Pagina 5 - Opinione del 23-8-2012

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trali non verranno abolite e non
verrà ristabilito un gold standard
classico con una riserva obbliga-
toria del 100% nel settore banca-
rio, dobbiamo indirizzare ogni
tentativo al fine di portare l’at-
tuale sistema monetario più vicino
a quello ideale, sia in termini del
suo funzionamento sia nei suoi ri-
sultati. Questo significa limitare
il nazionalismo monetario per
quanto possibile, eliminando la
possibilità che ogni paese possa
sviluppare la propria politica mo-
netaria, e limitando le politiche
inflazionistiche di espansione del
credito, per quanto possiamo, cre-
ando un quadro monetario che
disciplina, per quanto possibile,
gli agenti economici, politici e, so-
prattutto, i sindacati e gli altri
gruppi di pressione, tra cui politici
e banche centrali.
È solo in questo contesto che
dovremmo interpretare la posi-
zione di tali eminenti economisti
Austriaci (e illustri membri della
Mont Pelerin Society) come Mises
e Hayek. Ad esempio, vi è l’ana-
lisi notevole e devastante contro
il nazionalismo monetario ed i
tassi di cambio flessibili che Ha-
yek cominciò a sviluppare nel
1937 nel suo eccezionale libro,
Monetary Nationalism and Inter-
national Stability
. In questo libro,
Hayek dimostra che i tassi di
cambio flessibili ostacolano un’al-
locazione efficiente delle risorse
a livello internazionale, in quanto
distorcono i flussi reali di consu-
mo e di investimento. Inoltre, ren-
dono inevitabile l’avvento di reali
adeguamenti necessari al ribasso
dei costi tramite un aumento in
tutti gli altri prezzi nominali, in
un ambiente caotico di svaluta-
zioni competitive, espansione del
credito ed inflazione, che incorag-
gia e sostiene tutti i tipi di com-
portamenti irresponsabili dei sin-
dacati, i quali premono
continuamente il tasto dei salari
e delle esigenze lavorative, le qua-
li non possono che essere soddi-
sfatti con un aumento della di-
soccupazione se l’inflazione viene
ulteriormente spinta verso l’alto.
Trentotto anni dopo, nel 1975,
Hayek ha riassunto la sua argo-
mentazione così:
«Credo sia innegabile che la
domanda di tassi di cambio fles-
sibili sia totalmente originata da
paesi come la Gran Bretagna, al-
cuni dei quali economisti hanno
voluto un più ampio margine per
l’espansione inflazionistica (chia-
mata “politica di piena occupa-
zione”). Hanno poi ricevuto il so-
stegno, purtroppo, da altri
economisti che non sono stati
ispirati dal desiderio di inflazio-
ne, ma che
sembrano aver trascu-
rato l’argomento più forte a fa-
vore dei tassi di cambio fissi, i
quali costituiscono il freno pra-
ticamente insostituibile di cui ab-
biamo bisogno per costringere i
politici, nonché le autorità mo-
netarie loro responsabili, a man-
tenere una moneta stabile
[corsi-
vo aggiunto].
Per chiarire ulteriormente la
sua tesi, aggiunge Hayek:
«Il mantenimento del valore
del denaro e gli sforzi nell’evitare
l’inflazione richiedono, costante-
mente, misure altamente impopo-
lari al politico. Solo mostrando la
necessità del governo nel prendere
queste misure egli può giustificar-
le davanti alle persone colpite.
Fintanto che la conservazione del
valore esterno della moneta na-
zionale è considerata come una
necessità incontestabile, come con
i tassi di cambio fissi, i politici
possono resistere alle continue ri-
chieste di crediti a basso costo,
evitare un aumento dei tassi di
interesse, evitare più spese per
“lavori pubblici,” e così via. Con
tassi di cambio fissi, una diminu-
zione del valore estero della va-
luta, o un deflusso di oro o di ri-
serve valutarie, agisce come un
segnale del bisogno di un inter-
vento rapido del governo. Con i
tassi di cambio flessibili, l’effetto
di un aumento della quantità di
denaro sul livello dei prezzi inter-
no è troppo lento per essere in ge-
nerale visibile o addebitabile a
chi, in ultima analisi, è responsa-
bile di esso. Inoltre, l’inflazione
dei prezzi è di solito preceduta da
un aumento nell’occupazione; si
può quindi anche accoglierla, per-
ché i suoi effetti nocivi non sono
visibili immediatamente».
Hayek conclude:
«Non credo dovremmo riac-
quistare un sistema di stabilità in-
ternazionale senza ritornare ad un
sistema di cambi fissi, che impone
alle banche centrali nazionali il
sistema di limitazione essenziale
per una resistenza di successo alla
pressione dei sostenitori dell’in-
flazione nei loro paesi — di solito
tra i ministri della finanze». (Ha-
yek 1979 [1975], 9-10)
Per quanto riguarda Ludwig
von Mises, è ben noto come prese
le distanze dal suo discepolo di
valore Fritz Machlup quando, nel
1961, questi cominciò a difendere
i tassi di cambio flessibili nella
Mont Pelerin Society. Infatti, se-
condo R.M. Hartwell, che era lo
storico ufficiale della Mont Pele-
rin Society, «il supporto di Ma-
chlup per i tassi di cambio flut-
tuanti portò von Mises a non
parlargli per tre anni» (Hartwell
1995, 119).
Mises riusciva a capire come
i macroeconomisti senza forma-
zione accademica in teoria del ca-
pitale, come Friedman ed i suoi
colleghi di Chicago, e i Keynesia-
ni, in generale, potevano difende-
re i tassi flessibili e l’inflazionismo
invariabilmente implicito in essi,
ma non era disposto a trascurare
l’errore di qualcuno che, come
Machlup, era stato suo discepolo,
quindi conosceva l’economia e,
tuttavia, si lasciava trasportare
dal pragmatismo e dalle mode
politiche. Infatti, anche Mises dis-
se a sua moglie il motivo per cui
non era in grado di perdonare
Machlup:
«Era nel mio seminario a
Vienna; capisce tutto. Lui ne sa
di più di molti di loro e sa esat-
tamente che cosa sta facendo»
(Margit von Mises 1984, 146).
La difesa di Mises dei tassi di
cambio fissi corre in parallelo con
la sua difesa del gold standard,
come sistema monetario ideale a
livello internazionale. Per esem-
pio, nel 1944, nel suo libro
Om-
nipotent Government
, Mises
scrisse:
«Il gold standard poneva un
controllo sui piani governativi di
soldi facili. Era impossibile indul-
gere nell’espansione del credito
ed ancora aggrapparsi alla parità
aurea permanente sancita dalla
legge. I governi hanno dovuto sce-
gliere tra il gold standard e la loro
— nel lungo periodo disastrosa
— politica di espansione del cre-
dito. Il gold standard non crollò,
i governi lo distrussero. Era in-
compatibile con lo statismo come
quest’ultimo lo era col libero
scambio. I vari governi abbando-
narono il gold standard perché
erano desiderosi di far aumentare
i prezzi ed i salari interni al di so-
pra del livello del mercato mon-
diale e perché volevano stimolare
le esportazioni ed ostacolare le
importazioni. La stabilità dei tassi
di cambio era un male ai loro oc-
chi, non una benedizione. Tale è
l’essenza degli insegnamenti mo-
netari di Lord Keynes». La scuola
Keynesiana sostiene appassiona-
tamente l’instabilità dei tassi di
cambio.
Inoltre, non è una sorpresa il
disprezzo Misesiano riservato ai
teorici di Chicago quando, in que-
sto settore come in altri, finivano
per cadere nella trappola del più
rozzo Keynesismo. Inoltre, Mises
sosteneva che sarebbe stato rela-
tivamente semplice ristabilire un
gold standard e tornare a tassi di
cambio fissi:
«L’unica condizione richiesta
è l’abbandono di una politica di
denaro facile e degli sforzi di
combattere le importazioni con la
svalutazione».
Inoltre, Mises dichiarò che so-
lo i tassi di cambio fissi sono
compatibili con una democrazia
vera e che l’inflazionismo dietro
a tassi di cambio flessibili è essen-
zialmente antidemocratico:
«L’inflazione è fondamental-
mente antidemocratica. Il control-
lo democratico è un bilancio con-
trollato. Il governo ha una sola
fonte di reddito — le tasse. Nes-
suna tassazione è legale senza il
consenso parlamentare. Ma se il
governo ha altre fonti di reddito
se ne può liberare» (Mises 1969,
251-253).
Solo quando i tassi di cambio
sono fissi i governi sono obbligati
a dire la verità ai cittadini. Quin-
di, la tentazione di fare affidamen-
to sull’inflazione e sui tassi flessi-
bili al fine di evitare il costo
politico degli aumenti delle tasse
impopolari è molto forte, prati-
camente distruttiva. Quindi, anche
se non c’è un gold standard, i tas-
si fissi limitano e disciplinano l’ar-
bitrarietà dei politici:
«Anche in assenza di un vero
gold standard, i tassi di cambio
fissi forniscono una certa assicu-
razione contro l’inflazione che
non è imminente nel sistema fles-
sibile. Nella fissità, se un paese in-
flaziona, cade vittima di una crisi
della bilancia dei pagamenti. Se e
quando esaurisce il possedimento
di valute estere, deve svalutare,
un processo relativamente diffici-
le,
irto di pericoli per i leader po-
litici coinvolti
. Sotto la flessibilità,
invece, l’inflazione non compor-
terebbe una crisi della bilancia dei
pagamenti, né alcuna necessità di
una svalutazione politicamente
imbarazzante. Invece, c’è un de-
prezzamento relativamente indo-
lore della valuta domestica (o in-
flazionistico) contro le sue
controparti straniere (Block 1999,
19, corsivo aggiunto).
Traduzione di
Francesco Simoncelli,
Antonio Manno,
Nicolò Signorini e Luigi Pirri
1/continua
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CULTURA
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L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 23 AGOSTO 2012
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