II
ESTERI
II
Lo status symbol americano?Mangiare all’italiana
di
UMBERTO MUCCI
a cucina è da sempre parte im-
portante dell’emigrazione italia-
na negli Stati Uniti. Partiti in condi-
zioni di povertà per un Paese che
quasi nulla sapeva di cucina italiana
e che proponeva sapori e piatti com-
pletamente differenti, costretti a vi-
vere con difficoltà insieme a conna-
zionali spesso di diverse regioni e
tradizioni culinarie, gli italiani emi-
grati in America volevano trovare
sulle loro tavole qualcosa che ricor-
dasse loro la buona cucina di casa.
Lentamente la introdussero nella so-
cietà americana, ognuno a modo
suo, con gli ingredienti che si trova-
vano, le ricette che si ricordavano,
le commistioni da accettare
obtorto
collo
.
La tavola era il nido nel quale
rifugiarsi e celebrare il Nuovo Mon-
do ricordando le bontà di quello
vecchio. Col tempo, la cucina italia-
na in America è divenuta un grande
business: libri, tv, siti web oggi la ce-
lebrano in tutti i modi, con diversi
tentativi di imitazione e di stravol-
gimento, più o meno consapevoli.
Quasi tutti i nomi italoamericani
dello star system possiedono un ri-
storante tricolore: da Francis Ford
Coppola a Lady Gaga, da Sylvester
Stallone a Robert De Niro, da Dan-
ny DeVito a Hulk Hogan.
Da quando mangiare bene si tra-
duce con il mangiare tricolore, in
America si trovano migliaia di ri-
storanti “italiani”: non tutti potreb-
bero fregiarsi rigorosamente del ti-
tolo, ed è per questo che è
importante preservare l’eccellenza
della cucina italiana. Uno dei più
importanti artefici di questo compi-
to è Tony May, che quest’anno ce-
lebra il suo cinquantesimo anno di
America. Premiato molte volte da
istituzioni sia americane che italiane
per il suo talento ed il suo impegno
nell’imprenditoria culinaria, papà
di diversi ristoranti a New York
(
compresi Gemelli e Pasta Break,
che erano nel World Trade Center
e andarono distrutti l’11 settembre
del 2001, quando Tony si adoperò
in prima persona per nutrire e so-
stenere coloro che prestarono soc-
corso), autore di un libro di successo
L
dal titolo “Italian Cuisine: Basic
Cooking Techniques”, Tony May è
a tutti gli effetti un ambasciatore
della cucina italiana negli Usa. Un
perfetto ponte di collegamento fra
Italia e Stati Uniti.
Mister May, lei è il proprietario di
uno dei migliori e più famosi risto-
ranti italiani di New York, il SD26,
dove le istituzioni Italiane invitarono
il presidente Napolitano in visita uf-
ficiale a gustare quanto bene si man-
giasse italiano anche nella Grande
Mela. Qual è la chiavfe del suo suc-
cesso come imprenditore, e quale
pensa che sia il suo contributo al mi-
glioramento della percezione della
cucina italiana in America?
Quando sono arrivato in Ame-
rica nel 1963 ho trovato un tipo di
cucina che non riconoscevo e, tal-
volta, una lingua che non capivo.
La cucina italiana era ancora cono-
sciuta come “eyetalian”, il cibo del
massimo comfort definito “buono,
abbondante e a buon mercato”. Ho
promesso a me stesso di fare qual-
cosa a tal riguardo. Così nel 1979
ho fondato il Gruppo Ristoratori
Italiani, che ancora oggi presiedo.
Nel 1984 con il Gri ho istituito il
Catherine De Medici Restaurant
presso il Culinary Institute of Ame-
rica, mentre nel 1991 ho dato vita
all’Italian Culinary Institute for Fo-
reign Professionals in Piemonte. Du-
rante la mia permanenza nel board
del Culinary Institute of America a
Hyde Park a NY, la scuola ha costi-
tuito il Colavita Center for Italian
food and wine, nel 2001. Infine, nel
2004
ho fondato la Italian Culinary
Foundation, per realizzare program-
mi di insegnamento nelle istituzioni
culinarie di tutta l’America. Credo
che il modo migliore per cambiare
la vecchia percezione della cucina
italiana sia l’istruzione: è per questo
che ho creato le istituzioni incorag-
giando programmi per la nuova ge-
nerazione di professionisti.
Quali sono la storia e l’obiettivo del
Gruppo Ristoratori Italiani - Lea-
ding Italian Restaurants in America,
e come agisce?
Il Gri è un’associazione senza
fini di lucro costituita nel 1979 da
un piccolo gruppo di influenti ri-
storatori italiani per ottenere una
migliore comprensione della cucina
Italiana, del nostro cibo e del no-
stro vino.
Nel corso degli anni, il Gri è cre-
sciuto molto ed oggi siamo l’unica
associazione di ristoratori dedicata
a preservare il dono della cucina Ita-
liana qui, e una delle associazioni
culinarie più rispettati nel settore
alimentare americano. Nel corso de-
gli anni abbiamo raggiunto diversi
risultati. Abbiamo fondato il
Gri/Giacomo Bologna Scholarship
che fornisce agli studenti meritevoli
periodi di studio avanzato nell’arte
culinaria in Italia ogni anno. Inoltre,
ogni anno organizziamo un viaggio
in una regione italiana per educare
i nostri membri e parte della stampa
specializzata americana circa una
diversa cucina regionale italiana, i
suoi prodotti e la cultura che ne ga-
rantisce la tradizione ed il gusto. Ab-
biamo creato e sosteniamo il pro-
gramma di studio sulla cucina
italiana presso il Culinary Institute
of America. Abbiamo anche testi-
moniato davanti al Congresso per
conto dei produttori di pasta italia-
na per la lotta contro i dazi doganali
sull’importazione del prodotto negli
Usa.
Quanto difficile è stato ed è ancora
oggi, spiegare e mostrare al popolo
americano la vera cucina italiana?
L’America si è innamorata facil-
mente di una cucina italiana facile
da preparare a casa, conveniente e
molto gustosa. Col passare degli an-
ni la cucina si è evoluta con l’arrivo
di nuovi immigrati, che hanno por-
tato nuove idee, nuovi prodotti e
hanno iniziato ad usare i forni a le-
gna. Gli americani hanno così im-
parato a conoscere la focaccia, la
mozzarella di bufala, la bottarga, il
tartufo bianco e molti altri meravi-
gliosi prodotti italiani, ma soprat-
tutto hanno scoperto l’olio extra
vergine di oliva: in pratica hanno
potuto apprezzare che la cucina ita-
liana è più in linea con i valori nu-
trizionali di un consumatore moder-
no che vuole mangiare bene, magro,
gustoso e sano. Sulla base di questi
principi il consumatore americano
ha fatto della cucina italiana quella
più popolare in America. Gli anni
‘70
e primi anni ‘80 hanno visto an-
che l’arrivo di una nuova ondata
italiana di chef e di operatori del set-
tore: imprenditori come Aldo Bozzi,
Pino Luongo, Mauro Vincenti, Piero
Selvaggio, Roberto Ruggeri, Fran-
cesco Antonucci, Lidia Bastianich e
chef come Valentino Marcattilii, Pie-
rangelo Cornaro, Angelo Paracuc-
chi, Andreas Hellrigl, Adriano Za-
notti, Sandro Fioriti, Sergio Mei.
Questi nuovi grandi professionisti
hanno sostituito i loro predecessori:
insieme con autori come Marcella
Hazan, Giuliano Bugialli e altri,
hanno contribuito ad informare gli
americani sul cibo italiano, avviando
e implementando con successo il
processo di miglioramento della per-
cezione dei consumatori statunitensi.
Questi innovatori hanno anche crea-
to tanta curiosità nelle nuove gene-
razioni, affascinate da questo stile
diverso, dalla ricchezza degli ingre-
dienti, dal gusto rinnovato di una
cucina che pensavano di conoscere:
questo ha portato molti giovani a
viaggiare in Italia, per conoscere i
diversi gusti e le mille sfumature del-
la cucina italiana contemporanea.
ed oggi sono usciti i talenti: Paul
Bartolotta, Andrew Carmellini, Mi-
chael White, Mario Batali, Tom Co-
licchio, Scott Conant, Michael Lo
Monaco, Carl Portale, Danny Ma-
yer. Siamo impegnati a dimostrare
agli americani che la cucina italiana
si è evoluta: oggi gli italiani utiliz-
zano soprattutto l’olio di oliva per
cuocere, l’aglio è usato con parsi-
monia, il cibo è cotto molto meno
per mantenere i sapori, le porzioni
sono molto più piccole e in linea con
uno stile di vita più rilassato. Inoltre
ci si preoccupa di più anche di come
il cibo viene presentato. Diciamo
tutti i giorni ai nostri clienti che gli
italiani utilizzano prodotti di qualità:
è questo l’ingrediente più importante
necessario per cucinare italiano.
Che cosa può fare l’Italia per aiutare
di più a promuovere la vera buona
cucina italiana, per migliorare ciò
che già è stato fatto?
L’Italia può aiutarci mantenendo
la sua autenticità in cucina. Identi-
ficare e riconoscere l’autenticità ri-
chiede tempo, studio, interesse, cu-
riosità e la comprensione della gente
e della loro cultura: una cultura che
considera quello della tavola uno
dei piaceri più importanti della vita.
La stampa americana non è proba-
bilmente disposta ad impiegare tem-
po ed energie per studiare l’auten-
ticità: noi italiani, invece, ci teniamo
e ci preoccupiamo perché non vo-
gliamo che la cucina italiana venga
americanizzata” e per questo rischi
di perdere il suo gusto. In un mondo
in rapida evoluzione dove tutto è
globale, abbiamo bisogno di man-
tenere identità e cultura. Se l’Italia
lo farà, certamente ci aiuterà a fare
la nostra parte qui in America.
Immagini di parlare con un giovane
imprenditore italiano di talento, che
vuole venire negli Stati Uniti apren-
do un ristorante suo. Che consiglio
gli darebbe?
Si tratta di un Paese diverso, con
una mentalità diversa, e un modo
diverso di condurre gli affari. C’è
ancora spazio per le persone giuste
disposte a lavorare sodo ma devono
darsi il tempo di conoscere gli Stati
Uniti, il loro popolo e il loro am-
biente di business. Poi si può cuci-
nare e conquistare.
Parla TonyMay,
deus ex machina
della cucina tricolore
di Oltreoceano
che inAmerica
ha fondato una serie
di enti specializzati
nella tutela
e nella conservazione
delle tradizioni
mangerecce
del Belpaese:
«
Negli anni
abbiamo trovato
gli strumenti
per far crescere
una generazione
di chef italoamericani
bravissimi ed osservanti
delle regole. L’Italia?
Al Paese spetta
il compito di conservare
il patrimonio della tavola
senza commistioni
o intromissioni
a stelle e strisce,
dirette emanzioni
dalla globalizzazione»
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 20 GENNAIO 2013
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