Page 3 - Opinione del 24-10-2012

di
CLAUDIO ROMITI
chi fosse sfuggito, sul tema
caldo della scuola pubblica,
il segretario del Pd Bersani ha
espresso senza pudore un concet-
to che sta fondamentalmente alla
base della catastrofe finanziaria
ed economica che stiamo vivendo.
Opponendosi all’intendimento del
governo di portare a 24 le ore
di lavoro settimanale degli inse-
gnanti, in luogo delle attuali 18,
il leader del Partito democratico
ha dichiarato a
Repubblica
«
che
è a rischio un bacino di almeno
400
mila voti». Ovviamente Ni-
chi Vendola lo ha subito applau-
dito. Ma anche dagli altri partiti
dell’attuale, strana maggioranza
si alzato un coro di disapprova-
zione circa il “rivoluzionario” in-
tendimento dell’esecutivo dei tec-
nici di trasformare in instancabili
stacanovisti i nostri docenti di
ogni ordine e grado. Tant’è che lo
stesso ministro dell’istruzione Pro-
fumo ha dichiarato al suo staff:
«
Sulle sei ore fermiamoci, siamo
troppo vicini alla campagna elet-
torale». Ma stando così le cose, e
le cose ahinoi stanno proprio in
questi termini, nel nostro disgra-
ziato paese non sembra esserci al-
tro spazio che per la politica dei
gattopardi, dato che non appena
si accenna ad un qualsiasi cam-
biamento, che tocchi un qualche
A
interesse consolidato, si scatena
una caccia al consenso, quest’ul-
timo basato sulla difesa ad oltran-
za del medesimo interesse. E que-
sto, si badi bene, avviene
all’interno di un sistema demo-
cratico in cui non vi sono limiti
economici e finanziari all’azione
del Parlamento. Quindi, in teoria,
una qualsiasi maggioranza po-
trebbe deliberare, onde garantire
alcuni benefici a qualcuno, la ro-
vina di intere categorie senza che
vi sia un paletto costituzionale per
impedirlo. Proprio su questo pia-
no, ossia esprimendo le mie per-
plessità su un impianto democra-
tico privo di limiti nella spesa e,
conseguentemente, nell’esproprio
fiscale, mi sono preso l’etichetta
di ideologo estremista da Michele
Boldrin, nel corso di un dibattito
promosso da “Fermare il decli-
no”, movimento fondato da que-
st’ultimo insieme ad Oscar Gian-
nino. Eppure, estremismi a parte,
la vicenda in oggetto dimostra,
nonostante si viaggi costantemen-
te sull’orlo del baratro finanzia-
rio, che basta una manciata di vo-
ti per scatenare una irresponsabile
concorrenzialità, per così dire, al
ribasso tra tutti partiti. Ciò con-
ferma, se ce ne fosse ancora biso-
gno, che questi ultimi sono nel
contempo artefici e vittime di un
meccanismo che tende, per come
si sono strutturate le cose nel tem-
po, a privilegiare i soggetti che
più di altri sono in grado di ga-
rantire una certa voracità sociale,
utilizzando il solito e funesto mec-
canismo del deficit spending. Per
questo motivo risulta un compito
quasi proibitivo eliminare anche
il più iniquo ed ingiustificato pri-
vilegio una volta che sia stato
concesso. Ed è proprio in nome e
per conto di questa catastrofica
ma quasi ineliminabile deriva de-
mocratica che gli attuali rappre-
sentanti del popolo sembrano tut-
ti pronti a seguire il sinistro
Bersani nella sua dissennata cac-
cia al voto facile. Povera Italia!
II
SOCIETÀ
II
In Italia c’è spazio soltanto
per la politica dei gattopardi
Palermo, l’ultimo
saluto a Carmela
K
Pierluigi BERSANI
Un altro boss si toglie la vita. Solo coincidenze?
rancesco Baiamonte, dice nul-
la questo nome? Ai più, certo
no. Era detenuto, in carcere, il Pa-
gliarelli di Palermo. Aveva 65 an-
ni, si è suicidato sabato scorso.
Da inizio anno è il 48esimo dete-
nuto che si toglie la vita, il
740
esimo dal 2000 ad oggi. Ba-
iamonte... originario di Castelter-
mini; stato accusato di aver fatto
parte della locale famiglia mafio-
sa, coinvolto nell’inchiesta “Ka-
marat”, non finisce però in car-
cere insieme agli altri indagati: il
giudice per le indagini preliminari
ritiene di non accogliere la richie-
sta della Direzione distrettuale
antimafia. La procura non si ar-
rende, presenta ricorso, che viene
accettato dalla Cassazione, che
decide che Baiamonte deve rima-
nere in carcere. Venerdì scorso il
giudice per l’udienza preliminare
lo condanna a dieci anni di car-
cere per associazione mafiosa.
Questa in sintesi la situazione
giudiziaria di Baiamonte.
F
Il suicidio di Baiamonte segue
di qualche giorno quello di un al-
tro boss mafioso, si chiamava Pie-
tro Ribisi, 61 anni. Anche Ribisi
ha una sua storia interessante.
Era detenuto nel carcere di Cari-
nola vicino Caserta. Ribisi era ri-
tenuto il capo cosca di Palma di
Montechiaro, uno dei cosiddetti
fratelli terribili” perché i Ribisi,
tutti “stiddari”, negli anni ‘80 uc-
cidevano e venivano uccisi, ani-
mati da rara spietatezza. Pietro
in particolare scontava un erga-
stolo, ritenuto tra i responsabili
dell’omicidio del presidente della
Corte d’Assise d’Appello, prima
a Caltanissetta poi a Palermo,
Antonino Saetta; Saetta, quel ma-
gistrato, quel giudice assassinato
assieme al figlio Stefano, mentre
sono in automobile sulla statale
AG-CL il 25 settembre 1988.
Pietro Ribisi si sarebbe impic-
cato giovedì scorso. Il Pubblico
Ministero, ha aperto un’inchiesta,
sequestrato la cella e gli effetti
personali, fatto svolgere l’autop-
sia sul cadavere, come in questi
casi è d’uso. Il figlio di Pietro Ri-
bisi, Nicolò, pone degli interro-
gativi che sarà bene sciogliere. Se-
condo Nicolò Ribisi «non si può
ancora essere certi delle cause del-
la morte. Mio padre, su cui non
esprimo giudizi, è stato 20 anni
in carcere di cui 11 sottoposto al
durissimo regime del 41 bis. Non
aveva motivo di suicidarsi pro-
prio ora, che poteva sperare in
qualche beneficio. Anzi, per me
potrebbe essere stato ucciso. Mio
padre non stava bene. Non riu-
sciva a dormire. L’ho visto mar-
tedì scorso. Avevamo chiesto di
farlo trasferire in un penitenziario
con ospedale annesso ma giovedì
è morto. Dicono che si è impic-
cato. Ma ho visto il suo collo do-
po che ci hanno consegnato la
salma: ha un segno che va verso
il basso, non verso l’alto. E ha le
dita della mano sinistra nere co-
me se avesse tentato di impedire
che lo strangolassero».
Pietro Ribisi viene arrestato
nel febbraio del 1982, per due an-
ni e mezzo è stato latitante, dopo
essersi sottratto agli obblighi pre-
visti dal soggiorno obbligato. Nei
tre anni precedenti, uno dopo
l’altro, erano stati uccisi tre suoi
fratelli: Gioacchino, assassinato
nel 1988, caduto in un agguato
nel centro di Palma Montechiaro;
gli altri due, Rosario e Carmelo,
uccisi nel luglio 1989, da sicari
penetrati all’ interno dell’ospedale
di Caltanissetta, dove il primo era
ricoverato da alcuni giorni dopo
essere stato ferito in un preceden-
te agguato. Delitti che avevano
fatto scalpore, a suo tempo.
Torniamo al giudice Saetta. Lo
uccidono, come abbiamo detto,
assieme al figlio. Saetta è il primo
magistrato giudicante morto am-
mazzato in Sicilia e in Italia. Paga
l’ergastolo inflitto a Michele e
Salvatore Greco, per la strage nel-
la quale è stato ucciso il giudice
Rocco Chinnici. Paga l’ergastolo
inflitto ai tre mafiosi che, guidati
da “Piddu” Madonna uccidono il
capitano dei carabinieri di Mon-
reale Emanuele Basile. Con questi
precedenti, e questa fama, si pre-
para a presiedere il processo
d’Appello del maxi-processo di
Palermo. Gli mettono in conto
anche questo. Qualcuno ha anche
cercato di “avvicinarlo” per ve-
dere se si poteva un poco addo-
mesticarlo, ammansirlo. L’ha
mandato a quel paese, quel
qualcuno”. Così il 25 settembre
il giudice Saetta e il figlio Stefano
vengono uccisi mentre tornano a
Canicattì da Palermo, erano an-
dati alla festa di battesimo di un
nipotino. Non ha la scorta, Saet-
ta; e neppure l’automobile blin-
data. Ucciderlo è facile: il giudice
e il figlio sono crivellati da una
cinquantina di proiettili. Saetta
non parlava mai del suo lavoro
in famiglia. Il figlio Roberto ri-
corda: «Noi non sappiamo se ne-
gli ultimi giorni della sua vita
avesse percepito di essere in grave
pericolo. In famiglia non ce ne
parlò. Notammo però che era di-
magrito, e che aveva un’espres-
sione più pensierosa del solito».
L’ordine di uccidere viene da Totò
Riina. Secondo quanto riferisce il
pentito” Salvatore Cangemi,
avrebbe detto: «Stu’ cornutazzu
non l’ha voluto assolvere e quindi
gli è toccato questo». «Questo»
è, appunto, la morte. Questo il
curriculum di Pietro Ribisi. Vai a
capire se uno così, che di rimorsi
e dubbi ne doveva coltivare assai
pochi, a un certo punto davvero
decide di farla finita; e perché.
Vai a capire perché Francesco Ba-
iamonte decide che è meglio usci-
re di scena subito, e non lenta-
mente, giorno dopo giorno,
chiuso in una cella... Vai a capire.
Però... Però. cominciano a essere
parecchi i mafiosi che si sono tol-
ti la vita, a cominciare da quel
Gioé che faceva parte del com-
mando che ha ucciso Giovanni
Falcone, la moglie e la scorta...
Magari è solo una fantasia di cro-
nista che per una volta si fa sug-
gestionare e prende lucciole per
lanterne. Non sarebbe la prima
volta. E però... Però sarebbe tut-
tavia interessante ripercorrere la
storia dei mafiosi suicidi di questi
ultimi anni. Perché alcuni appa-
iono curiosi, e a scavare un po’,
inquietanti.
VALTER VECELLIO
Sarebbe interessante
ripercorrere la storia
dei mafiosi suicidi
di questi ultimi tempi
Baiamonte aveva 65
anni. È il 48esimo
detenuto che si è tolto
la vita quest’anno
erano rabbia, dolore e tante
lacrime ieri a Palermo per
l’ultimo saluto a Carmela, la ra-
gazza di diciassette anni ferita a
morte per difendere la sorella Lu-
cia dalla furia omicida dell’ex fi-
danzato. Aveva solo 17 anni e
tanta voglia di vivere. Lei non c’è
più, Lucia è ancora in ospedale
per curare le sue venti coltellate.
Ancora non sa che Carmela è
morta per salvarla da quel ragaz-
zo che, accecato dalla gelosia, non
si rassegnava alla fine della loro
storia. Centunesima vittima dal-
l’inizio dell’anno - una ogni due
giorni - di una violenza scatenata
dal senso del possesso e dall’in-
capacità di gestire la fine di una
relazione. Ennesima vittima del
femminicidio, neologismo usato
per indicare la forma estrema di
violenza di genere contro le don-
ne, cioè l’omicidio della donna in
quanto tale. Un termine coniato
nel 2009 dalla Corte Interameri-
cana dei Diritti dell’Uomo per le
500
donne violentate e uccise e
altrettante scomparse nel 1993,
per mano dei trafficanti di droga,
a Ciudad Jaurez, in Messico.
Femminicidio, una parola critica-
ta da alcuni, ma che esprime in
tutta la sua crudezza l’apice di
una spirale di violenze fisiche e
psicologiche continuative nel tem-
po a cui sono sottoposte le donne.
Omicidi commessi quasi sempre
C’
da ex mariti ed ex fidanzati (ra-
ramente da sconosciuti) che con-
siderano la donna non come un
soggetto ma un oggetto di loro
esclusiva proprietà: se non sei più
mia non sarai di nessuno. Negli
ultimi cinque anni sono oltre 700
le donne uccise nell’ambito fami-
liare o all’interno di coppie. Un
dato molto preoccupante se si
pensa invece che negli ultimi venti
anni gli omicidi tra uomini sono
diminuiti di un terzo. Nel 2011
sono state 137 le donne assassi-
nate, una ogni tre giorni, mentre
156
sono rimaste vittime di una
gelosia incomprensibile o di
un’ossessione malata nel 2010.
Una escalation di violenza che
Maria Gabriella Carnieri Mosca-
telli, presidente di Telefono Rosa,
la storica associazione che da anni
offre un servizio alle donne vit-
time di violenza, ha definito «una
mattanza che non può essere pos-
sibile in un Paese civile». Solo il
10%
delle donne che si rivolgono
all’associazione hanno il coraggio
di denunciare i loro persecutori.
La maggior parte delle vittime di
violenza, infatti, non si sente ab-
bastanza garantita (processi lun-
ghi e non adeguata protezione per
sé e i figli) per fare il nome del
proprio aguzzino. Il Parlamento
non può più essere spettatore: de-
ve al più presto intervenire.
ROSAMARIA GUNNELLA
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 24 OTTOBRE 2012
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