Page 5 - Opinione del 22-9-2012

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ESTERI
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Afghanistan, il“surge”è finito
Ma non si può andare in pace
di
STEFANO MAGNI
era una volta il “surge”, pa-
rola oscura (che significa let-
teralmente: ondata) in cui venivano
riposte tante speranze per la guerra
in Afghanistan. Il surge, deciso dal-
l’amministrazione Obama alla fine
di novembre 2009, consisteva nel-
l’invio di 33mila truppe combattenti
sul teatro di guerra afgano, per por-
tare rinforzo ai contingenti già in-
quadrati nell’Isaf, la missione a gui-
da Nato. Il “surge” è finito
ufficialmente ieri, con il ritorno a
casa degli ultimi dei 33mila uomini
inviati nell’Asia del Sud. I risultati?
Deludenti, a dir poco. I numeri par-
lano da soli. Se è vero che i Talebani
e i loro alleati locali hanno subito
sempre più perdite (1630 morti nel
2009, 2037
nel 2010 e 2332 nel
2011),
essi sono riusciti a seminare
molta più morte fra i civili afgani.
In totale, sono stati uccisi 1500 civili
afgani nel 2009, saliti a circa 2300
nel 2010 e al record di oltre 3000
morti nel 2011, secondo le stime
della missione Unama (Onu). Solo
quest’anno si registra un leggero de-
cremento, del 15%, rispetto alla ten-
denza precedente. Ma il 2012 non
è affatto concluso. I Talebani hanno
cambiato tattica. Si infiltrano nel-
l’esercito regolare afgano e colpisco-
no di sorpresa i militari alleati. Ot-
tenendo anche l’effetto di seminare
zizzania fra il governo di Kabul e
C’
Isaf. Gli incidenti “green on blue”
(
così viene chiamato il fuoco amico
fra alleati) sono 51 dall’inizio del
2012.
Fino al 2009 erano un evento
raro: 2 all’anno, in media.
Il “surge” doveva servire a ridur-
re la violenza dei Talebani contro i
civili e permettere al governo di Ka-
bul di affermare la sua leadership.
Hamid Karzai, oggi, non gode di
grandi simpatie fra gli afgani, specie
dopo lo scandalo delle elezioni truc-
cate del 2010. In compenso, i Tale-
bani si sentono sufficientemente forti
da dettare loro condizioni (fra cui
la partecipazione al nuovo governo)
per un cessate-il-fuoco che consenta
il ritiro pacifico dei contingenti in-
ternazionali. La missione non è
compiuta, evidentemente. Eppure il
surge” è finito. E la data del ritiro
è sempre quella decisa tre anni fa:
il 2014 e non oltre. Il “surge” aveva
sollevato grandi entusiasmi, anche
fra i conservatori. Anche Frederick
Kagan (American Enterprise Insti-
tute) si era speso in prima persona
per sostenere Obama. Era un otti-
mismo realistico: lo stesso tipo di
strategia, negli ultimi due anni del-
l’amministrazione Bush, era riuscito
a riportare l’equilibrio (se non pro-
prio l’ordine) in Iraq. In Afghanistan
non ha funzionato altrettanto bene.
E non solo perché è un teatro di
guerra più difficilmente controlla-
bile. Ma anche perché l’amministra-
zione Obama non ci ha creduto ve-
ramente. Decidendo di avviare il
surge” dopo più di 6 mesi di dibat-
tito. Mandando 33mila uomini,
contro i 100mila consigliati dai mi-
litari. Fissando subito una data del
ritiro, (come scoprire le proprie carte
...).
E poi provocando malumori nei
comandi militari: McChrystal, ex
comandante delle forze Nato, è stato
licenziato da Obama dopo un’inter-
vista rilasciata a Rolling Stone. In
cui esprimeva tutto il suo disappun-
to proprio sui tentennamenti del
presidente. Prima di lui, era stato li-
cenziato in tronco (e senza consul-
tare gli alleati) anche il generale
McKiernan. E, dopo di lui, David
Petraeus (vincitore dell’Iraq) è du-
rato meno di un anno. Almeno Bin
Laden è stato ucciso. Gli americani
possono anche andare in pace. Ma
l’Afghanistan è ancora in guerra.
Fast and Furious: dove sono i media?
K
Inchiesta interna al Dipartimento della Giustizia per lo
scandalo Fast and Furious (armi ai narcos). Eric Holder “non sa”, 14
funzionari responsabili. E i media? Parlano solo dell’omonimo film
Giornata d’Amore:
sangue in Pakistan
In tre anni, i 33mila
uomini di rinforzo
mandati da Obama
non sono riusciti
a ripristinare l’ordine,
né a rafforzare il governo
di Kabul.Ma il ritiro
procede ugualmente
Concluso il vertice Cina-Ue:
tanti sorrisi e poca sostanza
a “Giornata per l’amore del
Profeta” proclamata dal gover-
no del Pakistan, si è trasformata
in un giorno di odio e violenza. A
Karachi, la principale città del Pae-
se, a Peshawar, epicentro del fon-
damentalismo pakistano e a Isla-
mabad, le manifestazioni sono
subito degenerate. I morti, in tutto,
sono 15 (bilancio ancora provvi-
sorio).
A Islamabad, una folla di mili-
tanti fondamentalisti ha violato la
zona rossa” delle ambasciate oc-
cidentali. Due check-point delle
forze dell’ordine sono stati attac-
cati. La polizia ha dovuto sparare
in aria e caricare per poter disper-
dere gli assalitori. Peggio ancora a
Karachi, dove lo scontro ha cau-
sato l’uccisione di 10 persone, fra
cui almeno 1 agente. A Peshawar,
i fondamentalisti hanno devastato
i cinema locali, simbolo di “corru-
zione” occidentale. La polizia ha
sparato anche qui, uccidendo ac-
cidentalmente un autista della te-
levisione Ary. In tutto, a Peshawar
i morti sono 5. Sempre conside-
rando che si tratta di un bilancio
ancora provvisorio.
Quella del Pakistan è stata la
singola azione più violenta dall’ini-
zio delle violenze anti-occidentali,
iniziate proprio l’11 settembre
(11
mo anniversario delle Torri Ge-
melle) con l’assalto alle sedi diplo-
matiche Usa al Cairo e a Bengasi
L
(
dove è stato ucciso l’ambasciatore
Chritopher Stevens). Il Pakistan,
ancora una volta, si conferma co-
me il fronte più pericoloso dello ji-
hadismo. Le sue istituzioni sono
ancora divise da lotte intestine, do-
po la deposizione del generale Mu-
sharraf e gli islamisti approfittano
del vuoto di potere. È quantomeno
ambiguo il ruolo del potente ser-
vizio segreto nazionale, l’Isi, accu-
sato dagli americani di armare i
Talebani in Afghanistan. Le regioni
tribali (a ridosso di Peshawar) so-
no tuttora una fucina di guerriglie-
ri islamici e un rifugio sicuro per i
Talebani. Una possibile implosione
del Pakistan è considerata tuttora,
dagli strateghi americani, come
uno dei peggiori “scenari da incu-
bo”: il Paese è una potenza dotata
di armi atomiche.
La protesta attuale prende a
pretesto un video amatoriale su
Maometto, giudicato “blasfemo”
e ora anche le vignette pubblicate
sul giornale satirico francese Char-
lie Hebdo. Ma, più passa il tempo,
più appare come un vasta aggres-
sione deliberata, partita dalla Libia
e dall’Egitto. E alla cui organizza-
zione, a Bengasi, ha partecipato
anche un ex internato di Guanta-
namo, Ben Qumu. Era stato libe-
rato da Gheddafi, nel 2010, dopo
la sua riconsegna alle autorità li-
biche.
(
ste. ma.)
olta retorica ed altrettanta
attenzione ad evitare temi
controversi. Il viaggio a Bruxelles
del primo ministro cinese Wen Ja-
bao - in occasione del 15mo sum-
mit Cina-Ue - si è concluso così,
tra proclami fumosi di buoni pro-
positi e più mirate constatazioni
di tipo economico. «La Cina - ha
detto Wen di fronte al Presidente
del Consiglio Van Rompuy e al
presidente della Commissione Bar-
roso - è pronta a lavorare con
l’Unione Europea per costruire un
nuovo modello di cooperazione
internazionale». «Nel 2011 il
commercio bilaterale ha raggiunto
567,2
miliardi di dollari, con un
aumento medio del 20% l’anno
rispetto al 2003», ha rimarcato
Wen Jabao, sottolineando come la
Ue sia il più importante investitore
diretto nel Paese asiatico.
E se da un lato è innegabile che
l’interscambio tra Pechino e Bru-
xelles sia negli anni aumentato a
mutuo beneficio di entrambi i par-
tner (ma anche qui ci sono vari
motivi di attrito: bilancia commer-
ciale in deficit per la Ue, pratiche
di dumping e violazione dei diritti
di proprietà intellettuale da parte
cinese, protezionismo), dall’altro
lato va notato quanto poco in co-
mune, oltre agli affari, abbiano og-
gi Cina ed Ue. Il fatto stesso che
l’élite politica comunista abbia in-
viato a Bruxelles un premier di-
M
missionario (ad ottobre si terrà il
Congresso che cambierà i vertici
del Pcc prima e del governo poi),
la dice lunga sul reale peso del-
l’Europa nello scacchiere interna-
zionale cinese. Mentre secondo la
stessa logica, il candidato in pec-
tore alla Presidenza della Repub-
blica Popolare, Xi Jinping, in que-
sti stessi giorni è presente al vertice
dell’Asean (l’organizzazione delle
nazioni del Sud Est asiatico), vero
centro di interesse del Celeste im-
pero.
I rapporti tra Pechino e Bruxel-
les ristagnano ormai da qualche
tempo. Nei primi anni Duemila,
l’Europa si è rivelata per la Cina
una grande delusione. E la colpa
è stata di Pechino, che ha male in-
terpretato la reale dimensione po-
litica di una Unione prima a 25 e
poi a 27. L’abbaglio più grande, il
Dragone lo ha preso nel 2003,
quando ha dato eccessiva credibi-
lità alle dichiarazioni degli allora
Presidenti francese e tedesco Jac-
ques Chirac e Gerard Schroeder,
che si opponevano alla guerra in
Iraq di Bush. In quel momento la
Cina pensò di avere trovato il par-
tner ideale per contrastare l’“ege-
monia” degli Usa e non capì che
Francia e Germania non erano
rappresentative dell’intera Unione.
In quello stesso anno, convinti che
fosse possibile ottenere la sospen-
sione dell’embargo sulla vendita
di armi imposto dopo Tienanmen,
i cinesi redassero un improbabile
Eu Policy Document”, in cui
chiedevano a Bruxelles non solo
di sollevare l’embargo ma anche
di concedere alla Cina lo status di
economia di mercato e di chiudere
tutti e due gli occhi su Taiwan, i
diritti umani, il Dalai Lama. Il Do-
cumento fu un clamoroso flop. E
a quelle questioni, ancora da ri-
solvere, nel tempo si sono aggiunti
nuovi motivi di attrito, come i
problemi ambientali. Così oggi Pe-
chino preferisce trattare con i sin-
goli Paesi europei, meno critici e
più propensi a scendere a compro-
messi, piuttosto che con Bruxelles.
E questo non fa che peggiorare i
rapporti Cina-Ue.
ELISA BORGHI
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 22 SETTEMBRE 2012
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