di
STEFANO MAGNI
razzi, evidentemente, non ba-
stavano. Quindi iniziano le
bombe. Ne è esplosa una, ieri, su
un autobus di Tel Aviv, sulla linea
142.
Non ci sono morti, ma 23 fe-
riti, tre dei quali sono rimasti in
ospedale. L’esplosivo ha comun-
que ridotto in rottame l’autobus
di linea e avrebbe potuto provo-
care una strage, se l’attentatore
fosse stato più “fortunato”. Lo
shock è forte in Israele, perché a
Tel Aviv gli attentati dinamitardi
non si registravano più di sei anni.
L’ultimo, avvenuto nell’aprile del
2006,
aveva ammazzato 11 per-
sone alla vecchia stazione centrale
dei bus. Si era alla vigilia della Se-
conda Guerra Libanese ed erano
ancora freschi i ricordi dei conti-
nui attacchi suicidi della Seconda
Intifadah.
Per Israele coesistere con un
conflitto in casa propria è ormai
una tragica abitudine. Sei anni di
tregua a Tel Aviv apparivano già
come una grande conquista. Dalla
settimana scorsa, però, questa
condizione di pace illusoria era già
stata interrotta improvvisamente
dal lancio di razzi. Anche in quel
caso era stato battuto un primato:
il primo allarme missili dal 1991,
da quando era Saddam Hussein a
lanciare i suoi Scud su Israele. Da
ieri tornano anche le bombe sugli
I
autobus, un pericolo subdolo, da
cui è ancora più difficile difender-
si. Per un allarme missili si può
sempre correre nei rifugi e sperare
che le batterie di Iron Dome (il si-
stema anti-balistico leggero israe-
liano) facciano il loro dovere, in-
tercettando gli ordigni in cielo. Per
una bomba non c’è allarme che
tenga: si muore o si resta feriti al-
l’improvviso. Tel Aviv è nota per
la sua gioia di vivere, con i suoi
locali aperti tutta la notte e tutte
le notti, i suoi artisti, i suoi giova-
ni, la sua enorme spiaggia che so-
miglia ad una Miami Beach del
Medio Oriente. Dopo questa set-
timana di guerra, stando a chi ci
vive, è diventata un mezzo deserto.
Ora che è stato colpito un auto-
bus tornerà anche la paura di
muoversi, andare a scuola o al la-
voro.
La polizia israeliana non è an-
cora riuscita a mettere le mani sul-
l’attentatore, ma le rivendicazioni
si sprecano. In una gara a chi van-
ta di più il tentativo di uccidere
civili israeliani, sia le Brigate Al
Aqsa (braca militare del partito
moderato” Fatah, che governa
l’Autorità Palestinese), sia Hamas
plaudono l’attacco. Al Aqsa lo ri-
vendica direttamente, ma non ci
sono prove per accusarla formal-
mente. Hamas lo plaude, ma non
si spinge sino alla rivendicazione.
Sono ancora in corso i negoziati
al Cairo, per cercare di porre fine
alla guerra a Gaza e Hamas vuol
dunque apparire come un interlo-
cutore affidabile. Quando la no-
tizia si è diffusa nei media palesti-
nesi, la gente di Gaza è scesa in
strada a festeggiare. L’Iran, nel
frattempo, ha confermato, ufficial-
mente e orgogliosamente, di invia-
re aiuti militari e finanziari a Ha-
mas, per aiutarlo a colpire Israele.
Lo ha annunciato ieri, in tono
trionfale, il presidente del parla-
mento di Teheran, Alì Larijani, un
moderato”, lo stesso che ha svol-
to, negli scorsi anni, il ruolo di
mediatore sulla crisi nucleare.
II
ESTERI
II
Il terrorismo torna aTel Aviv
Colpito un bus,Gaza fa festa
India, impiccato
l’uomo diMumbai
Nel MedioOriente la prima vittima è la verità
Gaza la prima strage, per ci-
tare Pannella, è quella delle
verità. Non a caso Fiamma Ni-
renstein oggi organizza una ma-
ratona oratoria e sit-in davanti a
Montecitorio per ristabilire un
minimo di imparzialità sugli
eventi. Perché la vera guerra ini-
ziata nelle scorse settimane a Ga-
za è quella contro le menzogne
mediatiche, le realtà gonfiate di
sensazionalismo, le foto taroccate.
Come quella dei primi giorni del-
la Associated Press in cui si face-
va vedere un bambino vittima dei
raid israeliani e che poi si è sco-
perto essere stato ucciso da un
Qassam partito dalla Striscia ma
finito per sbaglio sulla casa dove
il malcapitato si trovava in quel
momento. L’opinione pubblica
mondiale è anti israeliana, e que-
sto viene cinicamente calcolato
dai terroristi di Hamas che, pe-
riodicamente, si trovano a dovere
fronteggiare una mini guerra da
loro stessi cercata e sollecitata
con mesi di bombardamenti di
Qassam, ai fianchi dell’odiata
entità sionista”. I giornali di si-
nistra in Italia e in Europa però
sembrano accorgersi solo dei “po-
veri bambini palestinesi” uccisi
nel raid aereo, sempre con il be-
neficio di inventario visto che so-
no apparse foto degli ospedali da
campo della Siria spacciati per
quelli dei palestinesi. Così gli ef-
fetti collaterali di tanto odio e di
tanta disonestà intellettuale non
hanno tardato a farsi sentire: le-
gittimati dai titoli dei giornali ti-
A
po “Gaza, strage di bambini”,
molti siti anti semiti come “Storm
Front” (ma che dire di quello di
sinistra” “Informare per resiste-
re”?) hanno iniziato la propria
guerra parallela. Si moltiplicano
i commenti ostili di fascisti e ul-
tra-comunisti, che si assomigliano
talmente tanto da fare pensare a
un nuovo patto Ribbentrop-Mo-
lotov delle rispettive strategie di
comunicazione. Eppure non sa-
rebbe difficile ristabilire la cor-
rettezza delle informazioni. Ad
esempio, lo stesso canale YouTu-
be delle Forze di Difesa Israeliane,
da giorni, carica video esplicativi
su quello che sta facendo l’eser-
cito per evitare vittime civili. Dai
volantini in arabo che dicono alle
persone di evacuare la zona og-
getto di operazioni militari, alla
rinuncia a colpire alcuni obbiet-
tivi che si trovano in prossimità
di scuole o abitazioni civili. Ma
il problema è che tutto ciò non
basta. Il fatto è che i terroristi
mettono i bambini ovunque, ne
hanno in sovrabbondanza a Ga-
za, e soprattutto a protezione del-
le bocche di fuoco. La gente non
vuole sentire parlare di “scudi
umani”, sembra propaganda, ma
già durante l’operazione Piombo
Fuso sono stati accertati episodi
sconvolgenti, come quello di
un’intera famiglia costretta dai
terroristi di Hamas a custodire
un arsenale dentro la propria abi-
tazione. Quella volta i soldati riu-
scirono a sequestrare e a neutra-
lizzare il tutto senza ammazzare
nessuno. Ma in queste condizioni,
con ogni casa di palestinese tra-
sformata in trappola, che ci siano
vittime civili è semplicemente una
scelta premeditata dai terroristi,
per sbatterle in faccia al mondo
con il marchio “ucciso dagli israe-
liani”.
Scriveva giorni fa su Facebo-
ok, sfogandosi, un soldato israe-
liano: «Nelle ultime 24 ore si so-
no abbattuti sul Sud di Israele
centosette razzi. Centosette razzi
sparati con l’intenzione di ucci-
dere, ferire, mutilare. Centosette
razzi puntati contro la popolazio-
ne civile di uno Stato sovrano. E
dal momento che finora non ci
siamo lanciati in un’operazione
su larga scala per affrontare i re-
sponsabili di queste aggressioni
violente, pongo una domanda ba-
nale: quale altro paese al mondo
tollererebbe tutto questo? Quale
altra nazione sovrana al mondo
permetterebbe una così palese
violazione dei suoi confini e della
sua sicurezza senza reagire con la
massima determinazione? Alcuni
colpi mirati su qualche obiettivo
terroristico sono solo un inizio di
reazione, ma non sono la risposta
necessaria di fronte a questi at-
tacchi».
Il motivo della reazione così
misurata da parte di Israele è in
parte legato al fatto che da Israele
si pretendono standard di com-
portamento che non si pretendo-
no da nessun altro Paese al mon-
do.
Il
mondo
chiede
continuamente a Israele di “eser-
citare autocontrollo” di fronte ad
aggressioni totalmente ingiustifi-
cate contro la sua popolazione. Il
mondo chiede continuamente a
Israele di “esercitare autocontrol-
lo” di fronte ad aggressioni total-
mente ingiustificate contro la sua
popolazione, e allora io pongo
un’altra domanda: “Sulla base di
quali precedenti?” Attacchi molto
più piccoli di questi hanno pro-
vocato reazioni molto più dure
da parte di altre nazioni. Tra il
1936
e il 1939 gli inglesi affron-
tarono un’insurrezione araba bru-
ciando interi villaggi e uccidendo
tremila palestinesi. Nel 1970 re
Hussein di Giordania reagì a tu-
multi palestinesi massacrando
non meno di 2.500 palestinesi in
soli dieci giorni. Nel 1989, a Pa-
nama, quattro marines americani
disarmati sbagliarono strada e in-
capparono in un posto di blocco
al quale non si fermarono: uno
fu ucciso, un secondo ferito. Il
presidente Bush (padre) definì
l’incidente “una gravissima vio-
lenza” e invase Panama con ven-
timila soldati.
Dall’inizio del 2009 sono stati
sparati dalla striscia di Gaza su
Israele circa 2.262 razzi, soprat-
tutto contro centri abitati da ci-
vili. Stando al sito ufficiale delle
Forze di Difesa Israeliane, nei tre
anni seguiti all’ultima operazione
anti-terrorismo nella striscia di
Gaza undici persone sono state
uccise e 127 ferite da lanci di raz-
zi e mortai palestinesi. Ma, me-
glio di ogni altro argomento, par-
la un video su YouTube preso da
Memri da Al Aqsa Tv del 29 feb-
braio 2008, cioè prima dell’ope-
razione Piombo Fuso. In esso uno
dei capi miliziani di Hamas, Fathi
Hanmad, recitava slogan in cui i
bambini e le donne e i vecchi ve-
nivano arruolati nella guerriglia,
magari proprio come scudi uma-
ni, contro le prevedibili rappre-
saglie di chi veniva attaccato dai
terroristi. Come ai tempi di Hi-
tler, che dichiarava di volere estir-
pare il “cancro ebraico”. Basta
leggerle e o vederle queste dichia-
razioni di intenti per capire. Ma
la gente preferisce distogliere gli
occhi e puntare il ditino e i gior-
nali si sentono più sicuri di ven-
dere quando scrivono “Gaza,
strage di bambini”.
DIMITRI BUFFA
La maratona oratoria
di Fiamma Nirenstein
servirà a ristabilire
un po’ di imparzialità
Foto finte e titoli sparati
spacciano la guerra
a Gaza per un crimine
dei “perfidi sionisti”
jmal Kasab è stato impiccato
ieri mattina nel carcere di Ye-
rawanda, India. Era l’unico soprav-
vissuto del commando suicida che,
il 26 novembre 2008, mise a ferro
e fuoco la metropoli di Mumbai.
Kasab non ha lasciato alcun testa-
mento. Ma è probabile che la vi-
cenda non si fermi con la sua ese-
cuzione. Secondo R. R. Patil,
ministro dello stato del Mahara-
shtra (dove è stata eseguita la con-
danna a morte), l’impiccagione del
terrorista è «un vero omaggio alle
vittime innocenti, inclusi i poliziotti
e il personale della sicurezza che
hanno perso la vita in quelle ore.
Gli attacchi di Mumbai sono stati
un attacco all’intero Paese». Il Pa-
kistan reagisce con estrema fred-
dezza. Ajmal Kasab era pakistano,
membro di un’organizzazione ter-
rorista del Pakistan, la Lashkar-e-
Taiba, dedicata alla causa del Ka-
shmir (regione indiana rivendicata
da Islamabad) e alla guerra santa.
Non è ancora chiaro quale nesso
vi sia fra Lashkar-e-Taiba e il ser-
vizio segreto, l’Isi. Così come con-
tinua a non essere chiaro quanti e
quali legami vi siano fra l’Isi e il
movimento dei Talebani. Il Pakistan
è sempre una terra di grandi inco-
gnite e ambiguità. Per l’attentato in
India, l’idea che si sia trattato di un
complotto ordito a Islamabad va
ben oltre le teorie della cospirazio-
ne. Inizialmente il Paese islamico
A
aveva negato ogni nesso con l’at-
tacco di Mumbai, costato la vita a
166
persone. Alla fine del 2008 la
tensione militare era tornata a cre-
scere fra India e Pakistan. Riportare
la calma fra i due Paesi era stata
una delle ultime missioni diploma-
tiche compiute da Condoleezza Ri-
ce, allora segretaria di Stato nel-
l’amministrazione Bush. Solo dopo
mesi di silenzio, il ministro degli In-
terni Rehman Malik aveva ammes-
so che: «alcune parti della cospira-
zione collegata agli attacchi
terroristi del 26 novembre a Mum-
bai sono state organizzate nel (no-
stro, ndr) Paese». Sicuramente non
si è trattato di un’ammissione di
colpa. Ci sono intere regioni del Pa-
kistan, l’area tribale dell’Ovest, che
sono completamente fuori control-
lo. Gli arresti, però, arrivarono mol-
to tardi. La rete terroristica che col-
pì Mumbai potrebbe essere stata
molto più vasta. Il militante islami-
co Zabiuddin Ansari, arrestato in
Arabia Saudita nel 2011, aveva ri-
velato nessi molto più profondi fra
l’Isi e l’attacco a Mumbai. Il servi-
zio segreto di Islamabad avrebbe
fornito coordinamento, armi e so-
stegno finanziario, partecipato al
reclutamento dei terroristi e alla di-
rezione delle operazioni. Si sarebbe
trattato, dunque, di un vero atto di
guerra. Di cui Ajmal Kasab era solo
una pedina.
(
ste. ma.)
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012
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