ario Monti?
Sub partes,
se
dovesse candidarsi. Da ri-
serva della Repubblica, a leader
in pectore di un partito che non
c’è! Se così fosse, “superMario”
si dovrà anche scordare il Qui-
rinale, come premio di consola-
zione, in caso di sonora sconfitta
del suo partito “personale” alle
prossime elezioni. Il problema si
porrebbe ben diversamente, però,
nel caso che il variegato carroz-
zone dei montiani salisse oltre il
15%,
erodendo proporzional-
mente la base elettorale berlu-
sconiana. Perché il vero dilemma
risiede proprio questo: Monti è
il San Giorgio, che i suoi sem-
brano invocare a gran voce, per
sbarazzarsi per sempre del “Cai-
mano”, o la sua natura mira a
far fuori “anche” il dinosauro
rosso, degli ex comunisti? Certo,
il primo fine serberebbe quello
tagliato su misura, per la sua ar-
matura d’acciaio teutonico, for-
giata dal Faber quirinalizio. Tra
l’altro, appare chiarissimo che
l’intento di Napolitano fosse
quello di designare Monti come
suo successore naturale al Colle.
Infatti, il suo S. Giorgio si sareb-
be dovuto ben presto occupare
di redistribuire i numeri per la
soluzione dell’inevitabile, futura
crisi di governo, in seno al vin-
cente centrosinistra, una volta
che fossero venuti, finalmente, al
pettine le vere cause della dram-
matica, irreversibile crisi di de-
crescita degli indici di occupa-
zione e sviluppo che ci
riguardano. Chi, se non la mo-
neta finta dell’euro e la dittatura
di carta della finanza internazio-
nale, è il responsabile vero di
questa drammatica crisi, che sta
cambiando e peggiorando defi-
nitivamente la nostra qualità del-
la vita? Quali sono le ricette per
M
la crescita e per arrestare la po-
vertà dilagante di milioni di fa-
miglie di italiane, nei programmi
di Monti e Bersani, se non quelle
di mettere più tasse per sopperire
alla discesa drastica dei consumi
e degli investimenti, visto che
nessuno ha messo radicalmente
mano alla ristrutturazione delle
banche e alla “comunitarizzazio-
ne” dei debiti sovrani?
Prof. Monti, come mai Lei -
pur avendone, da tecnico, i pieni
poteri, utilizzati solo per rifor-
mare le pensioni - non ha messo
giudizio a quel burosauro degli
apparati e dei servizi pubblici,
che ci costa una fortuna in spre-
chi e stipendi inutili, bloccando
da anni la crescita (e, in molti ca-
si, provocando il fallimento!) di
imprese sane, in credito con lo
Stato, per molte decine di miliar-
di? Perché il suo ministro del Te-
soro si è sempre rifiutato di ven-
dere il patrimonio pubblico, per
ridurre l’ammontare del debito,
accollandone l’onere a un con-
tribuente ridotto già alla dispe-
razione? Scommetto che Lei non
si candiderà ufficialmente, Pro-
fessore! In questo caso, però, le
consiglierei di guardarsi bene dal
voler mettere il suo nome a fian-
co di soggetti che puntano solo
a strumentalizzarla, per accresce-
re, o tutelare un potere politico
del tutto personale! Perché, sap-
pia, gli italiani sono furbi e ca-
paci di seguire ancora il Cavalie-
re, pur di avere un alfiere che li
liberi dalla mini patrimoniale
dell’Imu, buona a ingrassare
quella finanza internazionale che
sta oscurando il futuro delle
nuove generazioni.
Chi farà la mossa più “azzec-
cata”, per rimettere le nostre vite
collettive sul binario giusto?
MAURIZIO BONANNI
di
DIMITRI BUFFA
l teorema è che Bin Laden sia
stato beccato grazie alle torture
a Guantanamo e nelle prigioni
segrete della Cia. Ma per dimo-
strarlo si tace tutta la storia di
Shakeel Afridi, il medico della
ong “Save the children” che col-
laborò all’identificazione dei figli
e dei nipotini di Bin Laden nel
compound
di Abbottabad. Evi-
dentemente Katheryne Bigelow,
la regista, seceneggiatrice e ideo-
loga del film
Zero dark thirty
(
molto bello, dura due ore e mez-
za e lo vedremo in Italia dal 7
febbraio, data scelta dalla Uni-
versal che lo distribuisce) non ha
letto un intero numero di
New-
sweek
,
compresa la copertina, de-
dicato ai retroscena del colpo del
1
maggio 2011, mentre la sua
opera vuole a tutti i costi appar-
tenere alla categoria dello spirito
dell’anti-americanismo ideologi-
co, più o meno consapevole. Ep-
pure la versione che farebbe ver-
gognare meno gli Usa era stata
avallata al settimanale in questio-
ne proprio dal portavoce dei ta-
lebani dell’epoca, Ehsanullah Eh-
san, secondo cui, «Osama bin
Laden era il nostro eroe, e Sha-
keel ha aiutato gli Stati Uniti ad
ucciderlo. Egli è oggi il nostro
nemico ed è
wajib-ul-qatal
».
Cioè degno di essere ammazzato.
Peraltro va detto che il film
era stato concepito ben prima del
blitz di Abbottabad e doveva in-
titolarsi
Kill bin Laden
ed era
stato concepito proprio in ma-
niera ideologica a tema contro i
metodi americani di lotta al ter-
rorismo islamico. Poi sono arri-
vati i vari libri di memorie di
agenti Cia e di uno dei membri
dei Navy Seals che parteciparono
all’azione e a quel punto la stra-
I
da per un film con la spina dor-
sale intrisa di ambiguità e com-
plottismo era spianata. Eppure
la storia della dritta su Bin La-
den, tutta legata a una campagna
di vaccinazione anti-polio (che è
costata svariati mesi di carcere
al dottor Afridi e la cacciata dal
Pakistan alla ong per cui lavora-
va nonchè la attuale difficoltà a
vaccinare chicchessia nelle zone
tribali tra Afghanistan e Paki-
stan), è ormai nota a tutti. Afridi
in realtà avrebbe dato un contri-
buto solo indiretto alla cattura
di bin Laden: gli fu infatti chiesto
di andare a vaccinare anche i
bambini del famoso
compound
contro la polio così come tutti
gli altri, e lui si presento a bus-
sare ingenuamente, senza sapere
chi ci fosse all’interno, a casa bin
Laden. Non gli rispose mai nes-
suno. D
ue anni prima, la Cia aveva
saputo, che Afridi aveva già som-
ministrato il primo richiamo an-
ti-polio e anti-epatite a sette
bambini che abitavano nel
com-
pound
.
Per cui ce lo rimandaro-
no sperando di avere il dna che
confermasse la presenza dello
sceicco. Quella volta i bambini
non furono sottoposti di nuovo
a vaccino, perché probabilmente
qualcuno aveva mangiato la fo-
glia. La Cia voleva avere la prova
che il dna fosse quello dei bin
Laden, di cui aveva già numerosi
reperti. Il 21 aprile, dieci giorni
prima del blitz, Afridi e la sua as-
sistente Amna si recarono di
nuovo al
compound
ma nessuno
ripose. Allora si recarono in una
casa li vicina in cui c’era un vec-
chio di 80 anni che conosceva il
segretario e messaggero di Bin
Laden, il noto Tariq Khan anche
lui abitante con i suoi figli piccoli
nel
compound
.
Il vecchio si con-
vinse a dare al dottor Afridi il
cellulare di Tariq. E così lui lo
chiamò. Pare che Tariq abbia ri-
sposto dicendo di essere lontano
dalla casa e che una volta lì
avrebbe chiamato lui per la vac-
cinazione. Invece non chiamò
mai.
Ma quella telefonata diede la
possibilità alla Cia di sapere il
numero della persona, attraverso
le intercettazioni Echelon sulla
zona da tempo monitorata. Do-
podichè, pur senza il dna di bin
Laden, ebbero la ragionevole cer-
tezza della sua presenza in loco.
E dieci giorni dopo diedero il via
al blitz con cui Obama si è assi-
curato almeno un buon 50% del-
la propria rielezione.
La Bigelow, se proprio vuole
continuare a cimentarsi sui mi-
steri dell’America del dopo 11
settembre, potrebbe invece con-
centrarsi sulla storia delle men-
zogne del Dipartimento di stato
a proposito dell’assalto all’am-
basciata di Bengasi in cui venne
ucciso l’ambasciatore in Libia,
Christopher Stevens.
Altro che film su Maometto
e reazioni popolari, la storiaccia
dello scorso 11 settembre è una
vicenda di allarmi Cia sottova-
lutati e di notizie nascoste alme-
no sin dopo la rielezione di Oba-
ma. Che se qualcuno dovesse
parlare su quella
cover up”
ri-
schierebbe persino l’
impea-
chment
.
Rievocare Guantanamo per
un film sulla cattura di Osama
e i suoi presunti retroscena è
quasi come sparare sulla Croce
Rossa. Mettere il naso sull’epi-
sodio dell’ambasciata Usa di
Bengasi presuppone invece ben
maggiore coraggio e porrebbe
qualsiasi pellicola ad alto rischio
di censura.
II
POLITICA
II
segue dalla prima
Bojata pazzesca
(...)
Con il riscoperto manuale Cencelli delle
mediazioni interminabili e dei compromessi
inconfessabili? E, soprattutto, che farà il paese
nella mani di un’alleanza di governo troppo
presa dai propri problemi di potere interni
da potersi occupare di come uscire dalla re-
cessione economica?
L’interrogativo è doveroso. Non solo perché
con Monti rientra in scena la Prima Repub-
blica ma perché la tanto decantata “agenda”
del Professore, quella che dovrebbe tauma-
turgicamente risolvere tutti i mali del paese,
è in realtà un canovaccio dirigista e statalista
di bassa lega. Che prevede tasse e sacrifici
senza alcuna ripresa. E che, soprattutto, evita
accuratamente di affrontare le grandi riforme
indispensabili per la fuoriuscita del paese dal-
la crisi. L’agenda di Monti, infatti, ignora del
tutto la necessità di una riforma istituzionale.
E si capisce, visto che in realtà il professore
non vuole riformare ma solo riesumare l’epo-
ca della centralità democristiana. Non tocca
minimamente il problema della riforma fi-
scale. Ed anche questo si capisce visto che il
professore non ha alcuna intenzione di al-
leggerire la pressione del fisco sugli italiani.
Non sfiora l’argomento di un ulteriore passo
in avanti sul terreno della riforma del lavoro.
Ovviamente per non compromettere la pos-
sibilità di una alleanza post-elettorale con i
progressisti. Infine, ignora completamente il
capitolo della riforma delle autonomie, che
poi è il capitolo della riduzione dei costi dello
stato burocratico e della politica. E trasforma
il tema della riforma della giustizia in un sem-
plice argomento di campagna elettorale an-
tiberlusconiana. L’agenda Monti, quindi, non
è la soluzione dei problemi, ma una bojata
pazzesca. E di questo è impossibile farsene
una ragione!
ARTURO DIACONALE
Spesa pubblica
(...)
Il livello della fiscalità, onde sostenere
una spesa pubblica che non ha paragoni in
Europa, ha raggiunto un punto di non ritor-
no, contribuendo a far avvitare in una spirale
recessiva un sistema economico il quale, in
simili condizioni, non potrà mai riprendersi.
D’altro canto se nel tentativo di allentare la
tensione insopportabile che si crea quando
la fiscalità rincorre vanamente le uscite di
uno stato impazzito si opera quasi unica-
mente dal lato del tasse, ci si avvia in modo
inesorabile verso la bancarotta economica.
Sotto questo profilo, l’unico incentivo nei
confronti di chi crea la ricchezza, imprese e
produttori privati, passa per una graduale
riduzione di un perimetro pubblico che costa
troppo. Non vedo altre alternative.
CLAUDIO ROMITI
Egitto islamico
In Egitto gli islamici faranno sul serio? O,
come insiste la vulgata progressista in Occi-
dente, ormai hanno imparato le regole del
pragmatismo? Possiamo pensare quel che
vogliamo, ma in Egitto danno per scontato
che la nuova Costituzione verrà presa sul se-
rio. Prova ne è la durezza della lotta politica,
tuttora in corso, scoppiata alla vigilia della
sua approvazione. Il referendum stesso non
è stato un processo pacifico. Tuttora, a Co-
stituzione firmata dal presidente, l’opposi-
zione del Fronte di Salvezza Nazionale an-
nuncia battaglia e programma una grande
manifestazione per il prossimi 25 gennaio.
Sarà il secondo anniversario della rivoluzione
contro Mubarak. Allora tutto l’Egitto si era
unito per scacciare il vecchio dittatore. Oggi
un buon pezzo della società di quel Paese
non si arrende alla nuova dittatura, masche-
rata da democrazia.
STEFANO MAGNI
Hollywood e la sua crociata
di puro anti-americanismo
EoraMonti rischia
di perdere il Colle
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VENERDÌ 28 DICEMBRE 2012
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