Pagina 6 - Opinione del 25-8-2012

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II
ESTERI
II
La nuova batteria israeliana
che sconfiggerà i petrolieri
di
DIMITRI BUFFA
rovino ora i soliti imbecilli po-
litically e islamically correct a
boicottare questo nuovo brevetto
israeliano: la batteria per auto elet-
trica con un’autonomia di oltre cin-
quecento chilometri. Un’invenzione
che, in prospettiva, potrebbe sba-
razzarci per sempre dell’inquina-
mento, del ricatto energetico degli
sceicchi, della benzina a due euro il
litro e dei petrolieri alla Moratti che
hanno fatto in Italia, e nel mondo,
il bello e il cattivo tempo per gli ul-
timi cinquant’anni. Ebbene questa
cosa è adesso a portata di mano: ne
parla Nocamels.com, sito dedicato
agli sviluppi tecnologici in Israele.
L’Israeli national center for electro-
chemical propulsion, fondato qual-
che mese fa, è già dotato per i pros-
simi 4 anni di un budget di 45
milioni di sheqel (circa 11,7 milioni
di dollari). Al centro lavoreranno
un centinaio di ricercatori, suddivisi
in 12 team provenienti dall’univer-
sità di Tel Aviv, dal Technion, dal-
l’università di Bar Ilan e dal Centro
universitario Ariel della Samaria. Se-
condo quanto scrive
No Camels -
Israeli Innovation News
, «tranquil-
lamente e con una scarsa copertura
mediatica, sembra che Israele abbia
realizzato il suo obiettivo nazionale
per sviluppare una batteria in grado
di fornire energia sufficiente per un
viaggio di 500 km con una singola
P
ricarica». Una simile innovazione
energetica non poteva che venire da
Israele, paese assediato dai paesi ara-
bi e dall’Iran, cioè dai maggiori pro-
duttori mondiali di petrolio, paesi
da cui in prospettiva Israele non
vorrebbe dipendere neanche per un
litro di petrolio o un metro cubo di
gas. Il presidente del Centro, Doron
Urbach, del dipartimento di chimica
di Bar Ilan, spiega a No Camels che
«il petrolio non ha futuro, sia a cau-
sa delle politiche che a causa delle
future scarsità. C’è stato un cambia-
mento di mentalità nei politici che
ha permeato l’automotive industry
ed è andato tutto verso i produttori
di batterie. Tutti vogliono le auto
elettriche. In realtà, è già possibile
guidare per 150 chilometri con
un’auto elettrica, che è sufficiente
per l’israeliano medio, ma vogliamo
aumentarli». Il più grande successo
dell’elettrochimica moderna sono
le batterie ioni-litio ricaricabili. Si
tratta di una grande batteria per di-
spositivi elettronici, ma per una au-
tomobile ci sarebbe bisogno di mol-
te di queste batterie. Oggi, una
batteria come una che la Better Pla-
ce utilizza nelle sue auto elettriche
pesa 300 kg, ed è sufficiente per uno
spostamento di 150 km. «Il nostro
obiettivo – dice Urbach - è quello
di estendere questo range senza peso
e volume aggiuntivi». Un altro dei
problemi che si trovano di fronte
regolarmente i produttori di auto
elettriche è la bassa velocità di rica-
rica delle batterie che, per contro,
si scaricano molto rapidamente. Il
nuovo centro israeliano sta quindi
lavorando allo sviluppo di super-
condensatori che possano fornire la
quantità richiesta di energia nella
quantità di tempo desiderato e che
potrebbero fornire una soluzione al-
lo stoccaggio di energia, un proble-
ma decisivo per tutta la comunità
scientifica. Le nuove batterie avan-
zate potrebbero ridurre la dipenden-
za dal petrolio, uno dei problemi
più grossi per un paese come Israele
circondato da stati arabi ostili che
spesso interrompono le vie di rifor-
nimento, come è capitato con l’Egit-
to nel gasdotto del Sinai in seguito
ad attacchi terroristici mai sufficien-
temente contrastati dalle autorità
del Cairo.
Armstrong rinuncia alla difesa e perde tutto
K
Il campione del ciclismo Lance Armstrong non si opporà più
alle accuse dell’agenzia americana anti-doping. L’Usada gli toglierà i
sette titoli conquistati al Tour de France e lo radierà a vita dalle gare.
La condanna di Breivik?
Giustizia, non scandalo
Garantisce all’auto
un’autonomia di oltre
cinquecento chilometri.
Si tratta di una scoperta
che può sbarazzarci
dell’inquinamento
e del ricatto energetico
degli sceicchi arabi
a condanna a 21 anni di carcere commi-
nata ad Anders Behring Breivik, il killer
di Utoya, reo confesso per la strage di 77 gio-
vani militanti progressisti norvegesi uccisi un
anno fa a colpi di arma da fuoco mentre ce-
lebravano il loro meeting annuale, è una sen-
tenza che può scandalizzare solo l’opinione
pubblica italiana.
21 anni sono il massimo della pena pre-
vista dalla giustizia norvegese. Che si tratti
di un periodo detentivo troppo breve di fron-
te al crimine commesso da Breivik è qualcosa
che compete esclusivamente la coscienza dei
cittadini norvegesi. Se lo riterranno oppor-
tuno, essi potranno chiedere al proprio par-
lamento di cambiare la legge, di modificare
eventualmente anche la costituzione, per con-
templare riguardi i delitti più efferati un tetto
di pena maggiore. Ma non è una scelta che
competa ai giudici, i quali, infatti, si sono at-
tenuti a quello che era il loro preciso dovere:
accertare i fatti, e giudicare di conseguenza.
La certezza del diritto è una delle basi fon-
danti di uno stato democratico. La Norvegia
ha dimostrato dunque di saper essere uno
stato democratico fino in fondo, non cedendo
alle reazioni di pancia di quella parte di opi-
nione pubblica che forse avrebbe preferito il
linciaggio, né avallando i tentativi di aggirare
la legge perpetrati da chi avrebbe voluto con-
siderare la strage di Utoya addirittura come
“crimine contro l’Umanità”, al fine di poter
ottenere per Breivik l’ergastolo anziché la pe-
na edittale con i suoi 21 anni di carcere.
Di fronte alla sentenza di ieri è legittimo
sentirsi delusi, indignati, scoraggiati, increduli.
21 anni, per quel che Breivik ha fatto, forse
sono davvero troppo pochi. Specie conside-
L
rando che l’assassino li trascorrerà recluso
in quella che il sistema carcerario norvegese
definisce una cella, ma ai nostri occhi potreb-
be tranquillamente apparire un esilio dorato
in un miniappartamento dotato di ogni com-
fort. Ironia della sorte: il peggior criminale
della storia norvegese potrà godere fino in
fondo di tutti i vantaggi che l’illuminato si-
stema giudiziario norvegese ha previsto per
il trattamento dei carcerati. Ma anche questa
è vera giustizia.
La giustizia, infatti, non è vox populi, non
sono i mugugni della folla manzoniana as-
siepata davanti al palazzo del Vicario di Prov-
visione, non è rappresaglia, non è legge del
taglione, non è giacobinismo sanguinario in-
ferto a colpi di ghigliottina. Soprattuto, la
giustizia non è mai vendetta.
La giustizia è la certezza che chi commette
un crimine non resterà impunito, ma anche
la certezza di quale sanzione comporti una
determinata violazione. La certezza che nes-
suno è al di sopra della legge, ma anche la
certezza che la legge non può mai essere ar-
bitrariamente interpretata per soddisfare un
desiderio di rivalsa. Certezza della pena, cer-
tezza del giusto processo, certezza dei tempi
(è trascorso appena un anno dalla strage di
Utoya, e c’è già un colpevole), certezza del
rispetto dei diritti per tutti i cittadini davanti
alla legge, fossero anche colpevoli delle peg-
giori nefandezze.
Se c’è davvero qualcosa di cui indignarsi,
è che qualcosa di simile a questi principi
basilari che dovrebbero animare qualunque
stato di diritto in Italia non siano altro che
pura utopia.
LUCA PAUTASSO
Il nunzio apostolico
e lo scandalo irlandese
ra Vaticano e Israele i rapporti tor-
nano tesissimi dopo la nomina di
Giuseppe Lazzarotto a nuovo nunzio apo-
stolico in Israele, il paese che Oltretevere
chiamano Terrasanta. Lo riferisce Mena-
chen Ganz corrispondente da Roma di
Yedioth Aronoth in un articolo pubblicato
il 24 agosto. Lazzarotto infatti è quello
che ha provocato la clamorosa rottura di-
plomatica della cattolicissima Irlanda con
la Santa Sede a causa delle accuse a lui ri-
volte di coperture date ai preti pedofili in
quel paese. Se, il suo predecessore, Anto-
nio Franco, anche lui malvisto a Gerusa-
lemme, si era occupato durante il proprio
mandato solo di migliorare, di eufemiz-
zare, la negativa didascalia su Pio XII e i
nazisti, arrivando a minacciare di disertare
la giornata della memora della Shoà, Laz-
zarotto, si era preoccupato di insabbiare
lo scandalo pedofilia in Irlanda. «Almeno
fino alla metà degli anni ’90, la preoccu-
pazione dell’Arcidiocesi di Dublino - è il
passo citato da Ganz - nel trattare i casi
di abusi sessuali su minori è stata quella
di mantenere la segretezza, evitare lo scan-
dalo, proteggere la reputazione della Chie-
sa e preservare il suo patrimonio. Ogni
altra considerazione, compreso il benes-
sere dei bambini e il rendere giustizia alle
vittime, era subordinata a queste priori-
tà».
La Commissione criticava l’arcivescovo
Lazzarotto per il suo rifiuto di rendere
note informazioni dai rapporti circa gli
abusi sessuali del clero su minori. Nel
2008, un anno prima che la Commissione
d’inchiesta inoltrasse le sue conclusioni
T
incriminanti alla Corte Suprema irlandese,
il Vaticano decideva di nominare Lazza-
rotto suo rappresentante in Australia. Con
un attacco senza precedenti alla Santa Se-
de, l’allora primo ministro irlandese Enda
Kenny affermava: «lo stupro e la tortura
di bambini sono stati minimizzati o gestiti
pur di sostenere il primato dell’istituzione,
il suo potere, il suo rango e la sua repu-
tazione». Enda Kenny terminava denun-
ciando «elitarismo, separatezza, disfun-
zione e narcisismo in Vaticano». Lo scorso
novembre Dublino ha deciso, come è no-
to, di chiudere la sua ambasciata presso
la Santa Sede.
Durissimo il commento di Yedioth
Aronoth che riporta il malumore diffuso
in Israele: «la nomina suona come uno
schiaffo in faccia a Israele e sottolinea i
rapporti tesi fra Santa Sede e stato ebrai-
co». E ancora: «gli ebrei, devono essersi
detti al segretariato di stato pontificio,
hanno già problemi per conto loro, e i
preti pedofili non sono all’ordine del gior-
no, nel tumultuoso Medio Oriente, così
possiamo dimostrare il nostro apprezza-
mento per la lealtà di Lazzarotto durante
lo scandalo in Irlanda, conferendogli la
prestigiosa carica di rappresentante del
Vaticano a Gerusalemme». Insomma non
promoveatur ut amoveatur
, ma un premio
all’omertà sul clero pedofilo. L’incidente
diplomatico o addirittura il caso, a questo
punto, sembra dietro l’angolo. E non
manca chi inquadra la trovata come l’en-
nesimo atto di ostilità di Bertone contro
lo stesso Benedetto XVI.
(dim.buf.)
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 25 AGOSTO 2012
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