Page 7 - Opinione del 28-9-2012

II
STORIA
II
L’Italia del patto stato-mafia
comincia con Luciano e laDc
di
RUGGIERO CAPONE
na vicenda sbiadita s’anni-
dava tra i ricordi italiani. Su
giornali e tivù si parla del patto
stato-mafia del ‘90, e la mente
corre al 1944. Poi agli uomini che
non passarono dal movimento in-
dipendentista alla Diccì, facendo
tutti brutta fine.
La mafia aveva abbandonato
gli indipendentisti ed era passata
con i democristiani? Visione sbri-
gativa. Già nel periodo post uni-
tario, pochissimi anni dopo la
spedizione dei mille” e l’annes-
sione della Sicilia al Regno sabau-
do, scoppiarono focolai di ribel-
lione contro i piemontesi, la poco
nota rivolta del “sette e mezzo”.
Nella notte tra il 15 ed il 16 set-
tembre 1866 migliaia di contadini
raggiunsero Palermo, e già la po-
polazione tutta era in ribellione.
Fonti governative parlarono di
«40
mila uomini in arme». Alla
rivolta partecipano un centinaio
di ex-garibaldini. Nessuno seppe
spiegarsi questa rivolta sortita dal
nulla, e senza alcun preavviso. La
rivolta venne sedata bombardan-
do la città dal mare: oltre un mi-
gliaio di morti e tanti sopravvis-
suti vennero condannati a morte.
Poi i patti, gli incontri con alcuni
nobili delle campagne”, gente
beninformata nel triangolo di ter-
ra sotteso tra Montelepre, Baghe-
ria e Corleone: tutto rientra, per-
ché lo stato tratta con la mafia
delle campagne e poi concede
l’amnistia ai condannati. Vedete
bene che l’episodio oggi oggetto
d’indagini vanta nobili ed antichi
natali.
Durante tutto il Ventennio fa-
scista non s’appalesa alcun pro-
blema: il prefetto Mori aveva det-
to al Duce che il livello mafioso
stava salendo. Mussolini ribatteva
io non tratto” ed ordinava al
prefetto di ferro” di bombardare
la cittadina di Gangi (roccaforte
dell’antica mafia delle campagne).
Per qualcuno si trattò di gesto av-
ventato: durante il bombarda-
mento perirono dei parenti stretti
di Lucky Luciano, gente che sa-
rebbe migrata a Gangi da Lercara
Friddi (paese natale di Luciano).
Scoppia la Seconda guerra mon-
diale, e il governo americano con-
tatta Lucky Luciano: gli uomini
del Dipartimento di Stato Usa gi-
rano il coltello nella piaga, gli
raccontano per filo e per segno
U
ogni particolare del bombarda-
mento di Gangi, anche della mor-
te dei suoi congiunti. La famiglia
è sacra, e Luciano mette in con-
tatto il vertice del Dipartimento
di Stato con la mafia siciliana.
Così lo sbarco nell’Isola viene or-
ganizzato dalla mafia per punire
Mussolini del bombardamento di
Gangi. L’Operazione Avalanche è
un dossier storico dell’Oss (orga-
nizzazione segreta che nel 1945
cambia nome in Cia) e reca la fir-
ma in calce di Luciano, che aiutò
il governo statunitense in cambio
di forti aiuti a Cosa nostra, e af-
finché la mafia riconquistasse po-
liticamente la Sicilia. Terminata
la Seconda guerra, chi aveva trat-
tato politicamente con Luciano
divenne padrone dell’Isola.
Luciano ottenne anche altre
facilitazioni: nel 1946, come ri-
compensa, venne rilasciato dal si-
stema carcerario Usa a patto che
si trasferisse in Sicilia. Accettò e
si trasferì nell’Isola, portando con
sé 150.000 dollari dell’epoca, a
cui si sarebbe aggiunto un vitali-
zio per collaborazione con i ca-
picentro Cia in Italia. Le crona-
che
mondane
dell’epoca
ritraggono Luciano come una
star, ospite dei migliori alberghi,
ricercato da giornalisti, politici,
scrittori, fotografi... al punto che
Fellini avrebbe (in una delle tante
stesure incomplete del suo Otto
e Mezzo) ipotizzato un personag-
gio che condensava le peculiarità
ed il fascino discreto di Lucky. Al-
lora chi erano i democristiani di
Sicilia che dal “Movimento indi-
pendentista” passarono con la
Diccì? Soprattutto non lo fecero
in onore ad un sempre rinnovato
patto stato-mafia”?
Quei signori Diccì avevano in
un certo senso preparato il terre-
no alla star Luciano: nel 1943
avevano propugnato l’indipen-
dentismo siciliano, la separazione
e la creazione di una “repubblica
isolana”. E qui il mistero s’infit-
tisce, nella Sicilia separatista di
Andrea Finocchiaro Aprile (fon-
datore e leader del Movimento
indipendentista siciliano) al pro-
fessor Antonio Canepa veniva af-
fidato nel 1945 il comando del-
l’Evis (formazioni armate
indipendentiste, sovvenzionate
dall’Oss).
Non è certo un caso che pro-
prio nell’Evis veniva arruolata
l’intera banda di Salvatore Giu-
liano: i cosiddetti “Niscemesi”.
La presenza dei “Niscemesi” era
per l’antica mafia agraria un fat-
tore d’affidabilità dell’Evis. «Me-
tà ai professori e metà a Giulia-
no», avrebbe sentenziato Luciano.
Ma il vento cambia, soprattutto
la Diccì da tali e tante garanzie
agli Usa da rendere Movimento
indipendentista ed Evis ormai
inutili. Così se separatismo a me-
tà degli anni Quaranta coinvolse
tutta l’isola, con la concessione
dell’Autonomia speciale (1946)
l’intero indipendentismo si dis-
solse lentamente nella Diccì. Alle
elezioni regionali del 1951 i se-
paratisti s’erano già tutti demo-
cristianizzati.
E pensare che il loro progetto
era fare della Sicilia la cinquan-
tunesima stella della bandiera
Usa, il cinquantunesimo stato: per
altro gradito a Luciano e consi-
derato dal Dipartimento di stato
Usa l’unico rimedio se in Italia
avesse vinto il Pci di Togliatti.
Ma auspicare uno stato sici-
liano separato significava battere
moneta, e la soluzione venne su-
bito trovata in quei salotti sicilia-
ni frequentati dal barone Lucio
Tasca (nominato dagli Alleati Sin-
daco di Palermo nel 1943), da
Stefano La Motta barone di
Monserrato, da Guglielmo Pater-
nò Castello duca di Carcaci, dal
principe Giovanni Alliata, dal ba-
rone Nino Cammarata... e da tut-
ta la bella compagnia che ram-
mentò come fino al fascismo il
Banco di Sicilia aveva diritto al
conio, a stampare carta moneta.
In quel clima di importanti
aspettative, vi erano notevoli
pressioni esercitate sia dai servizi
segreti americani che inglesi, e per
cercare d’attirare nella rispettiva
sfera d’influenza l’isola indipen-
dente. Nel 1943, l’amministrazio-
ne degli Alleati vietava ogni atti-
vità politica, tollerando solo
l’esistenza del Movimento indi-
pendentista siciliano. Aldilà del
connubio fra lotta politica e vec-
chia mafia agraria, le ragioni eco-
nomiche di questa separazione e,
soprattutto, la possibilità di bat-
tere dollari nel Mediterrano spin-
se sia Calogero Volpe che Calo-
gero Vizzini ad appoggiare incon-
dizionatamente il separatismo:
naturalmente furono i primi a
chiedere che lo stesso patto li ga-
rantisse con la Diccì.
Naturalmente non mancarono
le vendette: in uno degli assalti
dell’Evis alle caserme dei Carabi-
nieri, vennero uccisi dei militari
italiani che avevano partecipato
al bombardamento di Gangi da
parte del prefetto Mori. Ed allora
gli assalti alle caserme dei Cara-
binieri di Bellolampo e Montele-
pre erano gradite a Luciano? Mai
nessuno indagò in tal senso, an-
che perché Lucky era ospite
d’una festa mondana in entrambe
le circostanze, e indagare sui
mandanti era non poco farragi-
noso.
Intanto presso la direzione pa-
lermitana del banco di Sicilia già
respirava aria di dollari. Aria di
vecchi fasti, non dimentichiamo
che la banca era comunque erede
del Banco delle Due Sicilie e del
Banco Regio dei Reali Domini
al di là del Faro”: coniavano mo-
neta da centinaia d’anni prima
dei Savoia. E Luciano, che aveva
lasciato l’Isola col “ferry boat”,
ora veniva visto come il salvatore
della Sicilia: almeno da chi sapeva
dell’aiuto dispensato tramite il
Dipartimento Usa.
Ecco che il patto “stato-mafia”
lega la Sicilia all’Italia fin dalla
nascita della Repubblica: all’epo-
ca l’Isola era retta dall’Alto Com-
missario (siamo nel 1944). Ed il
15
maggio del ‘46 veniva promul-
gato da re Umberto II il decreto
legislativo che riconosceva lo Sta-
tuto Speciale alla Sicilia: Statuto
poi convertito dal parlamento re-
pubblicano in legge costituzionale
il 26 febbraio 1948.
Il movimento indipendentista
non serviva più, ma in molti era-
no rimasti con l’amaro in bocca
per non aver maneggiato i dolla-
ri: enorme il danno alla mafia,
tante le speranze economiche tra-
dite. La Diccì riconobbe che era-
no state tarpate le ali alla Sicilia,
quindi rinnovava il patto stato-
mafia. E Luciano, che conosceva
bene la storia, si dilettava di sa-
lotto in salotto spiegando che i
siciliani avevano fatto sia l’Italia
unita che, soprattutto, la Repub-
blica italiana.
(
Prima puntata/continua)
Nella notte tra il 15
ed il 16 settembre 1866
migliaia di contadini
raggiunsero Palermo,
e già la popolazione tutta
era in ribellione. Fonti
governative parlarono
di «40 mila uomini
in arme».
Alla rivolta partecipano
un centinaio
di ex-garibaldini.
Nessuno seppe spiegarsi
questa rivolta sortita
dal nulla, e senza
alcun preavviso.
La rivolta venne sedata
bombardando
la città dal mare:
oltre un migliaio di morti
e tanti sopravvissuti
vennero condannati
a morte. Poi i patti,
gli incontri con alcuni
nobili delle campagne”,
gente beninformata
nel triangolo di terra
sotteso traMontelepre,
Bagheria e Corleone:
tutto rientra, perché
lo stato tratta
con la mafia
delle campagne
e poi concede l’amnistia
ai condannati.
E perciò l’episodio oggi
oggetto d’indagini vanta
nobili ed antichi natali
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 28 SETTEMBRE 2012
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