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ESTERI
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Ora Seul si difende e sceglie una donna di destra
di
STEFANO MAGNI
ontinua l’ondata di nazionali-
smo in Asia orientale. Anche la
Corea del Sud, dopo il Giappone,
elegge la sua campionessa della de-
stra: Park Geun-hye è la nuova pre-
sidente eletta. Il cognome a noi dice
poco, ma ai coreani del Sud dice
molto. Perché sarebbe come eleg-
gere, al vertice dello Stato, un Pino-
chet in Cile. Park Geun-hye è la fi-
glia di Park Chung-hee, dittatore
sudcoreano arrivato al potere con
un golpe nel 1961 e assassinato da
una delle sue spie nel 1979. La fa-
ma del padre non è il massimo per
un osservatore internazionale, a
causa delle persecuzioni di sinda-
calisti e dissidenti, per la legge mar-
ziale e i crimini commessi dalle sue
truppe nella Guerra del Vietnam,
dove la Corea del Sud intervenne
al fianco degli Usa e si distinse per
atti di estrema brutalità: almeno
10
mila civili uccisi. I sudcoreani,
tuttavia, potrebbero non avere un
cattivo ricordo del loro ex dittatore.
Tenne alla larga i comunisti nor-
dcoreani, impose l’ordine, ma so-
prattutto fu l’artefice del primo bo-
om economico sudcoreano. La vita
della giovane Geun-hye è stata se-
gnata sin da subito. Nel 1974 sua
madre venne assassinata da una
spia nordcoreana. E da quel mo-
mento in poi fu lei a dover giocare
il ruolo della first-lady, iniziando a
familiarizzare con la politica interna
e internazionale. Entrò in politica
molto più tardi, facendosi eleggere
nelle file del partito conservatore
C
nel 1998, quindi 11 anni dopo la
fine del regime autoritario. Il peso
della memoria del padre Chung-
hee, è la prima delle contraddizioni
della nuova presidentessa: lei ne cri-
tica i metodi, ma non ne rinnega il
ruolo. Non ha mai espresso una
condanna per il golpe del 1961, che
tuttora considera “necessario”. At-
tira i voti dei conservatori grazie al
suo cognome, ma allo stesso tempo
deve presentarsi come una novità
della politica, essendo, in assoluto,
la prima donna presidente.
Nata e cresciuta in una dittatura,
la Park ha trovato vita piuttosto dif-
ficile nella democrazia. Non a causa
del sistema politico, ma del maschi-
lismo diffuso nella società coreana.
Avrebbe avuto i numeri per candi-
darsi alla presidenza già nel 2007,
ma il partito Saenuri (“nuova fron-
tiera”, conservatore) le aveva pre-
ferito Lee Myung-bak. Ha dovuto
fare altri cinque anni di “gavetta”
prima di arrivare ai vertici del po-
tere coreano. Adesso ha ricevuto il
sostegno proprio da quella che vie-
ne considerata come la parte più
retriva” della società coreana:
grandi dinastie economiche, grandi
aziende, grandi monopoli. Eppure
lei si è presentata come una rifor-
matrice, con slogan dal tono popu-
lista (“democrazia economica”) e
programmi sociali contro i “privi-
legi” delle classi agiate e contro la
concentrazione del potere econo-
mico in pochi, grandi monopoli.
Quante (grandi) contraddizioni!
Che cosa ha indotto, dunque, i
sudcoreani a votare in massa questa
donna? Più del 75% degli aventi di-
ritto è accorso alle urne. Si tratta,
in tutta la storia sudcoreana, del vo-
to con più elettori, secondo solo alle
prime libere elezioni. Più del 52%
ha votato la candidata del Saenuri.
Nonostante il maschilismo. Nono-
stante lo scetticismo nei confronti
della figlia di un dittatore. Nono-
stante la contraddizione di una can-
didata che è espressione dei mono-
poli e li vuol combattere. Non si
capisce il perché di una scelta così
plebiscitaria… se si dimentica l’esi-
stenza della Corea del Nord. E in
generale, non si può capire il senso
della politica sudcoreana, della sua
lunga dittatura, della sua lentissima
apertura alla democrazia liberale,
se si dimentica che nel 1950 la Co-
rea del Nord, comunista, guidata
da un agente dei servizi segreti di
Stalin, chiamato Kim Il-sung, ha in-
vaso il Sud di punto in bianco, con
lo scopo di riunificare la penisola
sotto l’egida di Mosca. La guerra,
tecnicamente, non è mai finita da
allora. Nel 1953 non è stato firmato
alcun trattato di pace, ma solo un
armistizio. Il regime del Nord resta
un esempio più unico che raro di
stalinismo applicato. Nel territorio
sudcoreano sono ancora presenti
50
mila militari statunitensi, una pic-
cola eredità dell’esercito americano
che combatté la guerra del 1950-
53.
Fra le due parti della penisola
coreana, scorre un fiume di filo spi-
nato, campi minati e bunker, eufe-
misticamente chiamato “zona de-
militarizzata”. Dal 1953 in poi, la
Corea del Sud vive teoricamente
in pace, tecnicamente in guerra e
in pratica è sotto costante assedio.
I nordcoreani scavano tunnel sotto
la zona demilitarizzata, si esercita-
no ad aggirarne le difese con mi-
ni-sommergibili, conducono ma-
novre a ridosso della frontiera, in
vista della (costantemente annun-
ciata) ripresa delle ostilità. A volte
si tratta di provocazioni molto san-
guinose: una corvetta affondata
(46
marinai morti), un’isola bom-
bardata (4 morti e 19 feriti). In al-
tri casi sono minacce di distruzione
di massa: due esplosioni nucleari
sotterranee in tre anni e quasi un
test all’anno di missili balistici a
lungo raggio. Fino all’ultimo lan-
cio, quello del primo satellite nor-
dcoreano, della settimana scorsa:
è la dimostrazione che il regime di
Pyongyang potrebbe, a breve, col-
pire anche gli Stati Uniti.
Di fronte a questa minaccia im-
minente, i sudcoreani hanno prefe-
rito votare in massa quella che è vi-
sta, prima di tutto, come la figlia di
un uomo forte. Poi, come una can-
didata che promette la politica più
rassicurante: ripresa del dialogo con
la Corea del Nord e, al contempo,
una forte difesa. Di fronte al cre-
scente anti-americanismo, che pro-
lifera in mezzo alla crisi economica,
la Park mantiene un atteggiamento
ambiguo: come il padre, è un’alleata
fedele, ma lascia intendere che po-
trebbe sostituire Washington con
Pechino. Il grande vicino asiatico,
che nel 1950 intervenne al fianco
dei nordcoreani, adesso appare co-
me l’unica valvola di sicurezza del-
la crisi: è l’unico Stato che riforni-
sce il Nord, ci dialoga e può
indurlo a non perdere la testa. Si
tratta solo di apparenza, comun-
que, perché se i nordcoreani sono
così armati, è solo grazie agli aiuti
del regime di Pechino. E una volta
spezzato il legame fra Usa e Corea
del Sud, nessuno garantisce che la
Cina comunista non spinga (piut-
tosto che trattenere) la Corea del
Nord alla guerra. Ma Park Geun-
hye potrebbe preferire un ragiona-
mento di breve periodo, farsi at-
trarre dal potente vicino, piuttosto
che dal vecchio alleato in declino.
E sarebbe, allora, la sua più grande
contraddizione: la figlia dell’uomo
forte di destra che si allea con l’ul-
tima grande potenza comunista
per fare la pace con il regime sta-
linista del Nord?
Park Geun-hye, prima
presidente donna
della Corea del Sud,
è figlia dell’ex dittatore
La maggioranza
dei sudcoreani vota
con la paura del regime
comunista del Nord
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 21 DICEMBRE 2012
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