Page 3 - Opinione del 20-9-2012

on lascerò l’Italia, non chiuderò sta-
bilimenti»: così ha detto Sergio
Marchionne in un’intervista pubblicata su
Repubblica
,
ma la situazione è pesante. La
Fiat perde 700 milioni di euro in Europa ed
anche gli ultimi dati sulle vendite non sono
certo buoni. Sergio Marchionne ha rotto il
silenzio con il direttore Ezio Mauro. «Non
sono l’uomo nero, mi impegno ma non posso
farlo da solo ci vuole anche un impegno del-
l’Italia, io faccio la mia parte» – sono le sue
parole. E allora i dubbi e le paure sul futuro
di Fiat in Italia restano. Quando spiega agli
americani il successo di Detroit ed il disastro
di Torino loro fanno due conti e gli dicono
cosa farebbero: la chiusura di due stabilimenti
per togliere sovracapacità dal sistema euro-
peo. Se lui si comporta diversamente ci sarà
una ragione, fa notare. Ma cosa sta succe-
dendo? Chiarissima la risposta. In conclu-
sione la Fiat sta accumulando perdite per
700
milioni in Europa e sta reggendo a que-
sta perdita con i successi all’estero, negli Stati
Uniti e nei paesi emergenti. «Queste sono le
uniche due cose che contano se vogliamo
confrontarci - continua Marchionne - dob-
biamo partire da qui, non si scappa. In questa
situazione drammatica non ho parlato di esu-
beri, non ho proposto chiusure di stabilimenti
non ho mai detto che voglio andar via».
E la Fiat resta in prima pagina e a Torino
c’è il leader della Cisl Raffaele Bonanni men-
tre Diego della Valle attacca in tv il manager
e la famiglia Agnelli. I soggetti sociali non si
affidano ad un’intervista, si affidano a discus-
sioni formali, quindi Marchionne ci convochi
subito perché deve chiarire se a fronte di una
ripresa quel piano esisterà ancora e poi si fa-
«
N
cesse un incontro con il governo e il governo
fa bene a chiedere a Marchionne chiarezza
sui propositi per il futuro, ha riferito Bonanni.
Intanto continua l’annata nera delle vendite
per Fiat. Proprio stamane è stato reso noto
il bilancio estivo in tutta Europa. In un mer-
cato sceso del 7,5% in luglio e dell’8,5% in
agosto le vendite Fiat hanno perso più del
doppio, meno 16% in luglio e meno 18% in
agosto. Ma la Fiat non fa beneficenza. Se pro-
duce e guadagna va bene, se produce e non
vende ci perde, è questa la semplice realtà da
accettare. Se vende meno, stando in Italia bi-
sogna vedere quanto gli rimane di guadagno
per poter pagare i suoi dipendenti. Passera
ha chiesto ad un’azienda quotata in borsa
di ricordarsi i benefici che in passato ha ri-
cevuto dallo stato italiano. Lo stato italiano
li diede per avere in cambio la pace sociale
e quei benefici hanno contributo a far dilatare
oltre misura il nostro debito pubblico, com-
promettendo la pace sociale di oggi. Gli azio-
nisti dell’epoca accettarono perché altrimenti
sarebbe loro convenuto delocalizzare e pro-
durre altrove quindi, rimanendo in Italia,
hanno restituito il favore dando occupazione
a migliaia di persone. L’unica cosa che il go-
verno dovrebbe e potrebbe fare oggi, sarebbe
quella di migliorare la legge sul lavoro e di-
minuire il cuneo fiscale in modo da rendere
più appetibile alle aziende, il rimanere in Ita-
lia. Ma finché comanderanno sindacati ottusi
come Cgil e Fiom e giudici che stabiliscono
quali e quanti operai devono essere assunti
in una azienda, si può pensare che la strada
per l’uscita dall’Italia sarà una strada obbli-
gata e non solo per la Fiat.
VITO PIEPOLI
II
POLITICA
II
Moles:«Imu?Modosempliceevolgaredi farecassa»
di
PIETRO SALVATORI
o aderito con entusiasmo
nella speranza che sia
un’occasione utile per dibattere tra
le forze politiche al netto delle ipo-
crisie e nella volontà di far ripar-
tire il paese». Così l’onorevole az-
zurro Giuseppe Moles spiega la
sua adesione alla tavola rotonda
Per l’Italia”, promossa del diret-
tore de L’Opinione Arturo Diaco-
nale per sabato prossimo ad As-
sergi, in provincia de L’Aquila. «È
un’iniziativa lodevolissima – spie-
ga Moles – perché metterà a con-
fronto esponenti politici che col-
tivano un reale sentimento
riformista, a prescindere dalle for-
mazioni politiche alle quali sono
legati. Sarà un momento privo di
esigenze di propaganda, al quale
mi auguro possano accodarsi tanti
miei colleghi». Per Moles confron-
tarsi sulle riforme necessarie al
paese «è interesse della classe po-
litica, ma ognuno è padrone del
suo destino». «Per quanto mi ri-
guarda – prosegue Moles – sono
completamente d’accordo con
quanto sostenuto ieri da Giancarlo
Galan su L’Opinione in merito al
tentativo di rilanciare con forza la
rivoluzione liberale».
Al centro del dibattito verrà posta
la questione delle riforme istitu-
zionali.
La modifica del nostro sistema
istituzionale è tra le principali esi-
genze su cui bisogna insistere per
far ripartire il paese. Occorre met-
tere mano complessivamente al-
«
H
l’architettura dello stato. La mo-
difica della legge elettorale è sola-
mente uno degli strumenti attra-
verso i quali arrivare ad un
risultato più ampio.
Che modello auspicherebbe?
La mia predilezione è per il
presidenzialismo all’americana, o
per il premierato all’inglese.
E il semi-presidenzialismo propo-
sto dal suo partito?
Ho accolto quella proposta con
molto favore. Costituirebbe sen-
z’altro un passo avanti verso la
realizzazione di un bipolarismo
compiuto nel nostro paese. O ma-
gari addirittura di un bipartitismo?
Nonostante i progetti di riforma
in senso proporzionale di cui si di-
scute in questi giorni?
In realtà negli ultimi anni il
problema è stato che i molti passi
avanti che sono stati fatti, sono
avvenuti attraverso forzature so-
stanziali del quadro politico, a
fronte di un sistema istituzionale
inadeguato a recepirle. Siamo tor-
nati indietro perché le nostre isti-
tuzioni sono anni luce lontane dal-
l’evoluzione che ha interessato la
nostra democrazia.
Dunque, quale sistema elettorale?
Se devo parlare di ciò che pre-
ferirei in assoluto, sarei per il mag-
gioritario a turno unico come
quello adottato negli Stati Uniti.
Parlando di cose più concrete, so-
no favorevole a conferire un pre-
mio di maggioranza a chi vince le
elezioni.
Che negli ultimi anni non ha ga-
rantito affatto la governabilità.
Torniamo al problema princi-
pale. Senza un sistema istituzionale
che disincentivi i cambi di casacca,
anche il premio di maggioranza
può rivelarsi inefficace. Quando
Gianfranco Fini ha portato i suoi
fuori dal Pdl, si è creato un terre-
moto politico. Mi domando: in
quanti avrebbero fatto la stessa
scelta se le regole prevedessero
che, in caso di perdita della mag-
gioranza da parte del governo elet-
to, si debba andare al voto?
A proposito di elezioni, Silvio Ber-
lusconi ha detto che in caso di vit-
toria abolirebbe l’Imu. Ma quella
misura non è passata anche grazie
ai vostri voti?
Io non ho votato l’Imu. Insieme
ad un altro piccolo gruppo di miei
colleghi, che ha ingrossato le pro-
prie fila con il tempo, sin da subito
ho deciso di non votare le fiducie
che l’esecutivo ha chiesto in Par-
lamento.
Ma la responsabilità politica ri-
mane.
Non si può incolpare Berlusco-
ni di quei provvedimenti adottati
immediatamente dopo la caduta
del suo governo. Aveva le mani le-
gate, qualunque altra decisione
avesse assunto, sarebbe stato con-
siderato l’assassino del paese. Co-
me d’altronde già era successo ne-
gli ultimi mesi della sua presenza
a Palazzo Chigi.
Colpa della stampa?
È indubbio che ci sia stata
un’ipocrisia propagandistica sulla
responsabilità della crisi. Sembrava
che, una volta messo da parte il
Cavaliere, le cose si sarebbero ri-
messe a posto. Invece l’altalena
dello spread è proseguita, spesso
raggiungendo picchi molto al di
sopra di quelli cui era arrivato in
epoca berlusconiana.
Resta il fatto che mercoledì sera,
a Ballarò, Elsa Fornero l’ha defi-
nito come il provvedimento più vi-
cino alla patrimoniale che il go-
verno poteva adottare in quel
momento.
Ma certo, l’Imu equivale ad
una patrimoniale. Lo stesso Ber-
sani pensa di alleggerirla, ma vuole
introdurre la patrimoniale. Le due
cose si equivalgono. Occorre ren-
dersi conto che la pressione fiscale
è il problema principale per i cit-
tadini.
Inicide anche sulla crescita econo-
mica?
Assolutamente sì. L’Imu sulla
prima casa è uno dei più grandi
motivi della stagnazione nella qua-
le siamo piombati. L’85% degli
italiani ha una casa, per questo di-
co che è come una patrimoniale.
Anzi, peggio, colpisce a prescinde-
re dal reddito. Il modo più sem-
plice e volgare che il governo ave-
va per fare cassa.
Bersani vi accusa di averla intro-
dotta per primi.
Non è affatto vero. Il governo
Berlusconi inserì una tassa esclu-
sivamente sulle seconde case. E i
proventi sarebbero dovuti rima-
nere tutti nelle casse dei comuni.
Sindacati e giudici ottusi
faranno scappare la Fiat
PerchéMediaset lascia
l’asta per comprare La7
iente svendita de
La 7
.
Niente asta
per Mediaset. Nessuna trattativa in
corso tra il gruppo
L’Espresso
e
Sky
in re-
lazione ad una ipotetica alleanza nella te-
levisione. Si vanno così chiarendo i con-
torni della vendita dell’emittente televisiva
di Telecom dopo alcuni giorni di fibrilla-
zioni a seguito della notizia che tra i can-
didati acquirenti ci sarebbe stato anche il
gruppo di Cologno Monzese. Sono ormai
alcuni mesi che Telecom Italia, guidata da
Franco Bernabè, ha annunciato l’intenzio-
ne di dismettere il settore dei media a par-
tire dal canale balzato all’attenzione gene-
rale e in particolare del pubblico di
centrosinistra, con l’arrivo al Telegiornale
di Enrico Mentana dopo il licenziamento-
dimissioni da direttore editoriale del grup-
po Mediaset, di Lilli Gruber con Otto e
mezzo, di Gad Lerner con l’Infedele, con
Piazzapulita di Formigli e con l’atteso Ser-
vizio Pubblico di Michele Santoro che ha
lasciato i precedenti canali dove trasmet-
teva Anno Zero. Share medio del Network
3,02%,
telegiornale delle 20 intorno al 7%
con un milione e mezzo di ascoltatori. Ol-
tre all’informazione-opinione
La 7
è l’uni-
co contenitore che ha accresciuto la rac-
colta pubblicitaria nel terribile anno di
calo generale della pubblicità. Il gruppo
Telecom Italia Media pur restando l’unica
televisione in rosso in Europa aveva pre-
sentato agli advisor Mediobanca e Citi-
group, incaricati dell’asta, dati in prospet-
tiva positivi. L’eventuale compratore dovrà
tener conto dell’affermazione dell’ammi-
nistratore Bernabè secondo cui Telcom non
vende a qualunque prezzo ma conta di
N
chiudere l’operazione, entro fine anno, in
modo da portare l’indebitamento netto a
27,5
miliardi di euro per rispettare il piano
industriale. L’ex monopolista delle teleco-
municazioni non sembra ora avere fretta.
Uscita di scena l’araba
Al Jazeera
,
che ave-
va coinvolto il finanziere franco-tunisino
Tarak Ben Ammar, anche Mediaset si è ti-
rata indietro dopo una riunione presieduta
da Fedele Confalonieri e Piersilvio Berlu-
sconi. Ricostruiti i passaggi dell’invito ri-
cevuto da Mediobanca il 15 giugno e del
mancato accesso ai dati sensibili del pac-
chetto in vendita, Mediaset ha precisato
«
al fine di evitare ulteriori strumentaliz-
zazioni e voci interessate prive di qualsiasi
fondamento» che i dati in possesso al
gruppo Fininvest sconsigliavano «qualsiasi
impegno relativo agli asset in vendita del
gruppo Telecom».
Chiariti i termini di politica aziendale
si sono aperte le interpretazioni sul perché
Mediaset ha abbandonato la gara. Troppe
polemiche ed esborsi eccessivi, con risultati
di bilancio da sempre negativi (perdita di
35
milioni solo nel primo trimestre 2012)
hanno precisato i vertici di Cologno Mon-
zese, anche se tramite la società EI Towers
erano molto interessati per l’infrastruttura
delle frequenze. Lo scenario vede ora in
corsa Urbano Cairo, il fondo Clessidra di
Claudio Sposito,
Discovery Channel
,
gli
americani di Liberty Media e Sky di Mur-
doch che in Italia trasmette anche in chiaro
con Cielo e forse la società 3Italia, la so-
cietà dei cinesi di Hutchinsn Whampoa
per l’intera Telecom.
SERGIO MENICUCCI
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 20 SETTEMBRE 2012
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