E, soprattutto, finisce
quella singolare telenovela che pre-
vede costosi collegamenti televisivi
di tutti i programmi informativi del-
le tv pubbliche e private con il Vate
barbuto piazzato tra le palme del
Guatemala a dispensare proclami
di varia natura agli sbigottiti tele-
spettatori italiani. È un bene, in so-
stanza, che Ingroia renda ufficiale
quella partecipazione...
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2
Le primarie? Quelle vere si fanno a Bruxelles...
eggio di così non poteva chiu-
dere. Esco, no, riscendo in cam-
po, cacciamo Monti, no non scen-
do, risalgo, Monti lo voglio io. Con
Alfano, proclamato erede univer-
sale, poi rimandato in sala d’attesa,
usato per silurare Monti, che poi,
magari, Monti se lo dovrebbe ri-
trovare per capo partito, se Berlu-
sconi (che di Berlusconi, evidente-
mente, stiamo parlando) non
cambierà ancora idea e vorrà il Pro-
fessore a capo “dei moderati”. Ho
sempre ritenuto che Berlusconi
avesse molto da spartire con Pan-
nella: la grande capacità mediatica,
l’assenza (ed il disinteresse) per un
vero progetto politico (ma Berlu-
P
sconi aveva quello, comunque, di
governare) la preoccupazione di
non finire per creare sul serio un
partito. E poi, nella fase del declino,
la predilezione per il balletto: lo
sciolgo – non lo sciolgo – esco –
non esco – non ci presenteremo più
alle elezioni “come tali” (solo come
talaltri!). Accomunati, purtroppo,
quindi, da un brutto modo di uscire
di scena. Ma Berlusconi aveva una
responsabilità particolare: quella di
dar conto al paese delle ragioni del-
la sua sconfitta. Lo avesse fatto
avrebbe dato con ciò all’Italia più
di quanto sia riuscito a fare con le
realizzazioni dei suoi governi. Era
suo preciso dovere, oltre che suo
interesse morale e non solo morale,
denunciare la guerra che gli è stata
fatta dal Partito dei magistrati (al-
tro che «certi magistrati». «quelli
rossi», «certi pm», come ogni tanto
ha mormorato!), dalla corporazione
della stampa, dai “poteri forti”.
Certo avrebbe dovuto così ammet-
tere di non aver affrontato i veri
problemi, di non aver lottato con-
tro un formidabile partito trasver-
sale, di essere vissuto alla giornata,
di aver inseguito impossibili com-
promessi per resistere qualche gior-
no di più a Palazzo Chigi, per non
precludersi la speranza di un altro
ritorno. Ma con una simile denun-
cia avrebbe forse creato le basi di
quel partito che in tanti anni ha ri-
fiutato di far nascere intorno a sé.
Il fatto è che sembra temere anche
oggi questa possibilità. Preferisce
essere l’autocrate di una forza ine-
sistente piuttosto che gestire con un
minimo di collegialità e di demo-
crazia una forza reale, benché mi-
noritaria e, al momento, sconfitta.
Benché “ritirato” o forse “ridisceso”
in campo solo a metà o, se voglia-
mo, benché...
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2
di
MAURO MELLINI
Grazie all’espediente
propagandistico
creato dalla coalizione
di Prodi, abbiamo
cominciato a fare
delle elezioni un gioco
inconcludente. Ormai
le primarie si fanno
a Bruxelles.Ma restano
soltanto un gioco
di
ARTURO DIACONALE
Visto che in questi
tempi è molto di moda
l’idea che a candidarsi
possano essere
soltanto le persone
perbene, non sarebbe
male cominciare
a pensare di aggiungere
alle liste“pulite”quelle
dei “non privilegiati”
E ora Bersani rottama i renziani
K
Il pallone è mio e decido io.
Finita la buriana delle primarie e ri-
confermato leader indiscusso del
Partito Democratico, il segretario Pier
Luigi Bersani si comporta come tale e
blinda in un listone bloccato 120 fe-
delissimi pasdaran scelti senza pas-
sare dalla consultazione delle
primarie parlamentari.
Rischiano seriamente di restare fuori
dai giochi i renziani, primo fra tutti il se-
natore Stefano Ceccanti, ma anche de-
putati non in quota al sindaco fiorentino
come Anna Paola Concia e Roberto Gia-
chetti, quest’ultimo reduce a novembre,
ironia della sorte, da ottantotto giorni
consecutivi di sciopero della fame per
l’approvazione della legge elettorale.
Ma a traballare è anche la posizione dei
cosiddetti “derogati”, ovvero quei parla-
mentari che avendo superato il terzo
mandato sarebbero da regolamento del
partito incandidabili ad un’ulteriore tor-
nata, ma avevano ottenuto comunque il
nulla osta da parte della direzione nazio-
nale democratica. Tra questi, nomi ec-
cellenti come Rosy Bindi, Anna
Finocchiaro, e Beppe Fioroni.
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