Page 4 - Opinione del 27-9-2012

II
ECONOMIA
II
Marchionne e le dieci zavorre
che schiacciano l’industria
di
VITO PIEPOLI
on voleva intervenire, ha ri-
ferito Sergio Marchionne
all’Unione Industriale di Torino
per non interferire con i lavori
dell’assemblea e la celebrazione
del neo presidente Licia Matteoli,
visto che per la prima volta in ol-
tre un secolo di storia dell’Unione
Industriale, una donna approda
ai vertici dell’associazione. Di se-
guito riportiamo quello che ha
sostanzialmente detto. Sa bene
che quando si porta qualcosa che
ha il peso e l’ingombro di un orso
come ora la Fiat si rischia di ro-
vinare la festa.
Ma dopo aver letto i giornali
e il commento allo scambio di
opinioni piuttosto franco che c’è
stato sabato col governo ha mes-
so un paio di cose in chiaro. Tutti
i giornali hanno pagine piene di
articoli su Fiat o di attese sul fac-
cia a faccia col governo. Anche la
televisione ha svolto il suo ruolo
contando persino quanti caffè
hanno bevuto John e lui e dove li
hanno presi.
Sulla prima pagina di
Repub-
blica
Eugenio Scalfari, tra altri
giornalisti, ha scritto più o meno:
nessuna delle due parti sedute al
tavolo di Palazzo Chigi a quanto
si sa era sulla difensiva, ciascuna
aveva richieste da porre all’altra,
soprattutto il governo perché
l’inadempiente in questo caso è
la Fiat e non il governo. Secondo
l’amministratore delegato dell’in-
dustria torinese, affermazioni co-
me questa, se ripetute costante-
mente, rischiano di sembrare vere
anche se non lo sono. John El-
kann e Sergio Marchionne, non
ne fanno una questione di com-
petizione politica, non sono a
caccia di voti. Non organizzano
né partecipano a raduni elettorali
o a feste in maschera, non sono
un movimento populista con baci
e abbracci, foto di gruppo.
Loro non hanno nessuna coa-
lizione di minoranza che garanti-
sce la poltrona – ci ha tenuto a
sottolineare - ma soprattutto non
esprimono opinioni su argomenti
che non conoscono.
Sono soltanto nel mercato con
cui devono fare i conti. Un rap-
porto diretto difficile ma assolu-
tamente semplice nel suo schema
di fondo.
Ciononostante i risultati della
prima metà dell’anno mostrano
N
come Fiat sia in ottima salute –
ha continuato – anche se dopo la
scissione non si può più contare
su Fiat Industrial.
I ricavi sono saliti a circa 42
miliardi di euro, l’utile della ge-
stione ordinaria è salito a 9 mi-
liardi, l’utile netto è di oltre 700
milioni.
L’indebitamento netto indu-
striale a fine giugno era di 5,4
miliardi di euro e importante è
l’alto livello di liquidità di cui si
dispone pari a circa 23 miliardi
di euro. I risultati del primo se-
mestre sono totalmente in linea
con gli obiettivi. Si prevede di
chiudere il 2012 con ricavi supe-
riori a 77 miliardi di euro con un
utile della gestione ordinaria tra
3, 8
e 4,5 miliardi che rappresen-
ta il risultato più alto di 116 anni
di storia. Un utile netto tra 1,2 e
1,5
miliardi di euro, un indebita-
mento netto industriale tra i 5,5
e 6 miliardi ed una liquidità su-
periore ai 20 miliardi. Ma chiun-
que operi nel settore dell’auto in
Europa oggi sta sperimentando
diversi gradi di infelicità. Le pre-
visioni più recenti indicano che
quest’anno la domanda di auto
in Europa non andrà oltre i 12,5
milioni di unità e questo è il se-
condo livello più basso in trenta
anni. Facciamo un salto indietro
era il 2010 quando Fiat ha lan-
ciato il progetto Fabbrica Italia
orgogliosa di poter coinvolgere il
paese nel processo di ricostruzio-
ne della base industriale italiana.
E poi è scoppiato l’inferno. Ci si
è accorti che l’Italia era nei debiti
fino al collo, aveva il terzo debito
pubblico più grande del mondo,
che il paese era senza fondi che
gli spread stavano prendendo il
volo. Tutto ciò ha avuto delle
conseguenze per l’Italia, in par-
ticolare i volumi del mercato
dell’auto hanno intrapreso una
spirale discendente. Ad agosto si
è toccato un nuovo record nega-
tivo. Queste previsioni condizio-
nano la Fiat che si trova sulla
stessa barca di tutti gli altri pro-
duttori europei, tanto i marchi di
massa quanto i premium come di-
mostrano i recenti casi di Porsche
e di Mercedes. C’è chi ha annun-
ciato chiusura di stabilimenti chi
sta contando l’entità delle perdite
,
chi taglia gli investimenti e chi
chiede aiuti al governo. E come
se non bastasse tra l’aprile 2010
e ottobre 2011 la Fiat ha ricevuto
una raffica di richieste dalla Con-
sob. Diciannove lettere in cui si
chiedevano i dettagli finanziari e
tecnici su Fabbrica Italia, un vasto
piano strategico, nuovo, corag-
gioso, di lungo periodo che aveva
l’obiettivo di evitare al paese la
catastrofe cambiando l’approccio
ad una serie di relazioni storiche
che avevano ingessato lo sviluppo
del gruppo Fiat. Giunti all’esaspe-
razione l’azienda ha poi emesso
un comunicato nell’ottobre del-
l’anno scorso ritirando Fabbrica
Italia, indicando chiaramente che
non avrebbe mai più usato quella
dicitura né fornito informazioni
sull’entità degli investimenti o sui
tempi. Fabbrica Italia era un pro-
getto pensato e promosso per fa-
vorire la coesione sociale di tutti
gli attori coinvolti in modo da far
compiere una svolta significativa
alla nostra industria. Poi all’im-
provviso è diventato un obbligo,
anche per la Camusso che parla
molto di diritti e poco di doveri,
secondo Marchionne. Nel 2004
poi la Fiat è stata salvata cam-
biando la struttura organizzativa
e la cultura. Nel 2009 è stata ac-
quisita la Chrysler in bancarotta,
rendendola di nuovo un’azienda
viva e di successo. La Fiat sta an-
cora adesso cercando di farlo nel
nostro paese proponendo un’al-
ternativa credibile alla riduzione
degli organici e alla chiusura delle
fabbriche, offrendo una speranza
concreta. Ma fare business nel
nostro paese in questo momento
è una fatica di Sisifo. In un arti-
colo del
Sole24ore
si parla delle
dieci zavorre che schiacciano l’in-
dustria italiana e che indebolisco-
no la competitività di tutto il si-
stema manifatturiero e non solo
della Fiat. Siamo il paese in cui
sulle imprese gravano le tasse più
alte d’Europa, la giustizia è più
lenta, l’elettricità e il gas più cari,
la burocrazia più contorta. Alla
lista delle inefficienze si aggiun-
gono le infrastrutture che sono le
peggiori in Europa, le pratiche
per l’export più difficili, il costo
del credito tra i più elevati e poi
la piaga della corruzione. Siamo
ovviamente gli ultimi per produt-
tività e le condizioni per accedere
ad un finanziamento non sono
grandiose. Essere considerati ita-
liani non aiuta nel business. No-
nostante tutto ciò, nell’evidenza
dei fatti siamo tutti in attesa del
miracolo. Ci auguriamo che qual-
che produttore straniero venga ad
investire nel nostro paese per ri-
sollevarne le sorti forse perché
nella nostra storia abbiamo subi-
to più di una invasione e ogni
volta ci siamo illusi di aver tro-
vato il salvatore. Marchionne ha
confessato che negli ultimi otto
anni e mezzo ha cercato costan-
temente in ogni modo di coinvol-
gere un partner straniero nelle no-
stre attività in Italia, ma non ha
avuto successo dichiarando il suo
completo fallimento. Non c’è nes-
suno che voglia accollarsi anche
solo una sola delle zavorre italia-
ne. Fautore di questo non sono
né i lavoratori, né gli industriali:
è il sistema. Non sarà certo lui ad
eludere, ha provocatoriamente
detto Marchionne, quello che
molti vorrebbero, cioè un inter-
vento della Volkswagen, ma l’Alfa
Romeo per ora non è in vendita.
Un dirigente dell’azienda tedesca
ha dichiarato che se uno dei piani
chiave di Marchionne vacilla ne
raccoglieranno i pezzi. Le spac-
conate dei tedeschi non sorpren-
dono l’amministratore delegato
ma quello che trova stupefacente
è che in questo paese abbiamo
perso ogni barlume di orgoglio
nazionale. Proprio ora che la Fiat
ha trovato in Chrysler un alleato
tecnico per sostenere gli investi-
menti necessari per il rilancio
dell’Alfa. Tutto ciò è semplice-
mente folle.
In conclusione la Fiat si trova
davanti ad un bivio. La scelta è
tra ridurre la capacità produttiva
licenziando migliaia di dipendenti
con danni incalcolabili per il tes-
suto sociale italiano oppure cer-
care di sfruttare la competenza di
prodotto, di processo, il livello
tecnico degli impianti per aprire
la strada verso i mercati esteri.
Cosa che non è priva di rischi e
di insuccesso, ma è l’unica strada
possibile per evitare il default. Il
governo deve fare la sua parte per
rimuovere quelle zavorre che
stanno ancora ancorando il no-
stro paese al passato. Abbiamo
davanti un’Italia che è ancora tut-
ta da ricostruire.
Spietata analisi
del manager Fiat.
Siamo il paese in cui
sulle imprese gravano
le tasse più alte
d’Europa, la giustizia
è più lenta, l’elettricità
e il gas più cari,
la burocrazia
più contorta.
Alla lista
delle inefficienze
si aggiungono
le infrastrutture
che sono le peggiori
in Europa,
le pratiche per l’export
più difficili,
il costo del credito
tra i più elevati
e poi la piaga
della corruzione.
Siamo ovviamente
gli ultimi
per produttività
e le condizioni
per accedere
ad un finanziamento
non sono grandiose.
Essere considerati
italiani non aiuta
nel business.
Fiat farà la sua parte,
ma le istituzioni devono
eliminare almeno
un po’ di ostacoli
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 27 SETTEMBRE 2012
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